25 anni dopo, la pace che ancora non c’è
Il 5 maggio 1994, a Bishkek capitale del Kirghizistan, venne firmato l’omonimo accordo di cessate il fuoco a conclusione delle ostilità nel Nagorno Karabakh.
Dopo due anni di guerra, 30.000 morti, almeno 50.000 feriti e centinaia di sfollati, le parti in causa convennero di cessare lo scontro armato.
Non fu un trattato di pace ma solo un patto di cessazione degli scontri (con efficacia a partire dal 12 maggio).
Venticinque anni dopo la repubblica del Nagorno Karabakh, nel frattempo divenuta repubblica di Artsakh attende di poter porre la parola fine alla guerra definita silenziosa, congelata ma che negli ultimi cinque lustri ha mietuto centinaia di vittime e conosciuto momenti di recrudescenza come nell’aprile del 2016 allorché le forze armate azere attaccarono le postazioni di difesa armene tentando in penetrare nel territorio dello Stato.
L’Azerbaigian persevera con una retorica improntata alla militarizzazione dello scontro, continua ad armarsi sempre di più e – nonostante il paziente lavoro diplomatico del Gruppo di Minsk dell’Osce – non sembra aver abbandonato l’idea di una soluzione finale di stampo bellico.
La piccola repubblica armena dell’Artsakh costruisce giorno dopo giorno la propria indipendenza statuale e mai e poi mai potrà essere amministrata da un governo azero.
L’unica soluzione è un riconoscimento formale!
Ci pare altresì doveroso ricordare come l’accordo di Bishkek venne firmato tra gli altri anche da Karen Baburyan, all’epoca presidente del Soviet del Nagorno Karabakh e per tale carica considerato il terzo Presidente della neonata repubblica. Quando oggi gli azeri dichiarano di non voler modificare il format negoziale e di non volere al tavolo delle trattative rappresentanti del governo di Stepanakert, dimenticano che proprio quell’accordo fu firmato da Armenia, Azerbaigian e Nagorno Karabakh.
Nessun cambio di format negoziale dunque! Ma solo la necessità di far decidere del suo futuro il popolo che più di ogni altro è interessato al negoziato.