Nagorno Karabakh: nessuna risoluzione del conflitto all’orizzonte
Fonte: East Journal del 5 luglio 2018, di Aleksej Tilman
Il 26 giugno si è celebrato a Baku il centesimo anniversario della nascita delle forze armate della Repubblica dell’Azerbaigian. Nel corso della parata militare hanno sfilato per le strade della capitale i nuovi armamenti dell’esercito azero, un avvertimento sul fatto che, come ha sottolineato anche il presidente Ilham Aliyev, non è stata trovata una risoluzione del conflitto in Karabakh che è, a tutti gli effetti, ancora in corso.
Gli analisti armeni hanno notato, in particolare, notato la presenza di nuovi missili tattici e anticarro che potrebbero rappresentare un pericolo per le difese armene, inducendo Erevan a investire nel riarmo. Al contempo, Baku ha annunciato una massiccia esercitazione militare che si terrà tra il 2 e il 6 luglio. Le manovre dovrebbero coinvolgere 120 tra carri armati e altri veicoli corazzati, più di 200 pezzi di artiglieria e fino a 30 carri armati. L’esperto militare Azad Isazade, intervistato dall’agenzia Caucasian Knot, ha spiegato che l’obiettivo dell’esercito azero è semplice: “liberare i territori occupati”.
Manovre e schermaglie
La retorica bellicista non è una novità, come non è un segreto che da tempo il governo azero spenda ingenti somme di denaro per il riammodernamento delle forze armate. Più preoccupante le notizie che arrivano dalle zone al confine tra Armenia e Azerbaigian.
Le schermaglie tra le truppe dei due paesi sono da anni la norma quando si parla della situazione in Nagorno-Karabakh. Nel 2016, è scoppiata quella che è nota come guerra dei quattro giorni che ha causato la morte di centinaia tra civili e militari e ha permesso agli azeri di riconquistare alcune aree che erano sotto il controllo armeno.
L’escalation del 2016, la più grave da quando è entrato in vigore il cessate il fuoco nel 1994, fa temere un nuovo conflitto generale sia imminente. L’allarme è suonato già nel luglio del 2017, con accuse da entrambe le parti per la violazione del cessate il fuoco.
Quest’anno il copione si è ripetuto. Negli ultimi giorni il ministero della difesa azero ha accusato l’esercito armeno di aver violato 118 volte il cessate il fuoco, bombardando le posizioni azere tra il 26 e il 27 giugno. A sua volta, solo una settimana prima il governo del Karabakh aveva accusato le forze armate di Baku di aver bombardato le postazioni armene per 150 volte tra il 17 e il 23 giugno.
La novità del 2018 è che le manovre militari si sono estese al confine tra il territorio dell’Armenia internazionalmente riconosciuto e l’exclave azera del Nakhichevan. Secondo quanto riportato dal portale Eurasianet le forze azere sono avanzate nella terra di nessuno tra i due paesi, prendendo, poi posizioni sulle alture che sovrastano il centro abitato di Areni. La manovra, oltre ad avere scatenato il panico tra gli abitanti del villaggio, ha destato preoccupazione a livello governativo, in quanto Baku sembra in grado di minacciare la strada M2, l’unico collegamento tra Erevan e la frontiera sud con l’Iran.
Una pace sempre lontana
Viene definito come un conflitto congelato quello tra Armenia e Azerbaigian per il controllo del Nagorno-Karabakh, ma gli eventi degli ultimi anni continuano a dimostrare quanto sia erronea e pericolosa questa etichetta. Il rischio, infatti è quello di dare l’idea di una situazione irrisolta, ma sostanzialmente stabile. Quanto avviene di continuo alle frontiere è la dimostrazione che non è il conflitto ad essere congelato, ma le trattative di pace che dovrebbero portare a una sua risoluzione.
Dopo due anni di guerra, nel 1994 Baku e Erevan firmarono un accordo di cessate il fuoco che però non risolse la situazione giuridica del Nagorno-Karabakh. La regione, che in epoca sovietica aveva uno status di autonomia all’interno della RSS azera per la sua popolazione prevalentemente armena, durante il conflitto si è guadagnata l’indipendenza de facto, rimanendo, però de iure parte del nuovo Azerbaigian indipendente.
Nessuna forza politica sia interna che esterna ai due paesi è mai riuscita a elaborare una risoluzione del conflitto accettabile da entrambe le parti. L’Armenia ha continuato a far leva sul principio di autodeterminazione dei popoli, mentre l’Azerbaigian su quello di intergrità territoriale, il resto lo ha fatto la propaganda che reso inaccettabile all’occhio dell’opinione pubblica dei due paesi una qualsiasi forma di compromesso.
Il nuovo governo armeno salito al potere lo scorso maggio grazie alla cosiddetta Rivoluzione di velluto, pur rappresentando una grossa novità nel panorama politico del paese, non sembra avere un atteggiamento sostanzialmente diverso dai predecessori per quanto riguarda la risoluzione del conflitto in Nagorno-Karabakh.
Uno degli aspetti dei giorni della rivoluzione armena è che nonostante la quasi totalità delle strade del paese fosse bloccata dai manifestanti, la M11 e la M12, le due vie di comunicazione tra Armenia e Karabakh, siano rimaste sgombre per permettere gli spostamenti all’esercito armeno in caso di attacco azero.
Il nuovo primo ministro armeno, Nikol Pashinyan ha incontrato Aliyev a Mosca il 14 giugno nel corso della cerimonia di inaugurazione del mondiale. Il premier armeno ha scritto sul suo profilo Facebook che Putin lo ha presentato al presidente azero, ma che l’incontro non è andato al di fuori delle presentazioni. Ci vorrà ben altro se si vorrà veramente trovare una risoluzione del conflitto che avvelena la regione da trent’anni.