Contro l’odio l’unica arma è il ricordo
Quindici anni fa veniva brutalmente assassinato da un azero Gurgen Margaryan.
Era la notte del 19 febbraio 2004, a Budapest. L’ufficiale armeno stava dormendo nella sua stanza, divisa con un collega ungherese, dopo una giornata trascorsa a seguire i lavori di un seminario della Nato denominato “Partnership for peace”.
L’ufficiale azero Ramil Safarov quel giorno però aveva le idee ben chiare. Accecato dall’odio contro il ‘nemico’ armeno, dopo la cena si era recato in un negozio e aveva acquistato un’ascia. Con quell’arma era entrato nella stanza e aveva ripetutamente colpito Margaryan che stava dormendo. La brutalità e il numero di colpi inferti avevano di fatto decapitato il povero soldato armeno.
Poi ancora in preda al suo furore aveva tentato invano di entrare nell’alloggio di un altro ufficiale armeno e ripetere la macabra esecuzione ma, scattato l’allarme, altri soldati lo avevano bloccato.
Fu condannato all’ergastolo sia in primo grado che in appello. Ma nel 2012 un vergognoso patto di sangue tra il governo ungherese e quello azero aveva posto fine alla sua pena.
Il presidente dell’Azerbaigian, Aliyev, si era infatti recato in visita ufficiale a Budapest. Pare che in cambio dell’acquisto di bond ungheresi per svariati miliardi abbia barattato l’estradizione del connazionale che infatti, poche settimane dopo, venne rispedito a Baku.
Lì avrebbe dovuto continuare a espiare la sua pena ma sbarcato dall’aereo fu accolto come un eroe nazionale: mazzo di fiori appena sceso dalla scaletta, promozione al grado superiore, anni di stipendio arretrati e una nuova casa. Il feroce assassino venne portato in trionfo per le strade della capitale azera.
Contro questa cultura dell’odio possiamo solo rispondere con un commosso ricordo del sacrificio di Gurgen Margaryan.
Che riposi in pace e che la sua orribile morte non sia stata vana.