A chi non piace la terza via?
Come noto, a oggi sono due i principali collegamenti stradali tra la repubblica di Armenia e la repubblica di Artsakh (Nagorno Karabakh): quello originario che da Goris conduce a Berdzor passando attraverso quello che una volta era chiamato “corridoio di Lachin” (ovvero il punto più stretto tra la RSS Armena e l’Oblast del Nagorno Karabakh) e quello inaugurato qualche anno fa che da Martakert/Karvachar scavalca il passo Sodk con una moderna e agevole strada che si inerpica fino a quota 2300 metri di altitudine.
Una variante di questo collegamento unisce il passo a Karvachar attraverso una strada meno agevole.
Dallo scorso anno è in cantiere un terzo collegamento a sud dei due paesi per unire Kapan alla cittadina di Hadrut.
Proprio poche settimane or sono, il progetto ha avuto ulteriore impulso e sono partiti i primi lavori preparatori. È pleonastico sottolineare quanto questi collegamenti siano importanti per l’Artsakh; rappresentano dei punti di congiunzione – delle graffette potremmo chiamarle – che lo legano indissolubilmente all’Armenia e ne consolidano la statualità scoraggiando oltre tutto eventuali piani di assegnazione dei territori agli azeri.
Non è un caso se, al diffondersi della notizia dei nuovi lavori, l’Azerbaigian abbia mostrato una evidente irritazione.
Tre deputati del Parlamento europeo, l’estone Marina Kaljurand, il rumeno Traian Basescu, e la croata Željana Zovko (rispettivamente Capo delegazione, relatore permanente del Parlamento europeo per l’Armenia e relatore permanente del Parlamento europeo per l’Azerbaigian), hanno rilasciato una dichiarazione con la quale deplorano l’iniziativa che è stata presa senza consultare le autorità dell’Azerbaigian che, a loro dire, dovevano essere informate in quanto l’arteria passa attraverso i cosiddetti “territori occupati” e chiedono che simili iniziative debbano essere prima concordate per creare un clima di fiducia e riconciliazione fra le parti (sic).
Questa dichiarazione, rilasciata pubblicamente e non discussa all’interno della Commissione che si occupa del conflitto, è stata ovviamente accolta molto male dalla parte armena in quanto solleva serie preoccupazioni in merito alla credibilità, integrità e competenza dei loro autori che hanno scelto di rinunciare all’importante piattaforma di cooperazione e discussione (“Partenariato UE-Armenia”) e hanno abusato delle loro posizioni ufficiali di co-presidente e relatori.
Da un lato, infatti, la dichiarazione ribadisce “un sostegno incrollabile agli sforzi dei co-presidenti del gruppo di Minsk dell’OSCE e dei loro princìpi di base del 2009” e dall’altro distorce l’essenza stessa dei princìpi di base.
Due volte nella dichiarazione i termini “occupato” e “occupazione” sono usati per il territorio del Nagorno Karabakh. Gli autori dovrebbero tuttavia sapere che i copresidenti del Gruppo Minsk dell’OSCE non considerano il Nagorno Karabakh o qualsiasi altro territorio, a tale proposito, come un’area occupata. In nessuna delle loro dichiarazioni, comprese quelle fatte a livello di Capo degli Stati, il Nagorno Karabakh-Artsakh è definito “occupato“.
Pertanto, chiamare il Nagorno Karabakh “occupato” non è assolutamente in linea con gli sforzi di mediazione dei copresidenti del Gruppo Minsk dell’OSCE e questa non è una posizione del Parlamento europeo, dell’Unione europea e delle organizzazioni paneuropee.
Vale la pena sottolineare il fatto che l’ultima frase della dichiarazione è anche una posizione propagata solo dalla parte azera, alla quale piace ripetere che la risoluzione del conflitto dovrebbe essere “entro i confini internazionalmente riconosciuti dell’Azerbaigian“. Questa frase di per sé è contraria alla logica stessa del lungo processo di pace di tre decenni.
I princìpi di base del 2009 e gli elementi delineati dai co-presidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE non predeterminano i risultati dei negoziati (cosa che la dichiarazione afferma chiaramente). Al contrario, deriva dai Principi di base, a cui si riferiscono gli autori, che lo stato finale del Nagorno Karabakh sarà determinato attraverso un’espressione libera legalmente vincolante della volontà della gente del Nagorno-Karabakh.
Alla luce di ciò, una tale espressione di “sostegno incrollabile” nei confronti dei copresidenti e dei principi di base è altamente priva di fondamento e contraddittoria.
Abbiamo anche preso atto della successiva spiegazione della sig.ra Kaljurand fornita alla parte armena, secondo cui la frase “risoluzione pacifica del conflitto all’interno dei confini internazionalmente riconosciuti dell’Azerbaigian” utilizzata nella dichiarazione “non fa riferimento alle attuali frontiere internazionalmente riconosciute dell’Azerbaigian, ma invece a qualsiasi altra frontiera futura dell’Azerbaigian, che può essere riconosciuta a livello internazionale dopo aver raggiunto un accordo. “
Ma è un dato di fatto che la sostanza della spiegazione fornita relativa alla dichiarazione indica chiaramente che gli autori della dichiarazione non sono in grado di fare commenti competenti su questo complesso processo di pace e sui suoi principi di base.
Ciò che rende ancora più inaccettabile questa affermazione sono i tempi e il fatto che sia stata emessa quasi in simultanea con le recenti dichiarazioni bellicose provenienti dal Presidente e dal Ministro della Difesa dell’Azerbaigian che, per l’ennesima volta, minacciano di scatenare una nuova guerra. È importante notare che tali avventate dichiarazioni potrebbero essere interpretate dal governo azero come una sorta di permesso all’uso della forza e utilizzate quindi per scatenare l’aggressione militare contro il popolo del Nagorno Karabakh (Artsakh).
Segnaliamo poi che alcune agenzie di stampa azere si sono spinte fino al punto di dire che «le strade che collegano l’Armenia con la regione del Nagorno Karabakh dell’Azerbaigian sono state prese sotto controllo nel 2016 e nel 2018 a seguito delle operazioni militari riuscite dell’esercito azero», ipotesi alquanto improbabile vista la loro localizzazione.
Ancora una volta è bene, dunque, ribadire che il diritto del popolo del Nagorno Karabakh-Artsakh alla mobilità è un diritto inalienabile e che nessuna limitazione di sorta può essere frapposta al diritto alle persone di spostarsi dentro e fuori il Paese. Specie poi se dall’altra parte c’è un regime che spinge per la soluzione bellica del contenzioso.
(mappa da “Nagorno Karabakh observer” , nkobserver.com)