Cronaca di un anno orribile
Il 2020 passerà alla storia probabilmente per essere stato uno dei più disgraziati come da decenni non se ne vedevano. La pandemia ha portato via centinaia di migliaia di vite e ha avuto enormi ripercussioni economiche su scala globale. Per l’Artsakh l’anno che si sta concludendo sarà ricordato come quello della disfatta militare, politica ed economica. Dodici mesi da archiviare in fretta, nella speranza di una rapida rinascita.
GENNAIO si era aperto così come si era concluso l’anno precedente: una sostanziale calma lungo la linea di contatto con pochissime violazioni azere del cessate-il-fuoco. A posteriori potremmo classificarla come la calma prima della tempesta. Il presidente Sahakyan, ormai quasi a fine mandato, diffonde il consueto messaggio di Capodanno e in occasione del Natale armeno del 6 gennaio. Il ministro degli Esteri russo Lavrov annuncia il 17 “alcuni progressi” nel negoziato che hanno permesso di fare “piccoli passi” sulla base degli impegni presi nell’incontro ad alto livello del marzo 2019 tra Pashinyan e Aliyev. Il 28 il premier armeno visita l’Artsakh, il 29 e il 30 i ministri degli Esteri di Armenia e Azerbaigian (Mntasakanyan e Mammadyarov) si vedono a Ginevra.
Il 15 FEBBRAIO si incontrano a Monaco di Baviera nell’ambito dei lavori della Conferenza sulla sicurezza Pashinyan e Aliyev. Il faccia-a-faccia dura meno di un’ora. Il giorno prima il Primo ministro armeno aveva dichiarato che «l’Armenia vedrà l’attacco dell’Azerbaigian al Karabakh come un attacco alla Repubblica di Armenia. La Repubblica di Armenia è il garante della sicurezza del Karabakh». Il 23 si registrano schermaglie sul bordo nord-orientale dell’Armenia (Tavush) con reciproco scambio di accuse. Il giorno dopo viene sostituito il ministro della difesa dell’Artsakh (da Abrahamyan a Harutyunyan) anche per il numero di incidenti registrati nell’ambito dell’Esercito nelle ultime settimane con tredici soldati morti per colpi di arma da fuoco (incidenti, malattia, atti di commilitoni)
A inizio MARZO ancora tensione nella regione di Tavush dell’Armenia mentre si diffonde la notizia che le forze armate di Yerevan avrebbero acquistato sistemi radar indiani per quaranta milioni di dollari. Ancora a metà mese non si registrano dati di positivi al corona virus che sta flagellando il mondo, l’Artsakh è protetto da un sostanziale isolamento naturale ma dal 20 viene vietato l’ingresso nel Paese anche dall’Armenia. La incombente pandemia influisce sulla campagna elettorale che vede ridurre gli interventi pubblici e si profila anche la possibilità di un rinvio delle consultazioni. Il 31 però si svolgono regolarmente le elezioni politiche e presidenziali (le prime dopo la riforma costituzionale del 2017) con una affluenza ai seggi del 72,7%. Il candidato presidente Araiyk Harutyunyan ottiene il 49,26% dei voti e quindi va al ballottaggio con il ministro degli Esteri uscente Mayilyan che ottiene il 26,4%. Il partito “Libera patria” di Harutyunyan conquista la maggioranza dei seggi. Elezioni libere e trasparenti con molte liste e candidati.
A inizio APRILE ancora nessun caso di Covid registrato in Artsakh, bisognerà attendere il 7 quando una signora di un villaggio della regione di Shahumian ritorna positiva da un viaggio in Armenia. Vengono rafforzati i controlli alla frontiera, con il passare dei giorni cominciano i primi casi. La situazione lungo la linea di contatto rimane relativamente calma ma il 5 un soldato armeno è ferito da un cecchino azero. Il 14 si tiene il ballottaggio scontato delle presidenziali e Harutyunyan è eletto presidente. Il 21 viene abbattuto nel settore sud-orientale un drone azero che stava eseguendo una ricognizione fotografica sul campo. Lo stesso giorno si tiene una video riunione tra i ministri degli Esteri di Armenia e Azerbaigian, il 29 colpi di mortaio cadono sulla linea di difesa armena.
MAGGIO si apre con le dichiarazioni del ministro degli Esteri Mnatsakanyan che afferma che “nessuno può aspettarsi alcun passo dall’Armenia, implicando concessioni, e ciò potrebbe danneggiare la nostra sicurezza nazionale”. Il Covid fa annullare le celebrazioni del 9 maggio ma i casi sono pochi e isolati, rimane comunque lo stato di emergenza. Dal 18 al 22 si svolgono imponenti manovre militari azeri. Il 19 si insedia ufficialmente il nuovo presidente con una cerimonia che simbolicamente si tiene a Shushi, nel teatro della Casa della cultura; la reazione azera è affidata a un violento comunicato del ministero degli Esteri che recita che “l’organizzazione di elezioni illegali e il cosiddetto spettacolo del giuramento nella regione occupata dell’Azerbaijan nel Nagorno Karabagh da parte dell’occupante Armenia è un’altra brillante manifestazione della politica di annessione dell’Armenia. (…) La guerra non è ancora finita e l’Azerbaigian ha il diritto di garantire il ripristino della sua integrità territoriale con tutti i mezzi possibili nell’ambito dei suoi confini internazionalmente riconosciuti. Le corrispondenti azioni provocatorie della leadership armena annullano praticamente tutti gli sforzi per una soluzione pacifica del conflitto e servono a rafforzare l’ulteriore confronto militare e aumentare la tensione nella regione.” Nonostante il messaggio minaccioso la situazione lungo la linea di contato rimane calma eccezion fatta per una azione di sabotaggio degli azeri che probabilmente lasciano un caduto sul campo
A GIUGNO il nemico principale in Artsakh rimane il Covid: un centinaio di positivi ma nessuna vittima grazie anche alle misure di contenimento che lentamente vengono revocate considerato il miglioramento della situazione sanitaria. Il governo da poco insediato muove i suoi primi passi con ambiziosi programmi di investimento annunciati dal presidente Harutyunyan (5000 nuove case, 5000 posti di lavoro e crescita PIL dell’8%). Il 30 video incontro tra i ministri degli Esteri di Armenia e Azerbaigian. Situazione calma sulla linea di contatto ma preoccupano le dichiarazioni del presidente turco Erdogan che si fa minaccioso verso Armenia e Grecia.
LUGLIO manifesta le prime turbolenze nella regione. Il 7 Aliyev tiene un duro discorso contro l’Armenia dichiarando che mai tollererà la presenza di un secondo Stato armeno e rinnovando il proclama sulla integrità territoriale azera. Ma è nel nord-est dell’Armenia, all’altezza della regione di Tavush, che si verificano insoliti gravi incidenti. Gli azeri tentano il 12 una sortita ma vengono respinti subendo molte perdite, gli armeni riescono a occupare alcune posizioni strategiche sul confine; si combatte violentemente per due giorni; 12 vittime azere e 5 armene. Il 14 luglio a sorpresa viene silurato lo storico ministro degli Esteri Mammadyarov. Il 18 sui cieli dell’Artsakh viene abbattuto un drone azero di video sorveglianza. Dall’inizio della pandemia risultano contagiati 230 cittadini, forse si registra la prima vittima, un’anziana con altre patologie. La situazione lungo la frontiera in Armenia ritorna relativamente calma, ma da fine luglio l’Azerbaigian e la Turchia organizzano imponenti manovre militari, viste come una provocazione, prima in Nakhchivan e poi nel resto del territorio azero
Ad AGOSTO la situazione lungo la linea di contatto tra Artsakh e Azerbaigian si fa leggermente più tesa con un aumento delle violazioni azere che arrivano a circa 300 alla settimana. Harutyunyan dichiara che “se l’avversario lancia un piccolo proiettile o una bomba su Stepanakert, riceverà la risposta a Kirovabad” (Kirovabad è il vecchio nome dell’attuale Ganja (Gäncä), seconda città dell’Azerbaigian). Poco dopo Ferragosto si concludono le imponenti manovre turco-azere. Il 23 un soldato armeno viene catturato dagli azeri sui monti Mrav.
Il primo SETTEMBRE suona la campanella nelle scuole dell’Artsakh. La pandemia ha fatto registrare 300 casi dall’inizio e la situazione sembra sotto controllo. Però il 2 settembre si celebra la Festa della Repubblica senza cortei ed eventi pubblici. Il 9 settembre Samvel Babayan, a capo della Sicurezza nazionale, annuncia il progetto di creare una milizia specializzata. Il 19 settembre Harutyunyan annuncia che in un paio di anni la sede del Parlamento sarà spostata da Stepanakert a Shushi.
Il 27 settembre è una domenica. Alle sette della mattina la popolazione viene svegliata dal suono delle sirene e dal fragore dei colpi di artiglieria e delle bombe che colpiscono l’Artsakh. L’Azerbaigian ha cominciato il suo attacco militare.
Il 2020, per noi, si ferma qui. Il resto è cronaca di guerra, di migliaia di morti, di distruzione, di territori perduti, monumenti vandalizzati, di una resa incondizionata, di una difficile ricostruzione. L’Artsakh è stato duramente colpito, vacilla ma ancora resiste.
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