La “terza guerra” a pezzi. Nagorno Karabakh
Fonte: La Roccia (Rodolfo Casadei), anno 2, n° 12 (novembre-dicembre 2016)
C’è un brandello d’Europa dove le armi non tacciono mai e la tensione resta sempre alta. Venti violazioni del cessate il fuoco fra il 23 e il 24 settembre; 70 violazioni con 700 colpi sparati, incluso l’uso di mitragliatrici pesanti, fra il 20 e il 21 settembre; 80 violazioni fra l’11 e il 12 settembre; altre 25 fra il 7 e l’8 settembre con 330 colpi di vario calibro esplosi. Una dozzina di morti nel corso del mese. Sarà l’Ucraina, sarà la tormentata regione del Donbass al confine con la Russia, tireranno a indovinare i più informati. E invece no.
Un conflitto ventennale Il teatro della crisi si trova nell’estremo sud-est europeo: le montagne del Caucaso, solida unità geografica, massima frammentazione politica. Geograficamente gli Stati della cosiddetta Transcaucasia (Armenia, Georgia e Azerbai gian) fan no parte dell’Asia, ma politicamente sono europei in quanto membri del Consiglio d’Europa.
Lungo una striscia di territorio che si snoda per 200 km, si affrontano decine di migliaia di uomini che vestono da una parte l’uniforme dell’autoproclamata repubblica del Nagorno Karabakh, abitata quasi esclusivamente da armeni e sostenuta dalla vicina Armenia, e dall’altra quella del più popoloso ed esteso Azerbaigian. Gli attacchi arrivano tutti dalle forze armate di quest’ultimo paese, sempre di più eccitato dall’idea di riconquistare con la forza la provincia che perse ventidue anni fa al termine di una sanguinosa guerra che fece 30 mila morti. Nel maggio 1994 un armistizio mise fine a 40 mesi di guerra campale, preceduti da stragi e pulizia etnica delle rispettive minoranze prima in Azerbaigian, dove furono cacciati o uccisi migliaia di armeni, e poi in Armenia e nel Nagorno Karabakh, dove la guerra comportò l’espulsione di migliaia di azeri. Al momento del cessate il fuoco, Baku aveva perso la provincia autonoma del Nagorno Karabakh, altri sette distretti a est e a ovest di quel territorio, che da enclave popolata di armeni all’interno del neonato stato azero si era trasformata nella propaggine più orientale dell’Armenia, benché formalmente le due entità siano rimaste fino ad oggi politicamente distinte. Per due decenni la comunità internazionale ha cercato una soluzione al conflitto e ha affidato la mediazione al Gruppo di Minsk, un insieme di paesi facenti parte dell’Organizzazione per la Cooperazione e la Sicurezza in Europa (OSCE) che si sono offerti di promuovere il negoziato affidandolo di fatto a un triumvirato formato da Stati Uniti, Russia e Francia. Gli sforzi si sono rivelati vani per l’intransigenza delle parti: l’Azerbaigian esige la reintegrazione pura e semplice del Nagorno Karabakh nel suo territorio e la restituzione degli altri sette distretti occupati dalle forze armene; l’Armenia, che rappresenta anche gli interessi dello stato indipendente di fatto del Nagorno Karabakh, chiede il rispetto del diritto all’autodeterminazione per gli abitanti della regione contesa. Quest’anno la guerra è riesplosa fra l’1 e il 4 aprile, allorché le forze azere hanno cercato di sfondare la linea di difesa armena causando circa 200 morti.
Giardino di montagna Nagorno Karabakh è parola mista di russo e persiano, che significa “giardino di montagna”: nell’antichità il nome della regione era Artsakh, e costituiva la decima provincia del regno di Armenia ai tempi della sua massima estensione nel 69 avanti Cristo, quando il territorio governato dal suo re copriva una superficie pari a quella dell’Italia e andava dal Mar Caspio al Mediterraneo. L’Armenia è stata il primo regno della storia ad adottare il cristianesimo come religione di stato nell’anno 301 (ben prima dell’editto di Teodosio che introduceva lo stesso principio nell’Impero Romano nel 390). Il Nagorno Karabakh ha sempre mantenuto la sua identità armena e un buon grado di autonomia anche quando il regno di Armenia ha perso la sua indipendenza. Nel 1918 tutto il territorio entrò a far parte dell’Unione Sovietica, e quando nel 1921 vennero create le due repubbliche sovietiche dell’Armenia e dell’Azerbaigian federate nell’Urss, Josif Stalin decise di assegnare il Nagorno Karabakh agli azeri sotto forma di provincia autonoma, benché la popolazione della regione fosse al 94,4 per cento armena. Nel corso dei
decenni l’enclave subì un lento processo di azerizzazione, mal sopportato dalla maggioranza armena, che al momento dell’ascesa al potere di Mikhail Gorbaciov era scesa al 71 per cento degli abitanti. Al tempo della perestrojka il Nagorno Karabakh fu la prima entità amministrativa dell’Urss, nel 1988, a fare richiesta di modifica dei confini, per essere assegnato all’Armenia. Il Parlamento armeno accettò la richiesta, ma quello azero la respinse. In seguito (aprile 1990) Mosca varò una legge sulle modalità per la secessione delle repubbliche dall’unione che avrebbe permesso al Nagorno Karabakh di staccarsi dall’Azerbaigian e decidere del proprio destino, ma il 30 agosto 1991 Baku decise di dichiarare la propria indipendenza, e allora l’Artsakh non ebbe più alternative e tre giorni dichiarò a sua volta l’indipendenza. Silenziato per molti anni, il conflitto rischia oggi di riesplodere su larga scala perché l’Azerbaigian, arricchito dalle esportazioni di gas e petrolio, ha acquistato grandi quantità di armi e assunto mercenari reduci delle guerre mediorientali, e perché la Turchia ha stretto con esso un patto di reciproca difesa a forte vocazione antiarmena.
Rodolfo Casadei