L’aggressione dell’Azerbaigian all’Armenia, invasa e bombardata nel suo territorio sovrano, non è solo l’ennesima avventura bellica del guerrafondaio Aliyev.

Ormai la politica del dittatore azero, tanto caro all’Europa per via del suo gas, è quella della violenza, della minaccia e del ricatto: o accettate le mie richieste o vi anniento.
Su questa nuova provocazione, gravissima per il diritto internazionale perché a danno di uno Stato internazionalmente riconosciuto, si è già scritto molto ed è accertata anche dai commentatori più neutrali la responsabilità dell’Azerbaigian nell’attacco del 12 settembre.

Quel che merita attenzione, invero, non è solo la modalità dell’aggressione (bombardamenti su insediamenti civili a chilometri di distanza dal confine internazionalmente riconosciuto) ma anche i nuovi episodi di barbarie che hanno contraddistinto l’azione dei militari azeri.

Non una novità: già nel 2016 e nel 2020 in Nagorno Karabakh-Artsakh i soldati dell’Azerbaigian avevano compiuto atti orribili a danno di soldati e civili armeni.

Tuttavia, il video dei giorni scorsi girato dagli stessi aguzzini azeri mostra tra pile calpestate di cadaveri dei nemici anche il corpo orrendamente mutilato di una soldatessa armena, Anush Abetyan, 36 anni e tre figli, alla quale (speriamo ormai non più in vita) i soldati di Aliyev hanno amputato le gambe, cavato gli occhi e messa in posa degradante; e Dio sa cos’altro le avranno fatto…

Un video che forse non è neppure l’unico perché sembra che anche un’altra armena, l’infermiera Irina Gasparyan, abbia subìto un simile trattamento.

Ecco, il mondo deve sapere che questi orchi stanno minacciando non solo l’integrità fisica dello Stato armeno ma anche il suo popolo.

L’Europa, troppo attenta a dieci miliardi di metri cubi di gas da Baku, sembra disinteressata da quanto sta accadendo. L’orrore di questi orchi passa in secondo piano di fronte agli interessi economici. E poco importa se questa cecità spianerà a breve la strada al nuovo impero ottomano di Erdogan e Aliyev.

A quel punto spunteranno le lacrime di coccodrillo. Ma sarà troppo tardi.
L’invasione degli orchi sarà ormai inarrestabile.

Ancora una volta Aliyev ha disatteso tutti i buoni propositi di una soluzione pacifica del contenzioso nel Caucaso meridionale.

I pesanti bombardamenti, senza precedenti, contro città e villaggi della repubblica di Armenia dimostrano inequivocabilmente che l’unico linguaggio che il dittatore di Baku conosce è quello della violenza, della guerra, dell’offesa e della minaccia.

Eravamo stati facili profeti due giorni fa nel preannunciare l’ennesima azione di guerra degli azeri: invio massiccio di armi e uomini al confine con l’Armenia e ripetuti comunicati denuncianti fantomatiche “provocazioni armene”. Il solito cliché al quale siamo ormai abituati da molto tempo.

L’obiettivo di questo attacco è il medesimo che portato i soldati azeri a occupare dallo scorso anno svariati chilometri quadrati di territorio armeno: conquistare posizioni in altura lungo il confine tra i due Paesi, crearsi una fascia di protezione e soprattutto avere dall’alto un controllo di tutta la piana armena sottostante.

Prossimo obiettivo, ma bisognerà vedere se l’Iran glielo permetterà (segnalato invio truppe e mezzi al confine), sarà quello di garantirsi uno spazio nel Syunik o occuparlo tutto.

La minaccia di Aliyev è chiara: firmate un accordo di pace con noi e alle nostre condizioni, riconoscete l’#Artsakh come parte integrante dell’Azerbaigian, lasciateci il corridoio di transito del Syunik e allora smetteremo di bombardarvi.

Di fronte a tale scellerato e minaccioso comportamento non c’è gas che tenga. Aliyev e l’Azerbaigian vanno sanzionati dall’Unione europea che al tempo stesso deve aiutare l’Armenia a resistere.

È ora di mettere le cose in chiaro: gli azeri sono gli aggressori autocrati, gli armeni gli aggrediti democratici (e vanno sostenuti se ancora la parola “democrazia” ha un qualche valore nel nostro continente.

Purtroppo lo sconquasso della guerra in Ucraina non solo sta distogliendo l’attenzione dell’opinione pubblica, ma al tempo stesso crea alleanze e contro alleanze trasversali. La situazione dell’Armenia finisce con l’essere l’ultimo dei problemi…

Ora però l’Europa, come detto, è chiamata a una scelta: ci deve dire se (citazione di Ursula von der Leyen) Aliyev sia ancora un partner affidabile oppure sia arrivato il momento di imporgli uno stop. La questione della fornitura di gas non è rilevante: noi lo compriamo e lui lo vende, il vantaggio è per entrambi.

Ma se proprio dovesse tirar diritto con le sue provocazioni, vorrà dire che ci metteremo un maglione in più: in ballo c’è la credibilità dell’Europa, non una disputa di confine tra due Paesi.
Aliyev è un ingordo e prima o poi un boccono gli finirà di traverso…

Il rifiuto degli ambasciatori Usa e Francia a Baku di recarsi in visita nella città armena occupata di Shushi ha provocato l’irritazione del regime di Aliyev che tramite un suo portavoce ha detto che questa scelta è un insulto all’integrità territoriale dell’Azerbaigian.

Di contro, la decisione dei diplomtaici dei due Paesi co-presidenti del Gruppo di Minsk dell’Osce è stata accolta positivamente dall’Assemblea nazionale di Stepanakert.

Il ministro degli Esteri dell’Artsakh (Nagorno Karabakh) David Babayan a sua volta ha accolto con favore questa rinuncia (che peraltro non aveva fatto l’ambasciatore dell’altro Paese co-presidente, la Russia) e la considera un importante passo politico e umanitario sottolineando altresì il perdurante tentativo azero di distruggere l’azione del Gruppo di Minsk.

Tuttavia, le ragioni delle azioni dell’Azerbaigian per sciogliere il Gruppo di Minsk risiedono altrove. La ragione principale dell’interesse di Baku per il crollo del Gruppo di Minsk dell’Osce, e, in particolare, dell’istituzione della co-presidenza di questo gruppo, è che attraverso questo l’Azerbaigian sta cercando di distruggere lo status diplomatico internazionale de facto e de jure di Artsakh, che è una parte riconosciuta del conflitto azerbaigiano-karabako e del processo negoziale.
E la maggior parte dei documenti, delle dichiarazioni e degli altri atti politici e legali pertinenti rientrano nella sfera di attività del gruppo di Minsk e del processo di Minsk.
Lo scioglimento del Gruppo di Minsk e la co-presidenza di questo gruppo, secondo la logica di Baku, dovrebbe di fatto livellare lo status diplomatico internazionale de facto e de jure dell’Artsakh.

Qui Baku e Ankara agiscono insieme, facendo ogni possibile uso delle contraddizioni tra la Russia e l’Occidente, che tocca anche l’attività della co-presidenza del Gruppo di Minsk. Ma questo flirt emotivo, attraverso il quale l’alleanza azerbaigiana-turca sta cercando di ingannare la Russia, è naturalmente tattico e temporaneo nella sua natura.
È abbastanza ovvio che sia la Turchia che l’Azerbaigian stanno facendo tutto il possibile per minare la missione russa di mantenimento della pace nell’Artsakh, ben sapendo che con il ritiro della Russia, anche l’Artsakh sarà distrutto, la distruzione dell’Artsakh a sua volta porterà a cambiamenti geopolitici tettonici nel Transcaucaso e nei vasti spazi geopolitici adiacenti, che creerà minacce esistenziali per un certo numero di Paesi, in primo luogo per la Russia. Ciò rappresenta una minaccia, tra l’altro, anche per l’Occidente, solo a lungo termine.

È anche possibile che una tale politica massimalista di Baku miri anche a questo tipo di ricatto per ottenere l’inclusione della Turchia nei Paesi co-presidenti del gruppo di Minsk come una sorta di compensazione per Baku per ammorbidire la sua posizione dura.

Sono fiducioso che questa e molte altre cose siano ben comprese a Mosca, Washington e Parigi. È anche ovvio che il Gruppo di Minsk dell’Osce e la sua attuale co-presidenza non hanno ancora alternative” ha dichiarato Babayan.

Le cinque forze politiche rappresentate nell’Assemblea nazionale dell’Artsakh hanno rilasciato una dichiarazione congiunta.

Dal 1 agosto, le forze armate dell’Azerbaigian hanno fatto ricorso ad azioni militari provocatorie in vari tratti della linea di contatto tra Artsakh e l’Azerbaigian, a seguito delle quali ci sono vittime e feriti. Le fazioni dell’Assemblea nazionale armena considerano le ripetute aggressioni dell’Azerbaigian una grave violazione del cessate il fuoco del novembre 2020, che mira a continuare la politica di odio contro gli armeni e creare panico nell’Artsakh.
L’Azerbaigian accusa regolarmente l’Armenia e la Russia di non aver rispettato gli accordi trilaterali del 9 novembre, quando è lo stesso Azerbaigian a non aver rispettato quasi nessun punto di tale dichiarazione. Tale comportamento non è nuovo per noi.
L’Azerbaigian ha sempre perseguito una politica di pulizia etnica e di deportazione, violando costantemente gli interessi vitali e i diritti dei cittadini della Repubblica dell’Artsakh.
Eventi recenti, vittime e feriti dimostrano ancora una volta che la pacifica convivenza all’interno dell’Azerbaigian è impossibile per l’Artsakh.
La pace è il valore più alto, ma non c’è pace sotto la minaccia della forza, con il continuo calpestamento dei diritti umani e della dignità. Durante la guerra di 44 giorni nel 2020, abbiamo assistito al silenzio della comunità internazionale e durante questo periodo tutti i crimini commessi contro il popolo dell’Artsakh non sono stati adeguatamente condannati, per cui l’Azerbaigian continua ad ampliare la scala dell’aggressione.

  • Invitiamo i parlamenti di diversi Paesi e tutte le organizzazioni internazionali a condannare fermamente le recenti azioni dell’Azerbaigian e ad adottare misure pratiche per prevenire nuovi crimini.
  • Chiediamo alle forze di pace russe di svolgere tutte le azioni necessarie per garantire la stabilità della linea di contatto.

Chinando il capo davanti a tutte le vittime della lotta di liberazione dell’Artsakh, riaffermiamo il diritto del nostro popolo a uno stato libero e indipendente come unica garanzia di una vita sicura“.

Patria libera – Alleanza UCA

Partito della Patria Unita

Partito della Giustizia

Federazione Rivoluzionaria Armena

Partito Democratico dell’Artsakh

A seguito dell’attacco azero in Artsakh (Nagorno Karabakh) del 3 agosto il Ministero degli Esteri dell’Armenia ha rilasciato la seguente dichiarazione:

Il 3 agosto 2022, le forze armate dell’Azerbaigian, violando ancora una volta la Dichiarazione Trilaterale del 9 novembre 2020 dei leader di Armenia, Russia e Azerbaigian sulla cessazione delle ostilità nella zona del conflitto del Nagorno-Karabakh, hanno lanciato un’aggressione nell’area di responsabilità del contingente di mantenimento di pace russo, provocando vittime e feriti.

Nonostante i passi intrapresi dalla parte armena per raggiungere la stabilità e la pace nella regione, l’Azerbaigian continua la sua politica pre-programmata di terrorizzare la popolazione del Nagorno-Karabakh, sottoponendola alla pulizia etnica e all’occupazione strisciante del Nagorno-Karabakh.

Ricordiamo che l’irruzione illegale delle forze armate azere in direzione del villaggio di Parukh il 24 marzo di quest’anno, l’attacco ai villaggi di Khtsaberd e Hin Tagher dell’11 dicembre 2020, nell’area di responsabilità del contingente di peacekeeping russo sono casi di analoga aggressione e violazione del cessate il fuoco.

Riteniamo inaccettabili le dichiarazioni della parte azerbaigiana che tentano di modificare unilateralmente il regime giuridico nel Corridoio di Lachin definito dalla disposizione 6 della Dichiarazione Trilaterale, e riaffermiamo che la strada che attraversa il Corridoio di Lachin può essere modificata solo secondo il piano approvato dalle parti della Dichiarazione.

Come è chiaramente definito dalla Dichiarazione del 9 novembre, entro il prossimo triennio le parti (cioè la Federazione Russa, la Repubblica di Armenia e la Repubblica dell’Azerbaigian) dovranno definire il piano per la costruzione di una nuova strada di attraverso il Corridoio Lachin che collega l’Armenia con il Nagorno-Karabakh, con la successivo riposizionamento del contingente russo di mantenimento della pace per la protezione di tale strada.

Sottolineiamo che finora non esiste un piano del genere approvato all’interno di un formato trilaterale e invitiamo tutte le parti della Dichiarazione Trilaterale ad aderire ai loro impegni, a compiere sforzi immediati per attuare le condizioni stabilite dalla Dichiarazione del 9 novembre, compreso il mantenimento di un regime di cessate il fuoco, lo sblocco delle comunicazioni regionali, il rilascio e il ritorno die prigionieri di guerra, degli ostaggi e di altri detenuti.

Riteniamo necessario sottolineare ancora una volta che la Repubblica d’Armenia ha adempiuto a tutti i suoi obblighi. Il motivo della mancata attuazione di una serie di disposizioni della dichiarazione trilaterale del 9 novembre sono le interpretazioni arbitrarie, la continua retorica aggressiva e le azioni dell’Azerbaigian.

La Repubblica di Armenia, ribadendo il suo impegno per l’agenda di stabilire la pace e la stabilità nella regione, invita la comunità internazionale ad adottare misure per fermare il comportamento e le azioni aggressive dell’Azerbaigian e lanciare a tal fine i meccanismi internazionali necessari.

L’atteggiamento della leadership politico-militare dell’Azerbaigian nei confronti degli armeni si è manifestato per decenni nel comportamento criminale di odio, violenza fisica e psicologica, privazione intenzionale della vita, e non vi è nemmeno motivo di presumere che l’Azerbaigian possa cambiare questa strategia nel futuro prevedibile.

Artak Beglaryan, ministro di Stato dell’Artsakh (Nagorno Karabakh) commenta con fermezza la recente sparatoria azerbaigiana nei villaggi di Taghavard e Karmir Shuka di Artsakh.

Beglaryan ha sottolineato che i proiettili sparati contro le case dei civili nei suddetti villaggi e altre violazioni del cessate il fuoco nei giorni scorsi ne sono un’altra prova. Secondo lui, non importa quanto le autorità azere giochino alla pace e alla gentilezza, continuano ancora apertamente la politica dell’armenofobia e dell’aggressione al fine di espellere gli armeni dall’Artsakh e svilire lo stato armeno e tutti gli armeni.

Finché le autorità e il popolo dell’Azerbaigian non sono pronti per un dialogo e una pace reali e degni per tutte le parti, il conflitto [del Karabakh] non può essere risolto e non può esserci stabilità a lungo termine nella regione. Il riconoscimento e la difesa del diritto all’autodeterminazione del popolo dell’Artsakh non ha alternative, poiché siamo i padroni del nostro destino nella nostra patria, ed è l’unico modo per prevenire il nuovo genocidio nel mondo“, ha aggiunto il ministro di Stato dell’Artsakh.

Sembra ormai segnato il destino di Berdzor (Lachin) che andrà inevitabilmente sotto totale controllo del nemico azero.
Con la costruzione della nuova rotta, alternativa all’attuale, tra Armenia e Artsakh l’area di Berdzor e probabilmente anche il villaggio di Aghavno (dove fino al settembre 2020 c’era il controllo di frontiera della repubblica di Artsakh) finiranno all’Azerbaigian.
Anche il governo dell’Artsakh sembra rassegnato alla cessione della cittadina dove vivono ancora una cinquantina di famiglie armene che non sono sfollate dopo la guerra mentre per quanto riguarda il villaggio di Aghvano c’è forse ancora qualche esile speranza.
Cerchiamo di spiegare la situazione.

Con la sconfitta in guerra e il successivo accordo del 9 novembre la parte armena si è tra l’altro impegnata a consegnare il distretto di Lachin (Kashatagh nella repubblica di Artsakh) alla parte azera.
In questo distretto di trova anche quello che antecedentemente alla prima guerra del Karabakh era chiamato il “corridoio di Lachin” ovvero il punto più ravvicinato tra l’oblast autonoma del Nagorno Karabakh (NKAO) e l’Armenia.

Questa porzione di territorio è interessata dalla strada di collegamento tra Goris e Stepanakert e appunto dagli insediamenti di Berdzor e Aghavno.
Il primo sorge sul confine della vecchia oblast ma leggermente fuori di essa, il secondo quasi contiguo con l’Armenia.

Dopo l’ultimo conflitto, la strada è stata utilizzata in quel tratto sia dagli armeni (per raggiungere l’Artsakh e viceversa) sia dagli azeri (per collegare la parte meridionale a quella settentrionale del distretto e viceversa) con la forza di pace russa a fungere da vigile del traffico onde evitare che i convogli nemici si incontrassero.
La costruzione di una rotta alternativa (peraltro prevista dall’accordo di novembre) serve dunque agli azeri per occupare interamente la zona evitando il “fastidio” di dover condividerla con gli armeni.
Per questo stanno procedendo spediti i lavori per il passante alternativo: in Armenia, superata Goris, la rotta dovrà piegare a destra verso il villaggio di Kornidzor (con la necessità di riammodernare la strada locale,  ma non sappiamo se e quando partiranno i lavori); dall’altra parte il nuovo tracciato interessa i villaggi di Hinshen e Metzshen della provincia di Shushi (che gli azeri a dicembre 2020, dopo la fine della guerra, hanno tentato di occupare…) per poi congiungersi al vecchio percorso e bypassarlo più a nord all’altezza di Shushi.

Dalle dichiarazioni del governo dell’Artsakh sembra di capire che si vorrà vedere il completamento dell’opera prima di dare un giudizio finale. Ma tre sono i problemi fondamentali:

  1. L’agibilità del nuovo percorso: non si richiede un’autostrada a quattro corsie come quella che Aliyev sta costruendo tra Varanda (Fuzuli) e Shushi ma almeno una strada decentemente transitabile anche nella stagione invernale.
  2. La sorveglianza: dovrebbe essere affidata sempre ai russi dal momento che i punti ravvicinati con gli azeri sono molti.
  3. Le reti di servizio: lungo l’attuale percorso stradale passano la rete elettrica e quella del gas che portano energia dall’Armenia all’Artsakh. Considerato quanto accaduto con il gas lo scorso inverno a causa del criminale blocco azero e stanti le continue interruzioni di corrente causate dagli stessi azeri, non si può escludere che queste reti di servizio vengano spostate sulla nuova rotta. Ma sarà un lavoro lungo e costoso.

La nuova strada dovrebbe essere completata a fine 2023.

Quanto ad Aghavno, come detto, sorgeva quasi sul confine con l’Armenia e si potrà e dovrà discutere sul suo destino e di quello delle diverse famiglie che vi risiedono. Tra l’altro negli ultimi anni la comunità era stata interessata da importanti progetti di riqualificazione edilizia con la costruzione di molte nuove case. A pochi metri da quello che fino al settembre 2020 era il posto di controllo doganale sorge un piccolo impianto idroelettrico sull’omonimo fiume.

Visto come si sono comportati gli azeri nel dopoguerra, abbiamo dei dubbi che lasceranno anche solo un metro quadro di terra agli armeni.

Le dichiarazioni del presidente dell’Azerbaigian, Aliyev, rilasciate ieri nel corso di un forum a Baku fanno quasi sorridere se non fosse che di mezzo ci sono i diritti dei popoli e in particolare di quello del Nagorno Karabakh (Artsakh).

Il dittatore (che l’Europa tanto ama) ancora una volta si è dichiarato disponibile a fare la pace. Ma a modo suo…

Ha liquidato il Gruppo di Minsk che per quasi trenta anni ha cercato di tessere le fila del dialogo diplomatico ritenendolo ormai superato dalla sua azione bellica del 2020. Inoltre (e in questo ha ragione) il Gruppo dei co-presidenti non si riunisce più dall’inizio della guerra in Ucraina.

La pace secondo Aliyev non può prescindere dall’apertura del corridoio di Zangazur (il Syunik armeno): se non può acquisire il territorio dello Stato sovrano dell’Armenia, il dittatore azero vuole quanto meno il libero transito di uomini e merci senza controllo alcuno.

La pace secondo Aliyev considera ovviamente archiviato il problema del Nagorno Karabakh (Artsakh) con la guerra del 2020: nessun diritto per la popolazione armena di Stepanakert e dintorni se non quello di finire sotto il giogo di una dittatura armenofoba e razzista.

La pace secondo Aliyev vuol dire occupare porzioni di territorio dell’Armenia e poi riparlarne con una bella Commissione ad hoc.

La pace secondo Aliyev “è tutta colpa dell’Armenia che non la vuole”…

La pace secondo Aliyev sono le cinque proposte che gli armeni devono accettare altrimenti non se ne fa niente.

L’ennesimo sproloquio di Aliyev ieri a Baku è ancora una volta della arroganza e saccenza di questo dittatore fin troppo assecondato dal mondo civile

In risposta al discorso del presidente azero Ilham Aliyev al 9° Forum mondiale di Baku, il ministro di Stato della Repubblica del Nagorno Karabakh Artak Beglaryan dichiarato:

 “Sì, il Nagorno Karabakh non esiste, perché esiste la Repubblica del Nagorno Karabakh (Artsakh), ed è materia di diritto internazionale, anche se non formalmente riconosciuta a livello internazionale. Il conflitto azerbaigiano-Karabakh non è stato e non sarà risolto fino a quando l’Azerbaigian non terrà conto del diritto inalienabile della popolazione indigena dell’Artsakh all’autodeterminazione. La questione del riconoscimento internazionale (da cui lo status) della Repubblica dell’Artsakh sarà risolta prima o poi, e l’Artsakh non farà mai parte dell’Azerbaigian.

Sarebbe meglio se Aliyev pensasse di più a eseguire fedelmente i poteri conferitigli dalla Costituzione dell’Azerbaigian, garantendo i diritti dei propri cittadini (tra cui Lezgins, Talysh, Avari, Tatari e altre minoranze) invece di “preoccuparsi” dei diritti degli armeni. Aliyev si ricorda improvvisamente cosa è successo a più di 500.000 armeni nell’Azerbaigian sovietico, o c’è anche un armeno nei territori occupati dall’Azerbaigian dell’Artsakh? Ci sono una serie di altre domande e risposte rivolte a Ilham Aliyev, ma ve le lascio immaginare“, ha detto.

Ancora una volta il dittatore dell’Azerbaigian (che tanto piace a certi politici italiani…) ha rilasciato dichiarazioni provocatorie.
Invece di promuovere fiducia e un dialogo costruttivo con la parte armena, Aliyev con arroganza considera chiusa la questione del Nagorno Karabakh (Artsakh).

Abbiamo risolto questo problema, che l’Armenia lo voglia o no, il mondo intero lo accetta. Abbiamo risolto il conflitto del Nagorno-Karabakh. Il conflitto del Nagorno Karabakh è risolto. Per quanto riguarda il territorio amministrativo del Nagorno Karabakh, non esiste sul territorio dell’Azerbaigian. La parola Nagorno Karabakh non esiste quindi nel lessico delle strutture internazionali, e l’ultimo incontro di Bruxelles lo ha dimostrato ancora una volta” ha dichiarato Aliyev. “Il 24 maggio si è svolto il primo incontro delle commissioni al confine azerbaigiano-armeno. Definiremo i confini, il che è molto importante. se definiamo i confini, allora di quale stato di “Nagorno-Karabakh” possiamo parlare?! C’è la zona del Karabakh, la regione del Karabakh. Questo è il territorio dell’Azerbaigian e tutti lo accettano. Pertanto, il primo incontro delle commissioni sulla delimitazione del confine tra Azerbaigian e Armenia è di grande importanza“, ha osservato Aliyev.

Al presidente azero ha quindi risposto immediatamente il Ministro di Stato della repubblica di Artsakh, Artak Beglaryan che ha osservato come il processo e i risultati di delimitazione e demarcazione con la Repubblica di Armenia non possono influenzare lo status attuale e futuro dell’Artsakh.

In particolare ha dichiarato che il conflitto del Karabakh non è con la Repubblica di Armenia, ma con la Repubblica del Nagorno Karabakh (Artsakh) e che questo conflitto non è stato risolto, e questo è un fatto che tutto il mondo accetta, a prescindere da alcune differenze di interessi e formulazioni.
Se l’Azerbaigian vuole voltare pagina al conflitto e chiarire lo status dell’Artsakh, allora può portare avanti il ​​processo di delimitazione e demarcazione anche con la Repubblica dell’Artsakh, restituendo allo stesso tempo i nostri territori occupati e riconoscendo la nostra indipendenza” ha dichiarato Beglaryan aggiungendo che il principio fondamentale della risoluzione dei conflitti è la piena realizzazione e riconoscimento del diritto dei popoli all’autodeterminazione.

Solo dopo aver superato questa prova, la comunità internazionale dimostrerà che, contrariamente alle affermazioni di Aliyev, esiste tuttavia il diritto internazionale, dove il diritto dei popoli all’autodeterminazione ha il suo posto fondamentale. Un altro importante principio del diritto internazionale è il non uso della forza/minaccia dell’uso della forza, anch’esso gravemente violato e ignorato dall’Azerbaigian. Inoltre, Aliyev oggi ha minacciato ancora una volta nuovi precedenti per l’uso della forza, che è un chiaro segnale per la comunità internazionale di adottare misure preventive e sanzionatorie.
Incoraggiare e ignorare il comportamento deviante porta gradualmente a disastri internazionali, diventando pratica internazionale e parte del diritto consuetudinario, un esempio di consuetudine legale
” ha aggiunto il ministro.

Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha riassunto i risultati dell’incontro trilaterale con il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev e il primo ministro armeno Nikol Pashinyan tenutosi domenica 22 maggio a Bruxelles e durato alcune ore. Sull sito web del Consiglio europeo è stata pubblicata la seguente dichiarazione:

“Oggi ho ospitato nuovamente il Presidente Aliyev dell’Azerbaigian e il Primo Ministro Pashinyan dell’Armenia. Questa è stata la nostra terza discussione in questo formato. Ci siamo concentrati sulla situazione nel Caucaso meridionale e sullo sviluppo delle relazioni dell’UE con entrambi i paesi e con la regione in generale.La discussione è stata franca e produttiva. Abbiamo esaminato l’intera serie di problemi. Abbiamo avuto una discussione dettagliata su questioni umanitarie, compreso lo sminamento, e gli sforzi per liberare i detenuti e affrontare il destino delle persone scomparse.
Abbiamo raggiunto i seguenti risultati:

QUESTIONI DI CONFINE
La prima riunione congiunta delle Commissioni di frontiera si svolgerà nei prossimi giorni al confine interstatale. Affronterà tutte le questioni relative alla delimitazione del confine e al modo migliore per garantire una situazione stabile.

CONNETTIVITA’
I leader hanno convenuto sulla necessità di procedere allo sblocco dei collegamenti di trasporto. Hanno concordato i principi che regolano il transito tra l’Azerbaigian occidentale e il Nakhichevan e tra le diverse parti dell’Armenia attraverso l’Azerbaigian, nonché il trasporto internazionale attraverso le infrastrutture di comunicazione di entrambi i paesi. In particolare hanno concordato i principi dell’amministrazione delle frontiere, della sicurezza, delle tasse fondiarie ma anche delle dogane nel contesto del trasporto internazionale. I vicepremier porteranno avanti questo lavoro nei prossimi giorni.

ACCORDO DI PACE
I leader hanno deciso di portare avanti le discussioni sul futuro trattato di pace che disciplina le relazioni interstatali tra Armenia e Azerbaigian. Le squadre guidate dai ministri degli Esteri porteranno avanti questo processo nelle prossime settimane. Oltre a questa traccia, ho anche sottolineato ad entrambi i leader che era necessario che i diritti e la sicurezza della popolazione di etnia armena nel Karabakh fossero presi in considerazione.

SVILUPPO SOCIO-ECONOMICO
L’UE porterà avanti con entrambe le parti il ​​lavoro del gruppo consultivo economico, che cerca di promuovere lo sviluppo economico a vantaggio di entrambi i paesi e delle loro popolazioni.

Ho anche sottolineato l’importanza di preparare le popolazioni a una pace sostenibile a lungo termine. L’UE è pronta a rafforzare il suo sostegno.Abbiamo deciso di rimanere in stretto contatto e ci incontreremo di nuovo nello stesso formato entro luglio/agosto. Grazie.”

***********************************************************************************************************

QUALE DESTINO PER L’ARTSAKH? NOSTRE RIFLESSIONI

Qualche veloce riflessione sul vertice trilaterale di Bruxelles del 22 maggio tra il Capo della Commissione europea Michel, Aliyev e Pashinyan.

La stringata dichiarazione pubblicata sul sito della Commissione dice poco, riassumendo per argomenti la sostanza di ore di discussione. Utilizziamo lo stesso metodo per le nostre considerazioni.

QUESTIONI DI CONFINE
La Commissione speciale già prevista dall’incontro del 6 aprile partirà a breve anche se non è ancora delineato il perimetro di lavoro: ci saranno solo due delegazioni oppure è prevista anche la presenza di un terzo (presumibilmente l’UE) a fare da arbitro nella disputa? Sarà necessario in futuro fare chiarezza sui parametri adoperati per la determinazione della frontiera fra Armenia e Azerbaigian.

CONNETTIVITA’
Viene ribadita la necessità di implementare i transiti “tra l’Azerbaigian occidentale e il Nakhichevan e tra le diverse parti dell’Armenia attraverso l’Azerbaigian”. Si parla, in buona sostanza, della linea ferroviaria che attraversa il Syunik e di qualche valico stradale. Criptica l’espressione “ATTRAVERSO l’Azerbaigian”: quali parti dell’Armenia sono collegabili “attraverso” l’Azerbaigian? Il Segretario del Cosniglio di sicurezza dell’Armenia ha precisato alla stampa che tale espressione intende la possibilità per un cittadino armeno di raggiungere ad esempio Meghri passando da Nakhichevan. Si noti anche l’espressione “AZERBAIGIAN OCCIDENTALE” che può interpretato come tutta la parte dello Stato che confina con l’Armenia ma potrebbe anche intendere la regione del Nagorno Karabakh: in questo caso l’utilizzo sarebbe per noi estremamente negativo…

ACCORDO DI PACE
Il passaggio più significativo riguarda il riferimento ai “diritti e la sicurezza della popolazione di etnia armena nel Karabakh”.  Nei precedenti comunicati la regione non era mai stata citata e questo è già un (piccolo) passo in avanti; naturalmente la frase vuol dire tutto e il suo contrario: non si parla dello status del territorio, teoricamente diritti e sicurezza possono essere anche un obiettivo dentro l’Azerbaigian, il che fa decisamente sorridere se si pensa alla campagna di armenofobia di Stato attuata dal regime di Aliyev. SVILUPPO SOCIO-ECONOMICO
l’Unione europea chiaramente vuole giocare un ruolo da protagonista nella trattativa tra armeni e azeri. Ogni riferimento alla situazione ucraina e alla volontà di mettere fuori gioco la Russia (il gruppo di Minsk è praticamente defunto…) non è puramente casuale. Nel prevertice tra Michel e Pashinyan si è anche parlato dei due miliardi e mezzo di investimenti dell’Unione in Armenia, soldi particolarmente graditi a Yerevan dopo il disastro della guerra e la crisi economica conseguente alla pandemia.
Soldi che forse possono servire a “preparare le popolazioni a una pace sostenibile”: in Azerbaigian la società civile è schiacciata dal giogo della dittatura e non ha voce in capitolo, in Armenia il dibattito democratico è sicuramente più ampio.
Bisognerà capire quanto i princìpi e i valori nazionali avranno la meglio su mere esigenze di bilancio. E ci fermiamo qui…