Le prime avvisaglie si erano avute già all’indomani della fine della guerra del 2020 allorché lo splendido monastero armeno di Dadivank – rimasto sia pure per una manciata di chilometri nel territorio controllato dai militari dell’Azerbaigian – era finito nelle mire della propaganda del ministero della cultura.
Subito ribattezzato con il nome di Khudavang, da Baku erano giunti proclami sulla identità azerbaigiana del sito e il 4 dicembre un rappresentante della minuscola comunità Udi vi aveva officiato una liturgia accompagnato. da uno stuolo di funzionari governativi e militari azeri.
Fu subito chiaro che l’indirizzo politico di Baku dopo il conflitto era quello di “dearmenizzare” le chiese armene e ricondurre le stesse all’origine albana.

Le chiese erano viste, giustamente, come un simbolo dell’armenità della regione e pertanto doveva essere attuata una doppia strategia: quello che non era stato distrutto durante o subito dopo il conflitto andava adeguatamente “restaurato” eliminando ogni traccia di armenità alle stesse.

Un esempio lampante di questa politica è dato dalla cattedrale di Shushi Ghazanchetsots (S.mo Salvatore) intenzionalmente colpita dai missili azeri durante la guerra, oggetto di vandalismi a fine conflitto e poi ingabbiata in lavori di manutenzione.
Basta soffermarsi su quanto riporta il sito del ministero della cultura azero per capire le finalità di questo restauro: “Come tutti gli altri monumenti storici e culturali dell’Azerbaigian, la Chiesa di Gazanchy sarà restaurata sulla base di documenti storici e materiali d’archivio, nel rispetto del suo aspetto artistico ed estetico originario; è un’attività scientifico-pratica-di ricerca e comprende un’analisi completa del monumento e lo studio delle caratteristiche architettoniche e storiche. Il progetto di restauro consentirà di riportare il monumento all’aspetto originario, come era nell’Ottocento”.
In parole semplici, verranno eliminati tutti gli elementi che in qualche modo possano riportare all’identità armena della chiesa, a cominciare dalla cupola (subito rimossa) e qualsiasi altra iscrizione. Naturalmente i “documenti storici” custoditi a Baku avranno un grado di attendibilità elevatissimo…

A giugno era stato poi il presidente Aliyev a dichiarare pubblicamente, nel corso di un suo tour ad Hadrut, che da ogni monumento civile o religioso nei territori ora sotto controllo azero andava rimossa qualsiasi iscrizione o riferimento armeno.
Un’operazione di pulizia etnica culturale, con arroganza annunciata pubblicamente senza che né l’Unesco né qualsiasi altra istituzione culturale o politica internazionale sentisse il dovere di criticarlo.

Ora, pochi giorni fa, il 3 febbraio, è partita ufficialmente la campagna di “dearmenizzazione”: il ministro della Cultura, Anar Karimov, ha affermato che sarà istituito un gruppo di lavoro per identificare ciò che ha definito “falsificazione armena” nelle chiese, mettendo in pratica una teoria pseudoscientifica che nega l’origine armena delle chiese.
Di fatto, il governo dell’Azerbaigian annuncia ufficialmente che intende cancellare le iscrizioni armene sui siti religiosi nel territorio che ha rivendicato nella guerra del 2020 con l’Armenia; anzi, rimuovere “le tracce fittizie scritte dagli armeni sui templi religiosi albanesi“.

La giustificazione di tale condotta si basa sulla teoria (sviluppata per la prima volta negli anni ’50 dallo storico azerbaigiano Ziya Buniyatov) che le chiese armene in realtà erano originariamente l’eredità dell’Albania caucasica, un antico regno un tempo situato in quello che oggi è l’Azerbaigian. La teoria, che non è supportata dagli storici tradizionali, è stata a lungo propagata dagli storici nazionalisti azerbaigiani ed è stata accolta dall’attuale governo di Baku.

Ora, tale vergognoso oltraggio all’arte, all’architettura e alla religione, oltre a meritare una decisa presa di posizione internazionale (ma son tutti troppo preoccupati a richiedere il gas azero per far fronte alla crisi ucraina…) ci induce ad alcune considerazioni:

  1. Come può rivendicare un’eredità culturale e religiosa uno Stato che esiste dal 1918?
  2. Se le chiese e i manufatti armeni altro non erano che sovrapposizioni di chiese e manufatti “albani”, perché per decenni gli azeri li hanno distrutti? Perché si sono accaniti sulle migliaia di croci di pietra medioevali (katchkar) di Julfa o hanno distrutto centinaia di chiese nel Nakchivan?
  3. Se gli azeri si dichiarano “eredi” degli albani caucasici cristiani, perché hanno mandato in guerra contro gli armeni migliaia di miliziani jihadisti che hanno compiuto atti di sacrilegio nei siti religiosi cristiani e hanno sgozzato come “infedeli” numerosi soldati e civili armeni?

Purtroppo, per le note congiunture economiche ed energetiche, difficilmente potrà arrivare una qualche solidarietà dalla politica europea e italiana in particolare.
La cui attiva lobby – qualche politico che “lancia appelli”, qualche giornalista di terza fascia, qualche ex professorino a pagamento – si è già attivata con interventi sui media nazionali per fare da cassa di risonanza e provare a fornire un qualche supporto storico all’ennesima porcata del dittatore Aliyev.
Naturalmente l’unico supporto che hanno è quello dei soldi…

Non è un mistero che il dittatore dell’Azerbaigian abbia eletto la città di Shushi a simbolo della vittoria nella guerra del 2020. La sua conquista vale più di tutti gli altri territori e non a caso gli azeri stanno moltiplicando gli sforzi per prendere possesso stabile di questo centro (che faceva parte in epoca sovietica della regione autonoma armena del Nagorno Karabakh).

Quasi completata la superstrada provenienti da Fuzuli, abbattuti tutti i condomini residenziali eretti nei decenni passati, eliminate tutte le tracce di presenza armena in città con le due chiese danneggiate intenzionalmente nel conflitto, poi vandalizzate e ora nascoste alla vista da ponteggi.

Secondo un copione già scritto, è già partita la riscrittura azera della storia della città che Aliyev ha definito “capitale storica e culturale dell’Azerbaigian” annunciando inoltre, nel suo discorso di Capodanno, che il 2022 sarà l’anno di Shushi (anzi, Shusha come la chiamano loro…).  

Quanto siano ridicoli questi tentativi di interpretazione azera della storia, lo dimostrano le parole del deputato azero Malahat Ibrahimgizi che in un’intervista alla stampa locale ha sottolineato che “una tale decisione ha un grande significato politico, storico e legale” aggiungendo che “l’Azerbaigian, che è uno stato giovane con una storia di indipendenza di 30 anni, non era aperto al mondo durante l’era sovietica”. Ma poi ha anche precisato che “per questo motivo, sullo sfondo dei piani insidiosi contro il nostro popolo negli ultimi duecento anni, è stato impossibile introdurre Karabakh e Shusha nel mondo come la terra storica dell’Azerbaigian”.
E qui ci arrendiamo di fronte alla logica: affermare che Shushi e il Karabakh sono terre storiche dell’Azerbaigian ovvero di uno Stato che esiste da soli trenta anni oltrepassa il limite del ridicolo ma conferma la tradizione tutta azera di ricostruire storia, cultura e religione a propria immagine e somiglianza.

Qui di seguito riportiamo una breve storia di Shushi.

1428: Shushi è menzionata in un manoscritto di padre Manuel conservato oggi al Metenadaran di Yerevan. In seguito, è citata in altre fonti armene nel 1575, 1607, 1717 e 1725.

1722: la città è fortificata da Avan Haryurapet e così utilizzata dai soldati armeni per difenderla dalla invasione turca. Nello stesso periodo fu costruita una cappella in legno laddove oggi sorge la cattedrale del S.mo Salvatore (Ghazanchetsots).

1752: La fortezza di Shushi viene consegnata da un principe armeno locale (Melik Shahnazar di Varanda, grossomodo l’attuale provincia di Martuni) al neonominato Khan del Karabakh Pamah Ali Khan. Quesi si stabilì nella città dove fece confluire tribù turche provenienti dalle pianure steppose dove oggi sorge Aghdam. Shushi fu proclamata la capitale del khanato del Karabakh (fondato nel 1747).

1805: il khanato del Karabakh riconobbe la sovranità dell’impero russo, nel 1813 fu ufficialmente annesso allo stesso e nel 1822 fu abolito. A quel tempo Shushi ospitava 10.000 abitanti con la componente turca che rappresentava il 72% della popolazione e gli armeni al 23%. Nel 1830 i turchi erano il 56% e gli armeni il 44%.

1850: la popolazione raggiunge le 12.000 unità con gli armeni che diventano maggioranza per la prima volta dal 1752.

1916: il rapporto demografico non cambia di molto (52% armeni, 43% turchi, 3% russi) ma la città raggiunge i 45.000 abitanti.

1918-20: armeni e forze azerbaigiane combattono per il controllo dell’Artsakh (Karabakh). Le area del territorio corrispondente a quello che in seguito diventerà l’oblast del Nagorno Karabakh sono abitate dagli armeni mentre le aree circostanti sono controllate dai musulmani mandati dal governo azero.

1919: nel mese di giugno le forze azere aiutate da curdi attaccano quattro villaggi armeni intorno a Shushi e provocano 700 vittime.

1920: in marzo gli azeri massacrano 20.000 dei 23.000 armeni della città, bruciando circa 7000 case. Tutta la parte armena è distrutta e abbandonata.

1920: in aprile l’Azerbaigian diviene Repubblica socialista sovietica e l’area del Karabakh fu posta temporaneamente sotto la sua amministrazione. A dicembre è l’Armenia che cade sotto i bolscevichi; Artsakh, Syunik e Nakhchivan sono destinati a diventare parte dell’Armenia sovietica. Per quanto riguarda il Karabakh, ripetuti Congressi del popolo richiedono l’annessione al soviet armeno.

1921: l’Artsakh viene trasferito all’Azerbaigian sovietico e la regione viene nominata Nagorno Karabakh; a quell’epoca vi vivevano 138.466 persone come da censimento di quello stesso anno; l’89% erano armeni. La città di Shushi si era ridotta a 9.223 abitanti di cui solo 289 erano armeni.

1923: la regione viene organizzata come oblast (Regione Autonoma del Nagorno Karabakh) sotto giurisdizione amministrativa azera. Dato che Shushi si era spopolata a causa dei pogrom di pochi anni prima ed era in rovina, il capoluogo regionale viene trasferito al paese di Vararakn (anche Khankhendi nel 19° secolo), poi rinominato Stepanakert.

1926: il censimento attesta che nel NK vivono 125.000 persone (89% armeni, 10% azeri, 1% russi) mentre a Shushi abitano 4900 azeri e 93 armeni oltre a 111 russi.

1926-1989: poco alla volta gli armeni cominciano a ritornare a Shushi e arrivano ad essere il 25% della popolazione. Nel 1961 il governo di Baku autorizza la demolizione dei quartieri armeni che erano ancora in rovina e vengono costruiti grandi blocchi di appartamenti al loro posto (dopo la guerra del 2020 gli azeri li hanno rasi al suolo perché erano abitati solo da armeni). Delle sei chiese che sorgevano in città ne rimangono solo due (Ghazanchetsots e Kanach zham). La città e il canyon che la lambisce vengono inseriti in una riserva naturale nel 1977; la popolazione ricomincia lentamente a crescere.

1988: conflitto etnico fra armeni e azeri che compiono numerosi massacri a danno della popolazione rivale in Azerbaigian. Tra il 16 e il 19 maggio attivisti azeri attaccano la popolazione armena a Shushi e 1500 abitanti sono costretti a fuggire; le scene si ripetono tra il 19 e il 21 settembre. La popolazione armena viene completamente espulsa dalla città.

1989: secondo il censimento, la popolazione del Nagorno Karabakh ammonta a 189.085 abitanti (77% armeni, 22% azeri, 1% russi. A Shushi vivono 15.039 persone, al 98% di etnia azera. Il governo dell’Azerbaigian incoraggia il trasferimento nella regione di turchi meshketi provenienti dall’Uzbekistan.

1991: il 2 settembre il Consiglio del Nagorno Karabakh dichiara l’indipendenza dopo che la RSS Azera ha dichiarato la propria fuoriuscita dall’Urss e l’indipendenza. A ottobre le forze militari azere di stanza a Shushi cominciano a bombardare Stepanakert e la valle. A dicembre il NK tiene referendum confermativo sulla dichiarazione di indipendenza e il 28 dicembre elezioni politiche.

1992: il 10 gennaio fitto lancio da Shushi di missili azeri su Stepanakert che da quattro giorni è la capitale della neonata repubblica del Nagorno Karabakh-Artsakh. Il 9 maggio, Shushi viene liberata dalle forze armate armene e la popolazione azera ripara a Baku e nelle aree vicine.

1992-2019: sotto l’amministrazione della repubblica di Artsakh, gli armeni che erano scappati dall’Azerbaigian per i massacri (Sumgaiyt, Kirovabad, Baku) cominciano ad arrivare in Artsakh e a stabilirsi a Shushi. Nel 2005 la popolazione di Shushi era di 3.191 persone al 99,5% armene. Nel 2015 gli abitanti erano aumentati a 4.060, cinque anni dopo la popolazione sfiorava le cinquemila unità.

2020: il 27 settembre l’Azerbaigian attacca la repubblica di Artsakh. Tra l’8 e il 9 novembre Shushi viene catturata. Le due chiese sono danneggiate, molti edifici vengono intenzionalmente distrutti. La città viene occupata dalle forze armate azere.

2021: il presidente dell’Azerbaigian dichiara Shushi capitale storica dell’Azerbaigian.

L’Azerbaigian commemora il 32° anniversario del cosiddetto “Gennaio nero” allorché scontri tra le forze militari dell’URSS e gruppi armati azeri provocarono perdite da entrambe le parti. Secondo alcune fonti neutrali, durante quegli eventi (tra il 13 e il 20 gennaio 1990), sono state uccise da 131 a 170 persone e quasi 700 sono rimaste ferite. Ma evidentemente a Baku hanno la memoria corta, oppure ricordano benissimo cosa è accaduto prima…

Il “gennaio nero” Azerbaigian è stato preceduto da allarmanti precursori di violenze di massa con la popolazione armena inerme, abbandonata dalle forze armate e dell’ordine che nulla fecero per proteggerla mentre il “Fronte popolare” aizzava gli animi più estremisti e montava l’odio contro gli armeni.

Il 12 gennaio 1990 a Baku scoppiò un pogrom di sette giorni contro gli armeni. Questa non è stata un’azione spontanea, una tantum, ma una delle tante azioni anti-armene dell’Azerbaigian. Sebbene diverse fonti affermassero che il pogrom degli armeni a Baku fosse una risposta diretta alla risoluzione sull’unificazione formale del Nagorno Karabakh con l’Armenia, la realtà fu che quelle violenze altro non erano se non la continuazione della politica anti-armena dell’Azerbaigian, durante tutto il XX secolo, compreso il periodo sovietico.

A partire dal 1988 a Baku si svolsero grandi manifestazioni, organizzate da gruppi di radicali con il pieno sostegno delle autorità sovietiche dell’Azerbaigian. Il 12 gennaio 1990, una massa si raccolse in piazza Lenin a Baku per ascoltare i leader del “Fronte popolare” e altri radicali che chiedevano alla gente di difendere la sovranità azerbaigiana e l’integrità territoriale dagli armeni. Poco dopo, diversi gruppi di giovani estremisti iniziarono a vagare per Baku, terrorizzando gli armeni e avvertendoli di lasciare la città.

La sera dello stesso giorno, i manifestanti cominciarono ad attaccare gli armeni. Lo storico Thomas de Waal afferma che, come a Sumgayit, gli attivisti si distinsero per l’estrema crudeltà delle loro azioni. Le case degli armeni furono bruciate e saccheggiate e gli armeni furono uccisi e feriti. Diverse persone hanno parlato della crudeltà degli azeri. Aleksei Vasilyev, un soldato sovietico, in seguito ha testimoniato di aver visto come una donna nuda è stata gettata dalla finestra mentre la sua casa stava bruciando. Un giornalista americano Bill Keller, che si trovava a Baku poco dopo i pogrom, nel suo rapporto per il New York Times ha scritto: “Qua e là, finestre sbarrate o muri anneriti dalla fuliggine segnano un appartamento in cui gli armeni sono stati cacciati dalla folla e le loro cose sono state date alle fiamme sul balcone“. La chiesa armena ortodossa, la cui congregazione è stata impoverita negli ultimi due anni da un’emigrazione basata sulla paura, fu ridotta a una rovina carbonizzata. Un vicino ha detto che i vigili del fuoco e la polizia hanno assistito senza intervenire mentre i vandali hanno distrutto l’edificio sacro all’inizio dell’anno.

Le violenze e gli omicidi sono testimoniati dal presidente del Consiglio dell’Unione delle forze armate dell’URSS, Yevgeny Primakov, inviato a Baku con decreto del presidente del Soviet supremo dell’URSS, Mikhail Gorbachev, e dal ministro dell’Interno Affari dell’URSS, Vadim Bakatin, nonché il comandante della 106a divisione aviotrasportata delle forze armate, che era sul posto, il maggiore generale Alexander Lebed, che ha anche assistito ai massacri degli armeni.

Uno dei leader dei radicali, Etibar Mamedov, ha testimoniato di azioni crudeli e ha affermato che non vi era alcun intervento ufficiale. Ha detto di aver visto come due armeni sono stati uccisi mentre i poliziotti erano vicini alla scena del crimine.

I pogrom contro gli armeni sono durati una settimana, a seguito della quale, secondo diverse fonti, sono state uccise più di 150 persone, più di 300 armeni sono rimasti feriti e più di 200.000 armeni hanno dovuto lasciare Baku.

Per tutto questo tempo, le autorità dell’URSS hanno assistito a come gli armeni indifesi venivano uccisi e torturati. Il 20 gennaio, dopo che la popolazione armena era già stata espulsa dalla città, le truppe dell’Unione Sovietica intervennero a Baku e fu dichiarato lo stato di legge marziale.

Mikhail Gorbachov ha affermato che i radicali armati azeri hanno aperto il fuoco sulle truppe sovietiche, motivo per l’inizio degli scontri. Le truppe hanno attaccato i manifestanti radicali e sono iniziate gli scontri tra le truppe dell’Unione Sovietica e gruppi armati di radicali azerbaigiani. Le truppe sovietiche riuscirono a spezzare la resistenza dei manifestanti radicali in un solo giorno.

Come si vede dalla cronologia degli eventi, i pogrom armeni a Baku e gli eventi del “Gennaio nero” hanno una connessione, ma la connessione non è il modo in cui le autorità azerbaigiane cercano di mostrarla. I pogrom armeni furono una delle ragioni dell’intervento delle truppe sovietiche a Baku, ma i civili armeni non hanno alcun senso di colpa per il fatto che i gruppi radicali azerbaigiani, con il pieno appoggio delle loro autorità, decisero di organizzare pogrom e uccidere gli armeni nelle loro stesse case.

Ancora oggi, le autorità azere cercano di utilizzare ogni episodio della loro storia per la loro politica armenofobica. Dire che gli armeni sono i responsabili degli eventi del “gennaio nero” non è altro che un altro atto di populismo. L’Azerbaigian continua a demonizzare gli armeni e nasconde l’orrore di cui si sono macchiati i governanti azeri. O forse hanno solo la memoria corta…

In un’intervista con i media azeri, il presidente azerbaigiano ha espresso insoddisfazione per il fatto che la forza di pace russa stia creando ostacoli al deflusso degli armeni dal territorio dell’Artsakh e stia usando vari mezzi per mantenere gli armeni nell’Artsakh.
Si tratta di una dichiarazione gravissima che evidenzia, ancora una volta, la volontà azera di “ripulire” il territorio dagli armeni.
A questa ennesima grave affermazione ha risposto Gegham Stepanyan, difensore dei diritti umani (difensore civico) dell’Artsakh.

“Gli sforzi compiuti dalle forze di pace per ripristinare la vita pacifica nell’Artsakh causano insoddisfazione alle autorità azerbaigiane.
Questa non è altro che una confessione della politica azerbaigiana di pulizia etnica degli armeni nel territorio di Artsakh, deportando la popolazione armena e privandola della loro patria.
La politica di chiudere la questione appropriandosi dell’Artsakh cambiando i dati demografici a favore degli azeri non è nuova in Azerbaigian; ha guadagnato più slancio durante il governo del padre di Ilham Aliyev, Heydar Aliyev, in particolare negli anni ’70.

Nel 2002, in un’intervista con i media azerbaigiani, Heydar Aliyev dichiarò testualmente: “Allo stesso tempo, ho cercato di cambiare i dati demografici lì. Il Nagorno-Karabakh ha sollevato la questione dell’apertura di un’università lì. Qui [in Azerbaigian] tutti si opposero. Ho pensato e deciso di aprire. Ma a condizione che ci fossero tre settori: azero, russo e armeno. Ho aperto. Abbiamo inviato azeri dalle regioni adiacenti non a Baku lì [Oblast’ autonoma del Nagorno-Karabakh]. Abbiamo aperto una grande fabbrica di scarpe lì [Oblast’ Autonoma del Nagorno-Karabakh]. Non c’era forza lavoro nella stessa Stepanakert. Abbiamo inviato lì azeri dai luoghi circostanti la regione. Con queste e altre misure, ho cercato di avere più azeri nel Nagorno-Karabakh e di ridurre il numero di armeni”.

In questo modo, la politica sistematica delle autorità azere di interrompere con ogni mezzo la vita pacifica nell’Artsakh, di violare i diritti umani fondamentali, di creare un’atmosfera di paura e disperazione, mira a chiudere la questione dell’Artsakh. Questo è ciò a cui mirano i dati completamente falsi e manipolatori di Ilham Aliev sul numero di armeni che vivono ad Artsakh. In varie dichiarazioni e interviste, presenta deliberatamente dati che non hanno nulla a che fare con la popolazione reale di Artsakh. Che, tra l’altro, sono state più volte smentite dai dati forniti dalla parte russa.

Attiro l’attenzione dei rappresentanti dei circoli politici ufficiali di diversi Paesi, della comunità dei diritti umani, delle organizzazioni internazionali, esorto a non cedere alle manipolazioni azerbaigiane, a visitare l’Artsakh o ad utilizzare fonti oggettive per avere informazioni chiare e informazioni imparziali su Artsakh.”

Oggi le forze politiche rappresentate nell’Assemblea nazionale dell’Artsakh (Nagorno Karabakh) hanno rilasciato una dichiarazione congiunta sulla politica distruttiva e aggressiva della leadership politica dell’Azerbaigian. La dichiarazione recita quanto segue:

Dopo la dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020, l’Azerbaigian crea regolarmente situazioni di tensione ai confini della Repubblica dell’Artsakh e della Repubblica di Armenia, prendendo di mira principalmente la popolazione civile delle due repubbliche armene.

Tali provocazioni, divenute più frequenti negli ultimi giorni, dimostrano che l’Azerbaigian non ha rinunciato alla sua decennale politica anti-armena, che mette in discussione la leadership politico-militare del Paese sulle agende di pace, la sincerità delle dichiarazioni talvolta realizzato per organizzazioni internazionali.

Nonostante gli sforzi di pace di uno dei copresidenti del Gruppo di Minsk, la Federazione Russa, l’aggressione azera scatenata contro il popolo di Artsakh nell’autunno del 2020 con la partecipazione della Turchia e di terroristi internazionali, accompagnata da massicce violazioni dei diritti umani, continua con altri metodi. Tutto ciò è regolarmente infiammato dalle continue minacce rivolte in particolare dal leader dell’Azerbaigian, mettendo così in discussione la sicurezza del corridoio controllato dalle forze di pace russe.

L’abbandono di tutto questo da parte della dirigenza armena, delle organizzazioni internazionali e dei Paesi influenti e la mancanza di risposte adeguate, sono diventati il ​​segnale sbagliato per il leader del Paese vicino, il quale, dimenticando gli impegni presi dal suo Paese quando aderisce ad autorevoli strutture europee, sostiene attualmente di limitare le attività del Gruppo OSCE di Minsk, composto da tre membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite: Russia, Stati Uniti e Francia.

Consideriamo inammissibile un tale atteggiamento denigratorio nei confronti della suddetta autorevole struttura, che ha contribuito a lungo alla stabilità regionale sulla soluzione pacifica del conflitto in Karabakh dal 1992 e lo valutiamo come un aperto disprezzo del diritto internazionale e gli sforzi della comunità internazionale.

Condannando tale comportamento della leadership azerbaigiana, chiediamo ai copresidenti del gruppo di Minsk di adottare misure pratiche per neutralizzare la politica distruttiva dell’Azerbaigian al fine di prevenire nuove tensioni nella regione e riportare i responsabili di quel paese nel campo del diritto internazionale.

Libera Patria-UCA

Patria Unita

Giustizia

Federazione Rivoluzionaria Armena

Partito Democratico dell’Artsakh

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La dichiarazione delle forze parlamentari dell’Artsakh fa seguito alle recenti dichiarzioni del presidente azerbaigiano. Baku reprimerà i tentativi del Gruppo di Minsk dell’Osce di impegnarsi nel conflitto del Karabakh, secondo quanto riferito dai media locali citando Ilham Aliyev.
Aliyev ha affermato che l’OSCE non dovrebbe occuparsi del conflitto del Nagorno Karabakh, perché è stato risolto. Aliyev ha sottolineato che il gruppo di Minsk deve accettare la realtà e sapere che non può affrontare la questione del Karabakh perché non lo permetterà.

Qualche settimana fa è stato rilasciato ufficialmente dall’Ufficio dell’Ombudsman dell’Artsakh un rapporto sulle vittime civili armene nel corso del conflitto. Ve lo presentiamo, in forma sintetica e tradotta in italiano, in più riprese.
La lettura di questo documento evidenzia la crudeltà e le atrocità commesse dagli azeri in occasione del loro attacco all’Artsakh.
Uno spaccato terribile di quanto accaduto nel corso dell’aggressione contro gli armeni. A fare le spese della crudeltà azera furono soprattutto vecchi e infermi che non poterono lasciare i loro villaggi.

Sezione 3. I casi di uccisione di civili sotto il controllo dell’Azerbaigian

  1. Yuri Adamyan (25)
  2. Benik Hakobyan (73)
    I due vengono catturati dagli incursori azeri nella città di Hadrut. Legati e fucilati in piazza tra il 12 e il 14
    ottobre. Il giorno 15 il video della loro esecuzione viene diffuso da utenti social azeri. Il corpo della moglie di
    Benik, Elena Hakobyan, viene ritrovato a gennaio orrendamente mutilato.
  3. Mushegh Melkumyan
    Pensionato ottantatreenne di Hadrut dove era rimasto, impossibilitato a trasferirsi per le sue condizioni.
    Viene catturato il 10 ottobre. La parte armena il successivo 25 recupera il corpo. L’esame forense
    preliminare del corpo ha rivelato che la morte è stata causata da una lesione cerebrale traumatica.
  4. Eduard Zhamharyan
    Pensionato di 63 anni di Shushi, rimasto in città e catturato dagli azeri in data 8 novembre. Il suo corpo
    viene riconsegnato il successivo 3 dicembre e presenta ferita craniocerebrale aperta sul lato sinistro della
    testa.
  5. Ashot Munchyan
    Pensionato di 69 anni di Shushi. Catturato in data 8.11.2020 o nei giorni successivi. Il suo corpo è stato
    consegnato alla parte armena il 4 dicembre. Secondo la conclusione preliminare del medico legale, Ashot
    Munchyan è stato ucciso da una ferita da arma da fuoco e il suo orecchio sinistro era stato tagliato.
  6. Vladimir Parsiyants
    74 anni di Baku. Viveva a Shushi ed era un pensionato. Secondo l’esame medico legale, è stato ucciso dalle
    forze armate azerbaigiane il 18.11.2020. Il 5 dicembre nella città di Shushi, la parte azera ha consegnato alla
    parte armena il corpo che presentava una ferita da arma da fuoco alla coscia, nonché una ferita all’addome
    provocata da uno strumento tagliente-perforante.
  7. Vyacheslav Avakyan
    62 anni, viveva nella città di Shushi. Non era sposato. Il 13 dicembre 2020 la parte azera ha consegnato il
    corpo di che presentava una ferita da arma da fuoco alla schiena e una ferita all’addome causata da uno
    strumento tagliente-perforante.
  8. Yuri Asriyan
    82 anni, viveva nel villaggio di Azokh, nella regione di Hadrut, pensionato non sposato. Impossibilitato a
    lasciare il villaggio (regione di Hadrut) per problemi di salute, fu catturato il 21 ottobre dalle truppe azere
    che invasero il villaggio. Successivamente, a dicembre 2020, è stato diffuso un video su Internet, che
    conteneva la scena della sua decapitazione. Il corpo è stato trovato il 21 gennaio 2021.
  9. Eduard Shakhkeldyan
    79 anni, viveva nel villaggio di Avetaranots nella regione di Askeran dove viveva con sua moglie, Arega
    Shakhkeldyan. Entrambi catturati il 27 ottobre. L’uomo è morto per le percosse subite dai militari azeri.
  10. Genadi Petrosyan
    69 anni, residente nel villaggio di Madatashen nella regione di Askeran, dove era tornato dopo
    l’evacuazione del 27.10.2020 per ritirare le restanti cose. In quel frangente, i soldati azeri nel villaggio lo
    catturarono e più tardi a novembre venne pubblicato un video su Internet, che mostra chiaramente che
    Gennady Petrosyan è decapitato, il suo corpo e la testa amputata posti accanto al corpo di un maiale.
  11. Ernest Harutyunyan
    Pensionato di 84 anni di Hadrut. Il 4 dicembre il suo corpo è stato trovato sul balcone della casa durante le
    operazioni di ricerca dei cadaveri nella città occupata dagli azeri il 10 ottobre.
  12. Minas Hakobyan (66)
  13. Yeghishe Hakobyan (38)
    Residenti nel villaggio di Norashen nella regione di Hadrut. Il 5 dicembre i loro corpi, in pessime condizioni,
    sono stati rinvenuti dalle squadre di ricerca dei cadaveri.
  14. Nina Davtyan
    Pensionata di 82 anni residente nel villaggio di Vardashat. Il suo corpo, decapitato, è stato rinvenuto il 19
    dicembre. Il corpo del marito David Davdyan verrà ritrovato l’11 gennaio.
  15. Martik Avetisyan (57)
  16. Radik Stepanyan (83)
    Residenti nel villaggio di Togh (regione di Hadrut) dove erano rimasti alla data del 21 ottobre anche a causa
    della disabilità del più anziano. I loro corpi, in condizioni degradate, sono stati rinvenuti il 19 dicembre.
  17. Vardan Altunyan (89)
  18. Slavik Galstyan (68)
  19. Vahram Lalayan (46)
    Residenti nel villaggio di Metz Tagher dove erano rimasti alla data del 23 ottobre. I loro cadaveri in
    decomposizione vennero trovati il 20 dicembre.
  20. Henrikh Mirzoyan
    Pensionato di 83 anni residente nel villaggio di Norashen nella regione di Hadrut. Al 10 ottobre era ancora
    nel villaggio. Il suo corpo è stato rinvenuto il 20 dicembre.
  21. Valeri Vardanyan
    Pensionato di 73 anni del villaggio di Karmrakuch (regione di Hadrut). I suoi resti sono stati ritrovati il 3
    gennaio; per l’identificazione è stato necessario l’esame del DNA.
  22. Serjik Vardanyan (71)
  23. Ella Vardanyan (68)
    Coniugi di Hadrut i cui corpi sono stati ritrovati nel cortile di casa il 4 gennaio 2021. Necessario esame DNA
    per l’identificazione.
  24. David Davidyan
    Ottantaseienne di Vardashat, ritrovato l’11 gennaio 2021. Il corpo della moglie Nina Davtyan era stato
    recuperato il 19 dicembre.
  25. Alvard Tovmasyan
    57 anni del villaggio di Karin Tak (regione di Shushi), affetta da disabilità mentale. Il corpo, identificato con
    esame del DNA, viene rinvenuto il 13 gennaio con evidenti segni di tortura. Il lobo dell’orecchio sinistro era
    stato tagliato.
  26. Arsen Gharakhanyan
    44 anni, di Hadrut, sposato con tre figli. Il corpo viene ritrovato il 19 gennaio e presenta segni di tortura e
    ferite da arma da fuoco. L’uomo, che era rientrato in Hadrut per evacuare il padre, compare in due video
    postati su siti internet azeri il 6 e il 14 gennaio 2021. Il padre Sasha Karakhanyan era stato rilasciato dagli
    azeri il 14 dicembre e aveva riferito della prigionia del figlio. La Corte europea dei diritti dell’uomo il 16
    gennaio 2021 aveva emesso un provvedimento provvisorio nei confronti delle autorità dell’Azerbaigian.
  27. Elena Hakobyan
    Sessantasettenne pensionata di Hadrut. Il suo corpo viene rinvenuto non lontano da casa il 4 gennaio:
    risulta decapitato e le gambe sono legate da una corda. Il marito Benik Hakobyan era morto in un
    bombardamento il 4 ottobre.
  28. Marine Hayrapetyan
    53 anni, del villaggio di Drakhtik nella regione di Hadrut, affetta da disabilità mentale. Il corpo viene
    ritrovato il 21 gennaio 2021.
  29. Hmayak Mirzoyan
    Residente nel villaggio di Shekher nella regione di Martuni, pensionato di 79 anni. Allettato per problemi di
    salute, era accudito dalla figlia Gayane che gli azeri hanno catturato ad ottobre e restituita alla parte
    armena in data 11 dicembre. Il 20 dicembre, le squadre di ricerca trovano i resti dell’anziano.
  30. Ashot Sahakyan
    Residente ad Hadrut, 53 anni, lavorava in un allevamento di bestiame nel villaggio di Norashen. Il suo corpo
    viene rinvenuto vicino a un vecchio mulino il 4 dicembre.
  31. Volodya Aghabekyan
    82 anni del villaggio di Sghnakh invaso dalle truppe azere il 5 novembre. Il suo corpo presenta ferite di arma
    da fuoco alla testa.
  32. Ararat Khachatryan
    57 anni di Martuni. Lungo la strada tra i villaggi di Karin e Kohak perde l’orientamento e finisce in territorio
    controllato dagli azeri che lo catturano. Il suo corpo, con ferite da armi da fuoco e segni di tortura, viene
    restituito il 3 dicembre.
  33. Andranik Avagimyan
    Residente nel villaggio di Ukhtadzor (Hadrut), 38 anni. Viene ucciso nei pressi del villaggio di Jrakus il 12
    ottobre. La salma viene riconsegnata solo il 15 marzo e presenta evidenti segni di tortura e ferite da arma
    da fuoco.
  34. Borya Baghdasaryan
    66 anni, del villaggio di Avetaranots nella regione di Askeran. Non aveva lasciato la propria abitazione e il
    suo nome era stato inserito nella lista dei prigionieri di guerra. Tuttavia, in data 1° aprile 2021 il suo
    cadavere viene rinvenuto dalle squadre di ricerca.
  35. Edik Muradyan
    82 anni, del villaggio di Vank (Hadrut) dove era rimasto, viene ucciso a fine ottobre. Il corpo ritrovato il 3
    marzo e identificato con esame DNA, presenta fratture multiple del cranio e delle ossa.
  36. Kamo Davtyan
    61 anni, residente nel villaggio di Karmrakuch. Inizialmente inserito nella lista delle persone scomparse,
    viene successivamente rinvenuto nello stesso villaggio.
  37. Serob Khachatryan
    44 anni, del villaggio di Tumi (Hadrut). Inizialmente inserito nella lista delle persone scomparse, viene
    successivamente rinvenuto dalle squadre di ricerca nello stesso villaggio.
  38. Valerik Harutyunyan
    Sessantaseienne di Hadrut. Inizialmente inserita nella lista delle persone scomparse, viene successivamente
    rinvenuto dalle squadre di ricerca

(fine)

Qualche settimana fa è stato rilasciato ufficialmente dall’Ufficio dell’Ombudsman dell’Artsakh un rapporto sulle vittime civili armene nel corso del conflitto. Ve lo presentiamo, in forma sintetica e tradotta in italiano, in più riprese.
La lettura di questo documento evidenzia la crudeltà e le atrocità commesse dagli azeri in occasione del loro attacco all’Artsakh.
Uno spaccato terribile di quanto accaduto nel corso dell’aggressione contro gli armeni. A fare le spese della crudeltà azera furono soprattutto vecchi e infermi che non poterono lasciare i loro villaggi.

Sezione 2. I casi di uccisione di civili da parte delle Forze armate dell’Azerbaigian a seguito del bombardamento della popolazione civile

  1. Victoria Gevorgyan
    Anni nove, di Martuni, colpita da schegge di proiettile il primo giorno di attacco (27 settembre 2020). Con
    lei morta anche una donna e feriti il fratellino di due anni, la madre e un vicino.
  2. Ellada Balayan
    Anni 59, di Martuni, capoluogo della regione di Martuni, mortalmente colpita da schegge di bomba il 27
    settembre davanti alla abitazione dove è morta la bambina Victoria Gevorgyan.
  3. Lesmonya Stepanyan
    79 anni, pensionata invalida della precedente guerra (aveva perso un braccio da fuoco azero), di Hadrut. Il
    27 settembre è stata uccisa nel cortile di casa sua ad Hadrut dopo essere stata colpita da un drone
    kamikaze.
  4. Erik Grigoryan
    Anni 24 di Stepanakert, imprenditore. Il 27 settembre viene centrato dall’artiglieria l’abitazione di un suo
    amico dove si era recato in visita nel villaggio di Mets Shen nella regione di Martakert. Muore per lesioni da
    schegge.
  5. Abel Sargsyan
    78 anni, pensionato del villaggio di Zardakhach nella regione di Martakert. Il 29 settembre viene centrato
    da un razzo e il suo corpo smembrato. Sepolto in loco il medesimo giorno.
  6. Lyuba Mamunts (63 anni)
  7. Larisa Harutyunyan (61 anni)
  8. Hrant Khachatryan (65 anni)
    Tutti e tre vengono raggiunti da una bomba il 30 settembre mentre si trovano davanti a un negozio nel
    centro di Martakert. Muoiono Lyuba, la sorella Larisa e il marito Hrant mentre il figlio David Khachatryan
    rimane ferito.
  9. Armen Hovsepyan
    36 anni di Martuni, muore colpito da una scheggia di bomba nel centro della città il primo ottobre. Con lui
    rimaste ferite altre persone dall’ordigno azero.
  10. Valerik Dadayan
    69 anni, di Martuni, viene colpito da una bomba nel cortile della sua abitazione in data 1° ottobre.
  11. Grisha Narinyan
    29 anni di Martuni. Il primo ottobre muore per le schegge di una bomba mentre sta accompagnando
    giornalisti armeni e stranieri in ricognizione. L’ordigno ferisce anche un giornalista francese di France 24.
  12. Alina Harutyunyan
    54 anni, uccisa nel suo appartamento il 2 ottobre nel corso di un bombardamento azero su Stepanakert.
  13. Radik Danielyan
    71 anni, ucciso in strada il 2 ottobre nel corso di un bombardamento azero su Stepanakert.
  14. Hovik Aghajanyan
    26 anni, dipendente del Servizio di Emergenza nazionale (Protezione civile), morto nel bombardamento
    della sede il 2 ottobre. Feriti molti altri colleghi.
  15. Suren Mirzoyan (59 anni)
  16. Aram Grigoryan (19 anni)
    Dipendenti dell’azienda di elettricità Artsakhenergo, colpiti da attacco azero alle sottostazioni elettriche di
    Stepanakert il 4 ottobre. Ferito altro collega.
  17. Arkadi Lalayan
    59 anni, colpito il 4 ottobre nella sua abitazione a Stepanakert sotto bombardamento azero.
  18. Arthur Galstyan
    49 anni, di Stepanakert. Il 4 ottobre va a far visita alla madre ma viene colpito da missile azero esploso nelle
    vicinanze dell’edificio dove si stava recando
  19. Slavik Khachatryan (68 anni)
  20. Janibek Nikoghosyan (41 anni)
    Residenti nel villaggio di Aygestan (regione di Askeran) il 5 ottobre muoiono a seguito di bombardamento a
    tappeto delle forze armate azere sull’insediamento.
  21. Varujan Poghosyan
    58 anni di Hadrut. Il 10 ottobre un gruppo incursore azero entra nella città e lo colpisce a morte mentre si
    trova nel cortile della sua abitazione. Ferito il figlio.
  22. Mikael Mosesyan
    30 anni, di Hadrut, affetto da disabilità mentale. Il 10 ottobre un gruppo incursore azero entra nella città e
    lo uccide nella sua abitazione. Ferita gravemente la madre.
  23. Artsvik Mirzoyan
    23 anni, anche lui di Hadrut e affetto da disabilità mentale. Colpito a morte nella stessa incursione
    sovversiva azera del 10 ottobre. Il suo corpo viene recuperato solo nove giorni dopo.
  24. Nver Grigoryan
    44 anni, di Hadrut dove era il vice Capo dell’amministrazione regionale. Viene mortalmente colpito dal
    gruppo sovversivo azero il 10.10.2020 mentre sta organizzando l’evacuazione dei civili rimasti in città.
  25. Pargev Saghyan
    65 anni, pensionato. Morto nella sua abitazione durante il bombardamento di Martuni il 10 ottobre.
  26. Ashot Hovhannisyan
    68 anni, di Yerevan (RA). Colpito il 10 ottobre mentre si trovava alla guida di un camion che portava aiuti
    alimentari alla popolazione di Martakert.
  27. Nver Grigoryan
    45 anni, di Stepanakert. Dipendente della società elettrica Artsakhenergo, colpito mentre stava cercando di
    ripristinare una interruzione di linea causata dai bombardamenti.
  28. Armen Karamyan
    50 anni di Karmir Shuka (regione di Martuni). Il 15 ottobre un violento bombardamento con missili Smerch
    colpisce anche l’auto dove si trovava.
  29. Karen Grigoryan
    36 anni di Karmir Shuka (regione di Martuni). Il 15 ottobre viene raggiunto da un drone killer che colpisce il
    suo veicolo mentre era impegnato in operazioni di evacuazione dal villaggio degli ultimi compaesani ancora
    presenti.
  30. Vladimir Mirzoyan
    65 anni, di Martuni. Mortalmente colpito nel cortile della propria abitazione il 17 ottobre durante un
    bombardamento azero sulla città.
  31. Gevorg Hambardzumyan
    37 anni, residente nel villaggio di Avetaranots (regione di Askeran) attaccato il 25 ottobre. Feriti altri
    compaesani.
  32. Eduard Khachatryan
    Agricoltore di 53 anni del villaggio di Khanapat (regione di Askeran). Il 28 ottobre mentre sta abbandonando
    la località sotto attacco a bordo di un’auto viene colpito da drone azero.
  33. Harutyun Atajanyan
    35 anni, di Stepanakert, impiegato nel Servizio di Emergenza nazionale. Il 28 ottobre, mentre soccorreva la
    popolazione del villaggio di Sghnakh sotto attacco azero, viene mortalmente colpito dal nemico.
  34. Serjik Balayan
    Agricoltore di 60 anni del villaggio di Taghavard. Viene colpito da drone azero il 30 ottobre mentre con altri
    residenti si trova nei pressi dell’insediamento di Aknaghbyur. Altri sei civili rimangono feriti.
  35. Apres Adamyan
    59 anni, muore nella sua abitazione del villaggio di Herher crollata dopo essere stata colpita da missili azeri
    il 30 ottobre.
  36. Armo Avanesyan
    53 anni di Sos (Martuni). Il 2 novembre la sua auto viene centrata nei pressi del villaggio di Khnushinak
    mentre cerca di allontanarsi dalla zona.
  37. Svetlana Mkrtchyan (83)
  38. Erik Hakhumyan (28)
  39. Arkadi Hakhumyan (20)
    La casa dove l’anziana pensionata di Stepanakert viveva con i nipoti viene colpita da missile azero il 6
    novembre. I tre muoiono nel crollo dell’immobile.
  40. Vanik Babayan
    32 anni di Berdzor dove lavorava come tecnico della società del gas “Artsakhgaz”. Viene mortalmente
    colpito l’8 novembre mentre sta eseguendo un intervento urgente di riparazione della condotta. Nello
    stesso giorno, suo fratello muore sul campo di battaglia.
  41. Seryoja Demirchyan
    40 anni, viveva nel villaggio di Ivanyan nella regione di Askeran. La sua auto viene colpita da razzo azero non
    lontano da Shushi il 9 novembre, ultimo giorno di guerra.
  42. Arthur Hakobyan
    Cittadino della repubblica di Armenia (Armavir), colpito da granata azera il 25 ottobre

(segue)

Qualche settimana fa è stato rilasciato ufficialmente dall’Ufficio dell’Ombudsman dell’Artsakh un rapporto sulle vittime civili armene nel corso del conflitto. Ve lo presentiamo, in forma sintetica e tradotta in italiano, in più riprese.
La lettura di questo documento evidenzia la crudeltà e le atrocità commesse dagli azeri in occasione del loro attacco all’Artsakh.
Uno spaccato terribile di quanto accaduto nel corso dell’aggressione contro gli armeni. A fare le spese della crudeltà azera furono soprattutto vecchi e infermi che non poterono lasciare i loro villaggi.


Sezione 1. Informazioni generali sui crimini delle Forze armate dell’Azerbaigian che hanno provocato l’uccisione di civili in Artsakh
Questo rapporto riassume i casi di vittime civili causate dall’aggressione militare scatenata dall’Azerbaigian e dalla Turchia contro la Repubblica dell’Artsakh dal 27 settembre 2020, nonché uccisioni di civili imprigionati nelle zone passate sotto il controllo delle forze armate azerbaigiane. I casi sono introdotti con rilevanti brevi informazioni.
Dal 27 settembre 2020 al 27 settembre 2021, durante le attività conoscitive dello Staff dell’Ombudsman della Repubblica di Artsakh, sono stati identificati 80 civili che sono stati uccisi dal Forze armate azere. 42 di loro sono stati uccisi a seguito di attacchi mirati, 38 in prigionia.
Sono stati registrati numerosi casi di tortura e mutilazione di cadaveri, sicuramente classificabili come morti civili. L’Ombudsman per i diritti umani ha anche registrato i casi di 163 civili feriti, la maggior parte dei quali causati da bombardamenti che hanno provocato la morte di altre persone.
Le circostanze di violazioni gravi, deliberate e sistematiche del diritto alla vita e di altri diritti della popolazione civile della Repubblica di Artsakh sono presentate nelle sezioni 2 e 3.

Uccisione di civili per luogo di residenza:
Regione di Hadrut 32
Regione di Martuni 14
Stepanakert 13
Regione di Askeran 9
Regione di Martakert 5
Regione di Shushi 5
Regione di Kashatagh 1
Repubblica di Armenia 1

Uccisione di civili per localizzazione:
luogo di residenza 52
Spazio pubblico 15
Luogo di lavoro 1
In prigione azera 2

Uccisione di civili per circostanze di morte:
bombardamenti a lungo raggio 42
In cattività 38

Uccisione di civili per genere:
Maschi 68
Femmine 12

Uccisione di civili per età:
sotto i 18 anni 1
18-40 15
41-62 25
Sopra i 63 39

Questo documento presenta solo i casi confermati su basi indiscutibili, ma il personale dell’Ufficio del
difensore civico per i diritti umani di Artsakh ha ricevuto informazioni incomplete su altri presunti casi, non
ancora del tutto verificati.
Inoltre, al momento della pubblicazione del rapporto, sulla base delle attività di accertamento dei fatti
dell’Ombudsman, sono stati registrati circa 20 civili scomparsi, il cui destino è ancora sconosciuto.
Di seguito sono riportate le principali modalità di un’attività conoscitiva e di redazione della relazione:

• I rappresentanti dell’Ombudsman ricevono regolarmente dati sui decessi dall’Ufficio di medicina legale e
dagli ospedali.
• I dati sono raccolti anche dalle forze dell’ordine, oltre che dal Servizio di emergenza di Stato e dall’Esercito
di Difesa in particolare sui risultati delle operazioni di ricerca.
• Per le verifiche vengano effettuate visite e chiamate alla leadership delle comunità e delle regioni per
scoprire le circostanze degli incidenti e i dati delle vittime e dei loro familiari.
• Le interviste sono condotte con i parenti delle vittime e possibili testimoni, vengono chiariti i dati
anagrafici delle vittime e le circostanze della morte, si recuperano le foto delle vittime.
• Si organizzano visite e si effettuano studi in loco.

A seguito dell’applicazione dei metodi citati è stato possibile raccogliere i dati presentati, per preparare le
versioni pubbliche e chiudere del rapporto. Il rapporto definitivo ha aggiunto molte foto dei civili uccisi
prima e dopo la loro morte. La relazione pubblica è stata preparata senza foto, per non mostrare immagini
crudeli e sensibili.


La sezione 2 presenta le 42 vittime civili uccise da attacchi a lungo raggio delle Forze armate
dell’Azerbaigian, compresi i casi di attacchi missilistici, bombardamenti, attacchi e spari di gruppi sovversivi.


La sezione 3 riassume i dati su 38 vittime civili che sono state uccise in prigionia in Azerbaigian o almeno
sotto il loro controllo, attraverso violenza fisica, accoltellamento, decapitazione, tiro a distanza ravvicinata
e altri mezzi diretti. Dato che sono stati trovati i corpi di alcuni degli uccisi molto tempo dopo la morte, in
alcuni casi è diventato impossibile valutare in dettaglio le circostanze- della morte e le tracce dei delitti.
Tuttavia, in alcuni casi, brevi informazioni sono state fornite anche dai risultati preliminari degli esami
forensi.

(segue)

Convocata in sessione straordinaria, questa mattina l’Assemblea nazionale dell’Artsakh ha votato un documento di condanna per le parole pronunciate dal premier dell’Armenia nel corso di una intervista rilasciata il 24 dicembre e ribadisce che il destino dell’Artsakh può essere deciso unicamente dai suoi cittadini. Questo il testo:

Riteniamo inammissibile qualsiasi dichiarazione di varie forze e figure politiche che metta in dubbio o sminuisca la soggettività della Repubblica di Artsakh e il suo futuro armeno. È sconcertante che l’ultima dichiarazione del genere sia stata fatta il 24 dicembre dal Primo Ministro della Repubblica dell’Armenia, rispondendo alle domande dei rappresentanti dei media e delle organizzazioni pubbliche.

Il destino di Artsakh non era e non sarà monopolio di alcuna forza politica. Rappresentando l’opinione e la posizione di ampi circoli pubblici e politici della Repubblica di Artsakh, esprimiamo il nostro disaccordo e indignazione per una serie di formulazioni pericolose e distorte e le idee espresse durante l’intervista.

Preoccupa anche il fatto che sullo sfondo dei risultati della lotta di liberazione nazionale del 1988 – il movimento del Karabakh – si esprimono formulazioni che mettono in dubbio l’esistenza della Repubblica del Nagorno Karabakh (Repubblica dell’Artsakh), proclamata il 2 settembre 1991 e che si è formata in piena conformità con le norme del diritto internazionale, e la sua lunga lotta per ottenere il riconoscimento internazionale.

Le basi giuridiche e politiche delle parti armene nel processo negoziale degli anni precedenti e la tutela dei nostri interessi nazionali in questo contesto non sono entrate in alcuna contraddizione con le posizioni delle strutture e dei mediatori internazionali.

Il fatto che la questione dello status del Nagorno Karabakh non sia mai stata ignorata nelle proposte precedentemente presentate dai mediatori è confermato dalle spiegazioni dei copresidenti del Gruppo di Minsk dell’Osce.

Le speculazioni sulle opzioni di lavoro discusse nel processo negoziale nel corso degli anni e un possibile cambiamento nel formato dei negoziati suscitano preoccupazione e preoccupazione.

Riteniamo inaccettabili le dichiarazioni che mettono in dubbio l’appartenenza dell’Artsakh agli armeni e sottolineano l’importanza della presenza di possibili elementi estranei, che vengono respinti e condannati in memoria delle migliaia di armeni che hanno sacrificato la loro vita per la libertà e l’indipendenza di Artsakh.

Ammirando tutte le vittime della lotta di liberazione di Artsakh, esprimiamo contemporaneamente la nostra gratitudine a tutti gli armeni, in particolare ai nostri compatrioti della Repubblica di Armenia, per essere stati accanto all’Artsakh, condividendone le sofferenze e le difficoltà.

Le relazioni fraterne tra le due repubbliche armene si sono basate su una risoluzione adottata l’8 luglio 1992 dal Consiglio Supremo della Repubblica di Armenia, che ha definito chiaramente l’atteggiamento della Repubblica di Armenia, come membro a pieno titolo della comunità internazionale , alla Repubblica di Artsakh che lotta per il riconoscimento internazionale. Secondo tale risoluzione, l’Armenia si impegna a “sostenere costantemente la Repubblica del Nagorno-Karabakh e a proteggere i diritti della sua popolazione”, ed è inoltre stabilito che “qualsiasi documento internazionale o nazionale in cui la Repubblica del Nagorno-Karabakh sarà indicata come una parte dell’Azerbaigian è inaccettabile per la Repubblica di Armenia.” Questa formula è valida ancora oggi.

L’Assemblea Nazionale della Repubblica dell’Artsakh, ribadendo l’adesione del popolo e delle autorità dell’Artsakh alla sovranità e all’indipendenza della Repubblica dell’Artsakh, dichiara che è inammissibile esprimere qualsiasi posizione senza tener conto del punto di vista di le autorità di Artsakh, poiché solo le autorità legali formate dai cittadini della Repubblica di Artsakh attraverso le elezioni hanno il diritto di prendere decisioni in merito al futuro della Repubblica di Artsakh.”

Il pieno riconoscimento del diritto degli armeni dell’Artsakh (Nagorno-Karabakh) all’autodeterminazione non è soggetto a riserve e concessioni, e gli armeni dell’Artsakh ne sono i proprietari esclusivi. Pertanto, solo le autorità di Artsakh sono autorizzate a parlare a nome della popolazione di Artsakh. Lo afferma il post su Facebook del presidente di Artsakh Arayik Harutyunyan in aperta polemica con le dichiarazioni fatte dal Primo ministro dell’Armenia Nikol Pashinyan nel corso di una intervista rilasciata il 24 dicembre.

Cari connazionali,
riguardo le recenti dichiarazioni del Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan sul conflitto tra Azerbaigian e Karabakh e le diverse preoccupazioni degli armeni dell’Artsakh riguardo a tali dichiarazioni, vorrei sottolineare alcune disposizioni principali che ho toccato diverse volte in diversi messaggi e dichiarazioni e tali disposizioni sono le seguenti:

  1. Il pieno riconoscimento del diritto all’autodeterminazione degli Armeni dell’Artsakh (Nagorno-Karabakh) non è soggetto a riserve e concessioni, e gli Armeni dell’Artsakh ne sono gli esclusivi proprietari.
  2. L’obiettivo del riconoscimento internazionale dell’indipendenza dell’Artsakh è il nostro punto di riferimento principale e nessun governo può discostarsi da questo. Pertanto, il popolo e le autorità dell’Artsakh non accetteranno mai alcuno status all’interno della composizione dell’Azerbaigian fino a quando il nostro obiettivo non sarà raggiunto.
  3. Non può esserci un ritorno al passato in termini non solo di status, ma anche demografico. Come possiamo parlare di convivenza quando l’Azerbaigian continua a nutrire la sua società con l’armenofobia e la prepara allo svuotamento degli armeni dell’Artsakh, non alla pace? Naturalmente, sosteniamo una soluzione pacifica del conflitto e siamo pronti a compiere sforzi per questo, ma i diritti, gli interessi e le richieste vitali del nostro popolo non possono essere negoziati.
  4. L’integrità territoriale dell’Artsakh deve essere ripristinata almeno nei territori in cui la Repubblica di Artsakh è stata dichiarata nel 1991. Pertanto, i nostri territori sequestrati devono essere deoccupati e i residenti di quei territori devono essere in grado di tornare alle loro case
  5. Per quanto riguarda la sicurezza di Artsakh, continueremo a compiere sforzi per rafforzare le capacità dell’esercito di difesa e il contingente di mantenimento della pace russo deve rimanere ad Artsakh fino alla soluzione definitiva e giusta del conflitto e alla disposizione di ulteriori garanzie internazionali di sicurezza.
  6. Senza toccare i dettagli del processo negoziale in passato, dobbiamo semplicemente registrare che ora il momento è molto più responsabile e cruciale che mai. Di conseguenza, non abbiamo il diritto di commettere errori; altrimenti, quegli errori potrebbero essere fatali per Artsakh e Madre Armenia
  7. Se un armeno desidera sostenere l’Artsakh, deve fare i conti con la volontà e gli obiettivi degli armeni dell’Artsakh; in caso contrario, lui o lei semplicemente non devono interferire.
  8. Tutte le autorità sono temporanee, ma i nostri obiettivi e le nostre posizioni devono essere mantenuti. L’unità attorno ai nostri valori e obiettivi nazionali è importante e, come ho detto, la linea guida per ogni armeno e ogni governo per una soluzione del conflitto tra Azerbaigian e Karabakh deve essere la volontà e gli obiettivi degli armeni di Artsakh.

Artsakh è stata terra armena per millenni e rimarrà una terra armena, e gli armeni di Artsakh hanno volontà e pazienza strategica sufficienti per continuare la lotta. Sono certo che gli armeni di Artsakh continueranno la loro giusta lotta per il riconoscimento internazionale dell’indipendenza e la difesa della Patria“, ha scritto il Presidente.

Durante la sua conferenza stampa online, il Primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha rilasciato la seguente dichiarazione ambigua sullo status di Artsakh: “Quando Serzh Sargsyan diceva che Artsakh non farà mai parte dell’Azerbaigian, ora non dice che i suoi negoziati riguardavano il fatto che Artsakh doveva rimanere armeno. Continuo a dire che non sono d’accordo nemmeno su questo perché l’Artsakh non poteva essere una terra completamente armena. Cosa intendiamo per “armeno”? Sulla base di tali negoziati, era chiaro che Artsakh (Oblast’ Autonomo del Nagorno-Karabakh) avrebbe avuto popolazioni armene e azere. Ci sarebbe una legislatura nel Nagorno Karabakh? Sì, ci sarebbe una legislatura, ma non sarebbe completamente armeno. Ci sarebbero quote azere e quote armene. Ci sarebbero organi di autogoverno locale? Sì, ma non ci sarebbero solo enti di autogoverno locale armeni, ma anche azeri”.

*** PASHINYAN RISPONDE ***

A seguito delle polemiche scaturite e della dichiarazione del presidente dell’Artsakh e di altre autorità politiche, il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha rispostoscrivendo sulla sua pagina Facebook. In particolare il premier assume di aver parlato durante l’intervista del contenuto di negoziati anteriori alla sua ascea in carica nel 2018.

In risposta a una domanda – scrive Pashinyan – ho confutato la dichiarazione dell’ex presidente dell’Armenia Serzh Sargsyan secondo cui il contenuto dei negoziati lasciati dalle ex autorità garantiva che il Nagorno Karabakh sarebbe rimasto armeno. Ho confutato questo perché durante quei negoziati è stato registrato che gli azeri che risiedevano nell’Oblast’ autonomo del Nagorno-Karabakh durante l’era sovietica avevano il diritto di partecipare alla decisione sullo status del Nagorno Karabakh come residenti del Nagorno Karabakh. Di conseguenza, se erano residenti nel Nagorno Karabakh secondo il contenuto dei negoziati, avrebbero dovuto risiedere nel Nagorno Karabakh e la parte armena non ha mai contestato questo contenuto prima della rivoluzione del 2018.

Per quanto riguarda lo status che il Nagorno-Karabakh aveva prima del potenziale referendum sullo status, in questa intervista ho affermato che nel 2016 i mediatori avevano presentato tre pacchetti per i negoziati (uno prima della Guerra dell’Artsakh dei quattro giorni nell’aprile 2016 e gli altri due più tardi) dove, a differenza del documento di Kazan del 2011, mancava la frase “Il Nagorno-Karabakh otterrà uno status provvisorio”. Nel terzo di questi tre documenti, presentato nell’agosto 2016, c’era una disposizione che stabiliva che la decisione sui meccanismi legali e pratici per organizzare la vita in Nagorno Karabakh sarebbe stata presa dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, consultandosi con i Copresidenti del Gruppo di Minsk dell’Osce, Azerbaigian, Armenia e il Presidente in esercizio dell’OSCE. Questo è quello che ho considerato una catastrofe nel processo di negoziazione perché è chiaro che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite avrebbe preso tutte le decisioni con la logica delle risoluzioni che aveva adottato in precedenza riguardo alla questione del Nagorno Karabakh dove il Nagorno Karabakh era riconosciuto come parte dell’Azerbaigian.
Prendendo in considerazione questo e molti altri importanti problemi, ho affermato dal podio dell’Assemblea nazionale che prima di diventare Primo Ministro nel 2018, con il contenuto esistente dei negoziati e delle realtà, l’Artsakh aveva perso l’opportunità di non farne parte dell’Azerbaigian, sia in teoria che in pratica.
Quando sono diventato Primo Ministro, non mi sono adattato a questo, ma ho combattuto contro di esso. Anche per questo è scoppiata la guerra.

Oggi le persone che mi dicono che non dovrei negoziare per conto del Nagorno Karabakh sono le persone che mi hanno criticato per aver detto che non ho il mandato per negoziare per conto del Nagorno Karabakh dal 2018.
Capisco che molte persone rispettate si stiano lamentando del contenuto dei negoziati che sono serviti come causa ed effetto della guerra nel 2016 ora. All’epoca o non erano a conoscenza o non avevano il diritto di lamentarsi. Mi sto anche lamentando di quel contenuto e ho fatto tutto il possibile per combatterlo. Mi dispiace, ma non posso nascondere la verità
“, ha scritto.