Il ministero degli Affari esteri della Russia ha rilasciato un comunicato in occasione dell’anniversario della dichiarazione trilaterale firmata dai leader di Russia, Armenia e Azerbaigian il 9 novembre 2020.

Sulla scorta di quanto riportato nel già menzionato comunicato possono focalizzarsi i seguenti punti:

  1. La Russia non rivendica un monopolio nelle comunicazioni con l’Armenia e l’Azerbaigian, anche se vanta legami di lunga e stretta amicizia e una partnership su larga scala i due Paesi e i rispettivi popoli.
  2. A un anno dalla firma dell’accordo trilaterale la realtà dei fatti dimostra la falsità di talune congetture apparse sui social media riguardo al fatto che gli sforzi di mantenimento della pace della Russia sarebbero mirati a ‘spazzare via il Nagorno-Karabakh’, ‘consegnarlo’ all’Azerbaigian e a trasformare l’Armenia in un “protettorato” russo.
  3. Il ministero ha sottolineato che gli accordi e i meccanismi trilaterali avviati da Mosca non sono stati imposti alle parti, ma si sono basati su un equilibrio verificato di interessi e includevano un atteggiamento molto rispettoso nei confronti della sovranità e degli interessi di Baku e Yerevan.
  4. Alcune iniziative russe non hanno potuto essere concordate ma, di contro, l’accordo che è già stato confermato è stato conquistato a fatica e viene concretamente attuato.
  5. Mosca è pronta a sostenere l’inizio dei negoziati sulla determinazione del confine armeno-azero per la futura delimitazione e demarcazione.
  6. Mosca è determinata a continuare a collaborare attivamente con i Copresidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE. “I co-presidenti intendono visitare la regione e continuare i contatti nel formato 3+2” si legge nel comunicato.
  7. A seguito degli otto incontri del gruppo di lavoro dei vice Primo ministro di Armenia, Russia e Azerbaigian, è stato presentato un rapporto che descrive percorsi ferroviari e automobilistici specifici per il ripristino delle comunicazioni tra Armenia e Azerbaigian, con accesso alle comunicazioni di trasporto dei Paesi vicini al fine di aumentare l’attrattiva di transito della regione e attirare ulteriori investimenti. È stato sottolineato che in questa occasione stanno emergendo ulteriori prospettive per la Russia e l’Armenia per la realizzazione del corridoio internazionale Nord-Sud.
  8. Non è meno importante, soprattutto alla luce della situazione creatasi sul cosiddetto Corridoio Zangezur, esagerata dai media, che tutti i partecipanti al gruppo di lavoro trilaterale abbiano concordato che le nuove vie di trasporto funzioneranno sulla base del rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale dei paesi che attraversano”.

Voci sempre più insistenti riferiscono che la Federazione russa starebbe preparando un incontro trilaterale ad alto vertice con Armenia e Azerbaigian.

L’uso della forza non può cancellare il conflitto del Nagorno Karabakh (Artsakh) dall’agenda internazionale. Lo ha ribadito recentemente anche il portavoce del ministero degli Esteri armeno Vahan Hunanyan, commentando la dichiarazione dell’assistente presidenziale azero Hikmet Hajiyev.

Hajiyev aveva osservato che “il conflitto del Karabakh è finito ed è una cosa del passato, e per l’Azerbaigian. Il Karabakh non è più una questione di politica estera, ma un argomento di agenda interna“.

Ma, contrariamente a quanto possano pensare gli azeri, il conflitto del Karabakh non è risolto. Non solo l’uso della forza non può definirlo, ma non può neppure rimuovere il conflitto del Karabakh dall’agenda internazionale.

L’Armenia ha ripetutamente affermato la sua posizione di principio sulla questione del Karabakh, che la sua posizione coincide con la posizione della comunità internazionale.

Solo attraverso il mandato dei Copresidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE, i colloqui di pace possono giungere a una soluzione globale e duratura del conflitto del Nagorno Karabakh, sulla base di principi ed elementi noti alle parti, compreso il diritto inalienabile dei popoli all’autodeterminazione.

Purtroppo, la narrazione politica che proviene dall’Azerbaigian in questi mesi tende a considerare la questione come risolta. Se esiste ancora un territorio nel quale vivono oltre centomila armeni sotto la protezione delle forze di pace russe, questa è una situazione transitoria. Tale territorio, che insiste all’interno della vecchia regione autonoma del Nagorno Karabakh di epoca sovietica è considerato dal regime di Baku come parte integrante dell’Azerbaigian a tutti gli effetti. Non a caso qualche mese fa una riforma dell’amministrazione territoriale azera ha creato due nuove regioni, quella del Karabakh e quella dello Zangezour orientale.

A ben vedere, dopo la vittoria in guerra, l’Azerbaigian ha alzato il tiro facendosi sempre più arrogante e minaccioso. Prima del conflitto la materia del contendere riguardava specificatamente i distretti extra oblast sovietica; ora nulla è più lasciato agli armeni nelle intenzioni di Aliyev.

E’ chiaro che una soluzione del genere sarebbe inaccettabile e comporterebbe una nuova pulizia etnica essendo impensabile che armeni vivano nel territorio di uno Stato che da decenni professa un odio politico nei loro confronti. Ecco, proprio qui sta il punto: la continua armenofobia azera, la mancanza di un messaggio di distensione, la ripetuta provocazione anche ai confini con la repubblica di Armenia dimostrano che per la dittatura azera l’unica soluzione è quella di cacciare per sempre gli armeni dall’Artsakh.

In alternativa, c’è sempre la possibilità di una nuova guerra non appena i russi se ne saranno andati. E’ questo che vuole Aliyev? E’ questo che l’Unione europea e la Russia sono disposte ad accettare?

L’indifferenza della comunità internazionale nei confronti di Artsakh mette seriamente a repentaglio il significato pratico dell’agenda sui diritti umani. Il Difensore civico dell’Artsakh, Gegham Stepanyan, ha rilasciato una nota in merito all’attacco azero contro una postazione armena la sera del 14 ottobre che ha provocato sei feriti (uno dei quali ancora in serie condizioni ma non in pericolo di vita).


“Gli incidenti registrati dimostrano ancora una volta il comportamento aggressivo e impudente della parte azera, la sua intenzione di usare la forza, con tutti i mezzi, per interrompere la vita normale in Artsakh, sfrattare gli armeni e pulire etnicamente gli armeni dell’Artsakh.
È interessante notare che le forze armate azere hanno preso di mira direttamente quelle posizioni dell’Esercito di Difesa di Artsakh che si trovano a pochi metri dagli insediamenti civili di Nor Shen.
Ciò dimostra che i militari armeni svolgono esclusivamente la funzione di proteggere il diritto alla vita e alla salute della popolazione civile, mentre le postazioni militari azere situate vicino ai nostri insediamenti pacifici rappresentano una minaccia diretta a causa del loro comportamento aggressivo. La loro rimozione immediata è indispensabile per tutelare i diritti della popolazione civile, in particolare il diritto alla vita.

Allo stesso tempo, le forze di pace russe dispiegate in Artsakh e i mediatori internazionali non dovrebbero avere la funzione di registrare post factum gli incidenti, ma dovrebbero svolgere l’autorità e la responsabilità di investigare adeguatamente sugli incidenti e prevenire il loro ripetersi.
Per questo motivo, dal punto di vista del vero mantenimento della pace, è fondamentale la presenza permanente dei peacekeeper russi in tutte le comunità confinanti di Artsakh.

Gli incidenti registrati sono un’altra prova del fatto che le tesi azere sulla convivenza pacifica sono false, mancano di obiettivi reali in quella direzione, volti a gettare fumo negli occhi della comunità internazionale e delle parti interessate alla soluzione del conflitto azero-Karabakh .
Le dichiarazioni dell’Azerbaigian sulla coesistenza pacifica non sono altro che parole vuote che coprono l’agenda anti-armena e fascista dell’Azerbaigian.

Le organizzazioni internazionali, i singoli stati dovrebbero guardare con gli occhi aperti alla situazione attuale, ai veri obiettivi e alle azioni delle parti che non si arrenderanno alle manipolazioni dell’Azerbaigian.
La loro indifferenza alla fine manda in frantumi l’agenda internazionale della protezione dei diritti umani, ne mette a repentaglio il significato pratico, trasformandola in un bel mucchio di parole senza un reale desiderio e determinazione a proteggerla”.

(traduzione e grassetto redazionale. Nella foto, il Ministro di Stato dell’Artsakh visita i feriti in ospedale)

       

Ieri, 10 ottobre, era il primo triste anniversario della presa di Hadrut da parte delle forze di occupazione azera.

Il dittatore Aliyev in un discorso ha giustificato la conquista della cittadina (che faceva parte della regione autonoma del Nagorno Karabakh in epoca sovietica) affermando che gli armeni lì erano arrivati solo nel 19° secolo. Il solito motivetto per giustificare la politica guerrafondaia e le (infondate) pretese azere. Prima o poi si scoprirà da quale parte dell’universo gli armeni sono arrivati…

La perdita di Hadrut fa molto male al popolo dell’Artsakh, agli armeni di ogni parte del mondo e a tutti coloro che sono vicini a questa piccola repubblica. Hadrut era un centro vitale, la sua provincia era ricca di risorse culturali, storiche ed economiche.

Siamo andati a ripercorrere le tristi pagine di un anno fa (le trovate nel notiziario del nostro sito). Lo stesso 10 ottobre il presidente Harutyunyan, per smentire le voci della cattura della città, si era recato ad Hadrut in visita ai soldati della difesa. Poche ore prima, un drappello di azeri era riuscito a entrare nel capoluogo e mostrare un video di pochi secondi per giustificare la presa della città. In occasione della scorribanda non avevano esitato ad ammazzare una anziana donna e il suo figlio disabile.

Dunque, il presidente dell’Artsakh quella mattina del 10 ottobre (era un sabato), si recò sul posto anche per smentire la propaganda azera. Ma poi la forza d’urto del nemico ha fatto capitolare la città. Era il quattordicesimo giorno di guerra: era stata dichiarata una tregua fra le parti alle ore 12 di quel sabato 10 ottobre. Ma le forze dell’Azerbaigian, proprio a ridosso della scadenza, avevano intensificato ancor di più l’azione per cercare di guadagnare ulteriore terreno. E probabilmente (visto che le tregue nella guerra dei 44 giorni sono durate il tempo di un battito di ciglia) hanno immediatamente approfittato dopo mezzogiorno di un attimo di pausa da parte dei soldati armeni per sferrare il colpo decisivo alla cittadina.

Ora Hadrut è in mano loro, sotto occupazione nemica. Nonostante le panzanate di Aliyev, Hadrut era e rimarrà sempre armena. E, prima o poi, la ritroveremo sotto la bandiera dell’Artsakh!
ONORE AD HADRUT, ONORE AI SUOI EROI

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LA DICHIARAZIONE DELL’OMBUDSMAN DELL’ARTSAKH

Gegham Stepanyan, il difensore civico per i diritti umani dell’Artsakh (Nagorno-Karabakh), ha rilasciato una dichiarazione a un anno dall’occupazione della città di Hadrut da parte delle forze armate azere.

Gli insediamenti della regione di Hadrut della Repubblica di Artsakh durante gli anni sovietici costituivano la regione di Hadrut della Regione Autonoma del Nagorno Karabakh, dove più del 90% dei 15.000 abitanti, secondo il censimento del 1979, erano armeni.
A seguito dell’aggressione azero-turca contro la popolazione dell’Artsakh del 27 settembre 2020, la popolazione armena della città di Hadrut e della regione omonima è stata completamente sottoposta a pulizia etnica. Fin dal primo giorno dell’aggressione, la popolazione civile, le infrastrutture civili e le strutture di importanza umanitaria di Hadrut sono state deliberatamente e indiscriminatamente prese di mira dalle forze armate azere.
Trentadue civili della regione di Hadrut sono stati uccisi a causa degli attacchi missilistici, della tortura e del tormento delle forze armate azerbaigiane, tra cui Benik Hakobyan di 73 anni e Yuri Adamyan di 25 anni, uccisi in modo dimostrativo in piazza in Hadrut dopo essere stati catturati dalle forze armate azere. A causa dell’occupazione in corso, 14.000 residenti della regione sono sfollati dalle loro case, hanno perso i loro beni mobili e immobili, il lavoro e tutto il resto. 48 insediamenti armeni sono stati “ripuliti” etnicamente dalla presenza armena e le case e le proprietà degli armeni sono state vandalizzate e saccheggiate.
Prima dell’occupazione azera, nella regione c’erano 6 asili nido e 26 scuole, con 2.030 studenti ora privati ​​del diritto all’istruzione a causa dello sfollamento. A causa della pulizia etnica della popolazione armena di Hadrut, i valori culturali materiali e immateriali creati dagli armeni sono in pericolo.
Più di 500 importanti monumenti storici e culturali – chiese, monasteri, khatchkar, santuari, sono a rischio di estinzione. Le autorità azere stanno dissacrando ai massimi livelli i valori spirituali e culturali creati dalla popolazione armena indigena della regione, come dimostra il video ampiamente diffuso sui social network in cui il presidente dell’Azerbaigian comanda in modo dimostrativo di rimuovere le iscrizioni armene dalla chiesa in villaggio di Tsakuri.

Le ricerche di organizzazioni armene e internazionali per la protezione dei valori culturali dimostrano che tutti i cimiteri armeni in tutti gli insediamenti di Hadrut vengono demoliti e distrutti e le lapidi vengono utilizzate come materiale da costruzione per le strade. A causa della pulizia etnica della popolazione armena, la vita e le tradizioni della comunità sono state sconvolte in tutti gli insediamenti della regione e, a causa della dispersione della popolazione sfollata, il dialetto Hadrut, che è unico tra i dialetti armeni, è in pericolo.
Purtroppo, anche a un anno dall’occupazione, i rapporti e i numerosi appelli su violazioni su vasta scala dei diritti della popolazione armena di Hadrut e di altre comunità occupate dell’Artsakh, non hanno ancora ricevuto la dovuta attenzione e valutazione da parte delle strutture internazionali, dei singoli Stati e organizzazioni per i diritti umani.
La comunità internazionale ha l’obbligo e la responsabilità diretti di assicurare la tutela dei diritti della popolazione armena e di garantirne il ritorno nelle terre d’origine.”

Il Ministero degli Affari Esteri della repubblica di Artsakh (Nagorno Karabakh) ha rilasciato un comunicato a seguito della nuova provocazione azera a danno della popolazione armena. Questo il testo:

“Il 9 ottobre, un civile della Repubblica di Artsakh è stato ferito a morte da un cecchino azero in un’area agricola vicino alla città di Martakert.

Il Ministero degli Affari Esteri di Artsakh condanna fermamente tale comportamento aggressivo e le azioni provocatorie dell’Azerbaigian volte a creare un’atmosfera di paura tra la pacifica popolazione della Repubblica di Artsakh e l’emigrazione degli armeni dal paese. L’Azerbaigian persegue anche obiettivi di vasta portata, ovvero interrompere l’attuazione della missione di mantenimento della pace della Federazione Russa e mettere in discussione l’efficacia delle attività delle forze di pace.

Questo e tutti gli incidenti precedenti, che hanno provocato vittime tra i civili o danni alle loro proprietà, sono manifestazioni della politica coordinata anti-armena dell’Azerbaigian e un’altra prova che gli appelli pacifici delle autorità azere al popolo di Artsakh e le richieste di coesistenza pacifica non sono nulla ma un tentativo di fuorviare il mondo civilizzato e di indebolire la vigilanza delle parti armene.

Chiediamo agli Stati co-presidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE di adottare misure attive per ritenere responsabile il partito azero ed escludere tali incidenti in futuro.

Il portavoce del Ministero degli Affari Esteri dell’Armenia, Vahan Hunanyan, ha commentato il primo anniversario del doppio attacco da parte delle forze armate azere sulla cattedrale del Santo Salvatore (Ghazanchetsots) a Shushi, Artsakh (Nagorno-Karabakh). Il commento recita quanto segue:

L’8 ottobre 2020, durante l’aggressione militare scatenata contro Artsakh e il suo popolo, le forze armate azere hanno lanciato doppi attacchi aerei sulla cattedrale del Santo Salvatore (Ghazanchetsots) a Shushi con armi ad alta precisione, causando danni significativi a quest’ultima. Pochi giorni dopo la Dichiarazione Trilaterale del 9 novembre, la stessa chiesa è stata vandalizzata e profanata. Insieme al danno fisico della cattedrale di Shushi, l’Azerbaigian continua i tentativi di distorcere l’identità armena della chiesa, effettuati modificando l’aspetto architettonico della chiesa con il pretesto di un restauro.

Il ripetuto e deliberato bombardamento di un luogo di culto non è solo un crimine condannabile secondo il diritto internazionale, in particolare la Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato (1954) e il suo Secondo Protocollo (1999), ma anche come dimostrazione simbolica dell’intento; è una chiara manifestazione della politica dell’Azerbaigian volta ad annientare ogni traccia della presenza armena nell’Artsakh.

A un anno dall’aggressione scatenata dall’Azerbaigian contro l’Artsakh, il destino di circa 1.500 siti e luoghi di culto del patrimonio storico e culturale, nonché di migliaia di esemplari museali nei territori dell’Artsakh caduti sotto il controllo dell’Azerbaigian, rimane incerto e in pericolo.

Ci sono molti casi documentati di distruzione deliberata e vandalismo di chiese armene, altri monumenti culturali e religiosi da parte delle forze armate azere. Inoltre, insieme alla loro distruzione fisica, stiamo osservando la falsificazione dei fatti storici e la distorsione dell’identità dei monumenti armeni da parte dell’Azerbaigian.

In questo contesto, a quanto pare, non è un caso che l’Azerbaigian continui a bloccare o, per quanto possibile, a limitare l’accesso della missione di esperti dell’UNESCO ai siti del patrimonio culturale armeno in via di estinzione, cercando di nascondere i suoi crimini di guerra.

Gli atti vandalici contro i monumenti storico-culturali e i luoghi di culto che rappresentano il patrimonio culturale e spirituale delle persone, sono violazioni flagranti del diritto internazionale, contraddicono i valori universali e sono fortemente condannabili.

La Cattedrale di Shushi è uno dei centri più importanti della Chiesa Apostolica Armena in Artsakh, e i servitori ei seguaci della Chiesa Armena dovrebbero avere un libero accesso a questo santuario.

Il ministero degli esteri di Artsakh (Nagorno-Karabakh) ha rilasciato una dichiarazione in occasione dell’anniversario della guerra scatenata il 27 settembre 2020 sull’Artsakh dall’Azerbaigian. Il comunicato riporta quanto segue:

Un anno fa, il 27 settembre, l’Azerbaigian, con la partecipazione diretta e il sostegno della Turchia e di gruppi terroristici internazionali, ha scatenato una guerra su vasta scala contro la Repubblica di Artsakh. Durante i 44 giorni di aggressione, l’Azerbaigian ha impiegato armi indiscriminate vietate dalle convenzioni internazionali contro la popolazione di Artsakh, danneggiando gravemente le infrastrutture economiche e civili, nonché l’ambiente.

La Repubblica di Artsakh ha subito migliaia di perdite umane a causa della guerra e la maggior parte del suo territorio è stata occupata. Solo grazie al dispiegamento della missione di pace russa nella regione è stata fermata l’aggressione della triplice alleanza criminale.
Tuttavia, anche dopo la cessazione delle ostilità, l’Azerbaigian continua la sua politica palesemente aggressiva, anti-armena ed espansionistica a livello statale, violando grossolanamente tutti gli accordi, le norme del diritto internazionale ei principi di umanità.
Fino ad oggi un gran numero di prigionieri di guerra sono tenuti in condizioni disumane in Azerbaigian, sottoposti a tortura e umiliati.L’Azerbaigian attua sistematicamente un genocidio culturale e distrugge il patrimonio storico armeno nei territori occupati di Artsakh.
Il cessate il fuoco viene regolarmente violato dall’Azerbaigian, con l’obiettivo di scacciare gli armeni dall’Artsakh attraverso pressioni psicologiche e intimidazioni.

Oggi, più che mai, siamo determinati a rafforzare e sviluppare il nostro stato indipendente e sovrano e a decidere il nostro futuro politico, escludendo qualsiasi tipo di status all’interno dell’Azerbaigian.
Le priorità di politica estera dell’Artsakh continuano ad essere il riconoscimento internazionale dell’indipendenza della Repubblica di Artsakh, la conservazione del suo status di soggetto geopolitico, la deoccupazione dei territori dell’Artsakh, la prosecuzione del processo negoziale con la piena piena partecipazione dell’Artsakh nell’ambito del Gruppo OSCE di Minsk, sviluppo delle relazioni con vari Paesi e strutture.

La chiave per l’effettiva attuazione di tutti questi obiettivi è il rafforzamento della trinità Armenia-Artsakh-Diaspora, conducendo una politica estera realistica guidata da interessi statali.In questo triste giorno, siamo giustamente orgogliosi del coraggio e dell’eroismo dei difensori della Patria.

Rendiamo omaggio a coloro che hanno sacrificato la propria vita per il bene della libertà e dell’indipendenza di Artsakh. Viva la Repubblica di Artsakh!

Un anno fa. Era domenica mattina. Stepanakert e tutto il Nagorno Karabakh (Artsakh) si concedevano agli ozii mattutini di un giorno di festa.

Alle sette ora locale le forze del Male cominciarono ad attaccare la piccola repubblica armena. Un attacco frontale su tutta la linea di contatto e, sin dalle prime ore, bombardamenti dal cielo. Sulle postazioni militari di difesa, sulle centrali elettriche, sulle civili abitazioni di Stepanakert e degli altri insediamenti.

150.000 abitanti cominciarono a tremare, gli allarmi aerei si susseguivano incessantemente, negli scantinati dei palazzi si riavvolgeva il nastro della memoria di trenta anni prima.

Anche allora, il diritto all’autodeterminazione di questo piccolo popolo veniva contrastato con i cannoni e i missili Grad.

Il Male (l’Azerbaigian del dittatore Aliyev, la Turchia del dittatore Erdogan e i loro mercenari jihadisti tagliagole) ancora una volta si sono accaniti sulla pacifica popolazione di questa meravigliosa terra.

Il potere dei soldi, la cecità di molti governi europei, la complicità di taluni, la corruzione di altri hanno armato il Male e lo hanno spinto in un vortice di orrore.

Un anno fa, il sole era spuntato ancora caldo in una mite giornata di fine settembre. Poi, per 44 giorni, la notte è piombata sul popolo dell’Artsakh.

Gli errori strategici del Comando armeno, l’incapacità di prevedere per tempo quella che prima o poi sarebbe stata un’opzione certa da parte delle forze del Male, una certa rassegnazione mescolata a un innato ottimismo, hanno portato alla disfatta.

Piangiamo oggi migliaia di vite, molte giovani, che si sono sacrificate per salvare almeno un lembo di patria armena.

Per loro dobbiamo continuare a lottare, a credere che una pace giusta sia possibile, che un futuro di libertà e di indipendenza per questa repubblica non sia un’utopia.

Non dipende solo dal suo popolo o da quello che la garante Armenia riuscirà a fare; dipende anche da noi, da quanto saremo in grado di sensibilizzare i nostri governi ad appoggiare il diritto dell’Artsakh, da quanto sapremo condannare politici e giornalisti corrotti che per un pugno di caviale non esitano ad appoggiare il Male.

Un anno dopo. Con il cuore infranto, gli occhi lucidi e una sola certezza:

L’ARTSAKH NON SARA’ MAI AZERBAIGIANO!

Oggi, 2 settembre 2021, ricorre il 30° anniversario della dichiarazione di indipendenza dell’Artsakh, precedentemente nota come Repubblica del Nagorno-Karabakh.

In questo giorno del 1991, una seduta congiunta di legislatori del consiglio provinciale del Nagorno Karabakh e del consiglio regionale di Shahumyan ha proclamato la Repubblica del Nagorno Karabakh (NKR) entro i confini dell’ex Oblast’ autonoma del Nagorno-Karabakh (NKAO) e la regione di Shahumyan. La decisione era in linea con la legislazione allora in vigore, in particolare la legge del 3 aprile 1990 che autorizzava le autonomie nazionali a determinare il proprio status in caso di uscita dall’URSS di una repubblica.

Il 10 dicembre 1991, pochi giorni prima del crollo ufficiale dell’Unione Sovietica, il Nagorno Karabakh tenne un referendum in cui il 99,89 per cento della popolazione votò a favore della completa indipendenza dall’Azerbaigian. Dopo questo, l’Azerbaigian bloccò totalmente la repubblica del NK e lanciò aggressioni militari.

La Guerra di Liberazione dell’Artsakh iniziò quando per la prima volta nel settembre del 1991 l’Azerbaigian bombardò la capitale Stepanakert con razzi Alazan dalla città di Shushi. L’esercito armeno si è formato nel vortice di questa guerra ed è stato in grado di garantire la sicurezza del popolo del Nagorno Karabakh. Nel 1994, e su richiesta dell’Azerbaigian, il 12 maggio è stato firmato un accordo di cessate il fuoco trilaterale – Azerbaigian, NKR, Armenia.

Quindici anni dopo l’indipendenza, nel 2006, il popolo di Artsakh ha adottato la Costituzione del Paese attraverso un referendum, sempre il 2 settembre.

Il 27 settembre 2020, le forze armate azere, con l’assistenza della Turchia e l’impegno di terroristi mercenari, hanno lanciato una guerra su larga scala contro Artsakh. La guerra durò fino al 9 novembre quando fu firmata una dichiarazione trilaterale – Armenia, Russia, Azerbaigian – alla mediazione della Russia per fermare le operazioni militari.

Secondo questa dichiarazione sul cessate il fuoco, la regione di Hadrut e Shushi, così come l’intera zona di sicurezza di Artsakh, è passata sotto il controllo dell’Azerbaigian. E le truppe di pace russe sono state schierate lungo l’intera linea di contatto di Artsakh e nel corridoio di Lachin.

La sconfitta militare non cancella tuttavia l’aspirazione del popolo armeno dell’Artsakh a vivere libero nella propria terra. Ogni ulteriore tentativo del nemico azero di costringere gli armeni dell’Artsakh a sottomettersi alla dittatura Aliyev o a scappare dalla loro terra natale sarà duramente contrastato.

Il riconoscimento internazionale, la salvaguardia del territorio con uno status di libero e indipendente Paese, la protezione del proprio patrimonio culturale e religioso, la sicurezza dei suoi abitanti sono e saranno sempre un obiettivo per l’Artsakh e per tutti coloro che sono vicini alle sorti di questo piccolo Stato.

VIVA L’ARTSAKH LIBERO E INDIPENDENTE!

La situazione politico-militare in Artsakh, nonostante sia molto particolare da un lato, è comunque generalmente calma, secondo il ministro degli affari esteri di Artsakh Davit Babayan.

Parlando con la stampa riguardo le ultime provocazioni militari azere sulla linea di contatto, Babayan ha sottolineato che non importa che tipo di armi usano le forze armate azere contro l’Artsakh perché l’obiettivo principale dell’Azerbaigian è lo stesso: quello psicologico e geopolitico, e non militare.

Questa è una politica a più livelli. L’obiettivo è uno: cacciare gli armeni dall’Artsakh. E se ciò dovesse accadere, si creerebbe una situazione completamente diversa non solo in Transcaucasia, ma anche in una regione molto più ampia: Caucaso settentrionale, Medio Oriente, Asia centrale, regioni del Volga, bacino del Mar Nero“, ha affermato il ministro degli Esteri.

Babayan afferma che l’Azerbaigian sta cercando con mezzi militari e altri mezzi di fare pressione psicologica sugli armeni dell’Artsakh, per portare la gente alla disperazione in modo che perdano la speranza e cambino idea sulla prospettiva di vivere in Artsakh, tuttavia tutti questi tentativi delle autorità azere sono destinati al fallimento. In questo contesto, Babayan ha sottolineato che vivere in Artsakh è diventata una missione.

Dobbiamo continuare a vivere qui. Vivere qui è già una specie di missione e non solo una vita quotidiana. Quindi dobbiamo trattare tutto questo con calma e continuare il nostro lavoro, il nostro servizio. Quei tentativi degli azeri di certo non ci toccano, ma comunque dobbiamo rafforzare ancora di più la speranza e la fede del nostro popolo. Ciò richiede un approccio globale e comune, dobbiamo impegnarci nella giusta geopolitica, nella giusta politica interna e così via“, ha affermato Babayan, sottolineando che tutto ciò prima di tutto richiede alle persone di riprendersi dallo stress. In secondo luogo, ha chiesto unità e fede, professionalità e patriottismo.

Ci sono molti problemi, abbiamo molto da fare, ma sicuramente si può fare, possiamo mantenere quello che abbiamo“, ha detto il ministro degli Esteri

Tra le crescenti violazioni del cessate il fuoco azere sia al confine con l’Armenia che alla linea di contatto con Artsakh, per la prima volta il 12 agosto le forze di pace russe hanno accusato apertamente l’esercito azero di aver violato il cessate il fuoco e di aver attaccato le posizioni armene ad Artsakh con droni kamikaze. Il rapporto sull’attacco è stato inizialmente fatto dai militari dell’Artsakh l’11 agosto e le forze di pace russe lo hanno confermato il 12 agosto.