Un anno fa. Era domenica mattina. Stepanakert e tutto il Nagorno Karabakh (Artsakh) si concedevano agli ozii mattutini di un giorno di festa.
Alle sette ora locale le forze del Male cominciarono ad attaccare la piccola repubblica armena. Un attacco frontale su tutta la linea di contatto e, sin dalle prime ore, bombardamenti dal cielo. Sulle postazioni militari di difesa, sulle centrali elettriche, sulle civili abitazioni di Stepanakert e degli altri insediamenti.
150.000 abitanti cominciarono a tremare, gli allarmi aerei si susseguivano incessantemente, negli scantinati dei palazzi si riavvolgeva il nastro della memoria di trenta anni prima.
Anche allora, il diritto all’autodeterminazione di questo piccolo popolo veniva contrastato con i cannoni e i missili Grad.
Il Male (l’Azerbaigian del dittatore Aliyev, la Turchia del dittatore Erdogan e i loro mercenari jihadisti tagliagole) ancora una volta si sono accaniti sulla pacifica popolazione di questa meravigliosa terra.
Il potere dei soldi, la cecità di molti governi europei, la complicità di taluni, la corruzione di altri hanno armato il Male e lo hanno spinto in un vortice di orrore.
Un anno fa, il sole era spuntato ancora caldo in una mite giornata di fine settembre. Poi, per 44 giorni, la notte è piombata sul popolo dell’Artsakh.
Gli errori strategici del Comando armeno, l’incapacità di prevedere per tempo quella che prima o poi sarebbe stata un’opzione certa da parte delle forze del Male, una certa rassegnazione mescolata a un innato ottimismo, hanno portato alla disfatta.
Piangiamo oggi migliaia di vite, molte giovani, che si sono sacrificate per salvare almeno un lembo di patria armena.
Per loro dobbiamo continuare a lottare, a credere che una pace giusta sia possibile, che un futuro di libertà e di indipendenza per questa repubblica non sia un’utopia.
Non dipende solo dal suo popolo o da quello che la garante Armenia riuscirà a fare; dipende anche da noi, da quanto saremo in grado di sensibilizzare i nostri governi ad appoggiare il diritto dell’Artsakh, da quanto sapremo condannare politici e giornalisti corrotti che per un pugno di caviale non esitano ad appoggiare il Male.
Un anno dopo. Con il cuore infranto, gli occhi lucidi e una sola certezza:
L’ARTSAKH NON SARA’ MAI AZERBAIGIANO!