Tutte le fazioni dell’Assemblea nazionale dell’Artsakh hanno rilasciato una dichiarazione congiunta sulla visita del presidente turco Recep Tayyip Erdogan a Shushi il 15 giugno 2021.
La dichiarazione recita quanto segue:

Dopo aver sottoposto gli armeni occidentali al genocidio e aver sequestrato la culla storica del popolo armeno nel 1915, la Turchia ha cercato di commettere lo stesso crimine contro gli armeni orientali per il secolo scorso. Grazie alla lotta organizzata del popolo armeno, quei piani sono sempre falliti.
Il 27 settembre 2020, approfittando delle condizioni favorevoli nel mondo e nella regione, la Turchia e l’Azerbaigian hanno fatto un altro tentativo di sottoporre gli armeni al genocidio durante le ostilità dopo aver attaccato la Repubblica di Artsakh attraverso il coinvolgimento di gruppi terroristici internazionali. Come risultato dello spostamento forzato degli armeni dalla loro patria storica, migliaia di persone sono state private della loro patria e centinaia di monumenti armeni e cristiani sono stati distrutti o profanati.
Consideriamo la visita a sorpresa di Erdogan nei territori conquistati di Artsakh, in particolare nella capitale Shushi, un tempo fiorente, come una minaccia e un nuovo tentativo di mostrare potere. Si tratta della continuazione dell’apertura del “parco dei trofei di guerra” a Baku che implica una nuova pressione psicologica e morale contro il popolo armeno nel dopoguerra.
L’atto provocatorio di Erdogan nella regione è un tentativo di portare al fallimento la missione di pace russa e un piano per infliggere un duro colpo alla fragile stabilità. Questo atto del presidente della Turchia presenta una nuova sfida non solo all’Armenia e ad Artsakh, ma anche alla Russia e all’Iran.
Ci rivolgiamo alle organizzazioni internazionali, ai paesi co-presidenti del Gruppo OSCE di Minsk, in particolare alla Federazione Russa, per frenare le ambizioni aggressive della Turchia che potrebbero portare a nuovi pericoli”
.

Anche il Ministero degli Affari Esteri dell’Artsakh ha rilasciato una dichiarazione sulla visita del presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan a Shushi. La dichiarazione recita quanto segue:

Accompagnato dal presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev e dalla sua famiglia, la visita del presidente turco Recep Tayyip Erdogan e dei suoi familiari alla storica capitale di Artsakh, Shushi, distrutta dalla Turchia e dall’Azerbaigian nel 1920 e nel 2020, è una chiara manifestazione di gravi violazioni di diritto internazionale, xenofobia, politica di genocidio e terrorismo.
Il Ministero degli Affari Esteri della Repubblica di Artsakh condanna fermamente tali visite nei territori occupati di Artsakh, considerandole come una provocazione, una chiara attuazione della politica espansionistica ed estremista.
Le azioni provocatorie della Turchia devono essere condannate dalla comunità internazionale, poiché tali visite, le idee, le dichiarazioni, gli accordi raggiunti e la glorificazione della politica espansionistica medievale espressa durante le stesse sono una seria minaccia alla sicurezza internazionale e regionale, una sfida per l’intera umanità civilizzata, un colpo alla reputazione di tutte le organizzazioni e strutture di cui la Turchia è membro
”.

Una nota di protesta è giunta anche dal ministero degli Esteri dell’Armenia.

BAKU NEGA L’ACREDITO A UN GIORNALISTA RUSSO CON COGNOME ARMENO, POI INTERVIENE MOSCA

Buon calcio a tutti. Iniziano oggi gli Europei 2020 che, per le note vicende sanitarie, sono slittati di un anno.
Partita inaugurale dell’Italia (questa sera all’Olimpico di Roma) in un girone che vede anche come sede delle gare Baku. Infatti, a differenza delle passate edizioni, questi campionati saranno spalmati su più nazioni invece che concentrati in una sola.

Per l’Azerbaigian l’assegnazione di Baku è tutta manna caduta dal cielo. Il regime di Aliyev da tempo utilizza gli eventi sportivi come lavatrice per pulire l’immagine della dittatura: il gran premio di Formula Uno ma anche le partite di calcio e i meeting di atletica leggera.

Il volto pulito del regime, lontano dalle carceri dove languono i prigionieri politici e gli attivisti dei diritti umani, lontano dal macabro parco della vittoria con i manichini armeni in pose degradanti, lontano dalla classifica di Reporter senza frontiere che pone l’Azerbaigian poco sotto la Corea del nord in fatto di libertà di informazione, lontano dalle celle dove sono rinchiusi almeno duecento prigionieri di guerra armeni.

Ma i nodi vengono al pettine, il lupo perde il pelo ma non il vizio… Così, a poche ore dall’inaugurazione dei campionati scoppia la prima polemica politica: il regime azero nega l’accredito a Nobel Arustamyan, uno dei più conosciuti giornalisti sportivi e telecronisti di Russia che però ha il “difetto” di avere un cognome armeno.

Incarna, quindi, il “nemico” che neppure a una partita di calcio può essere ammesso. Se qualcuno voleva la prova di quanto feroce, stupida e intollerante fosse la dittatura Aliyev è stato immediatamente accontentato.
Per la cronaca, ieri – su pressione delle autorità russe e della Uefa – il giornalista ha avuto l’accredito. E gli azeri hanno fatto la loro solita figura
Buon calcio a tutti.

Riassumiamo: gli azeri scatenano una guerra in piena pandemia fregandosene delle raccomandazioni ONU. Con un dispiego di uomini e mezzi senza precedenti, aiutati logisticamente dalla Turchia e da mercenari jihadisti tagliagole assoldati un tanto ad armeno ammazzato, hanno attaccato la minuscola repubblica dell’Artsakh, 150.000 abitanti.

Si sono fatti beffa delle raccomandazioni internazionali e di anni di negoziati non approdati a conclusione solo per la testardaggine nazionalista del dittatore Aliyev.
Nel corso della guerra hanno commesso crimini orribili sia contro i soldati armeni che contro la popolazione civile. Dopo sei settimane di conflitto cadenzato anche da cluster bomb e bombe al fosforo sui centri abitati, hanno strappato una tregua al nemico sconfitto.

Poi, nei territori occupati, hanno cominciato a distruggere tutto ciò che aveva qualche attinenza con l’identità armena, hanno demolito chiese e cimiteri, Aliyev ha dato esplicito ordine di rimuovere qualsiasi iscrizione armena da ogni edificio della regione e al tempo stesso ha impedito agli ispettori Unesco di controllare la situazione sul campo.

Hanno umiliato il nemico sconfitto con un macabro “Parco della vittoria” dove scorrazzano ignari bambini fra gli elmetti dei soldati armeni morti in battaglia e manichini rappresentanti il nemico in pose degradanti secondo uno schema di body shaming degno della Germania nazista.

Contravvenendo a quanto stabilito dall’accordo di tregua del 9 novembre hanno ucciso e catturato altri soldati armeni che erano rimasti a presidiare sacche di territorio e per giustificare tali azioni li hanno etichettato come “terroristi e sabotatori”, stesso appellativo utilizzato per uomini e donne civili rapiti dopo la guerra.

Circa duecento armeni sono tenuti prigionieri come ostaggi di Baku, alcuni torturati e ammazzati.

In violazione dei confini internazionali, centinaia di soldati dell’Azerbaigian hanno oltrepassato il confine di Stato e sono entrati nel territorio della repubblica di Armenia cercando di acquisire posizioni strategicamente più rilevanti; con la scusa di rivedere la linea di frontiera di epoca sovietica, ancora una volta l’Azerbaigian usa la forza e la minaccia della forza per risolvere i suoi problemi. Se non si è arrivati a una nuova guerra è solo per la saggezza nel non cadere in una evidente provocazione. Intanto altri sei soldati armeni vengono catturati dagli azeri nel territorio dell’Armenia e fatti passare, anche loro, come “sabotatori”.

Ieri, in una stradina sterrata nella regione di Karvachar (già facente parte dell’Artsakh ora sotto controllo azero) un autocarro azero è saltato per aria a causa di una mina e sono morte tre persone (compreso un giornalista e un cameraman).  Dispiace per le perdite umane, ma questa è purtroppo la conseguenza della guerra.

Questo episodio, ancora una volta, è stato il pretesto per le autorità dell’Azerbaigian per accusare l’Armenia di attività criminale: sì, hanno detto proprio così a Baku e i rappresentanti delle sedi diplomatiche sparse per il mondo compresa quella italiana.
Hanno dichiarato che sono stati gli armeni a piazzare la mina: cioè, questi “sabotatori” avrebbero superato le guardie di frontiera azere, quelle russe della forza di pace, sarebbero entrati nel territorio controllato dal nemico per undici chilometri e avrebbero interrato una mina in un viottolo di campagna di una remota località in mezzo alle montagne. Tutto può essere, ma non ci stupiremmo certo se fossero stati gli stessi azeri a organizzare il tutto con buona pace per vittime e feriti. Intanto però è subito partita ben orchestrata la campagna di accuse agli armeni. Nulla di nuovo, gli azeri hanno sempre lanciato il sasso e accusato il nemico. Fanno il loro lavoro, non gliene vogliamo…

Quello che è assolutamente inaccettabile è che ci sia una manciata (per fortuna molto ridotta) di politici italiani pronta a sposare sic et simpliciter la tesi azera. Personaggi patetici, venduti alla causa azera senza alcuna cognizione storica e politica della questione; buoni solo a ripetere a comando, servi sciocchi del ricco padrone di Baku, le parole d’ordine della propaganda azera.
Personaggi senza dignità, incapaci di spendere due parole per capire meglio i problemi e cercare anche le ragioni degli “altri”.

Mine vaganti della politica italiana.

Non accenna a sbloccarsi la situaizone lungo il confine tra i due Paesi in particolare all’altezza della regione di Gegharkunik.
Come noto, a partire dal 12 maggio centinaia di soldati azeri sono entrati nel territorio della repubblica di Armenia valicando il confine di Stato di epoca sovietica.
Sono penetrati per alcuni chilometri nel territorio armeno, hanno cacciato residenti locali, hanno catturato sei soldati armeni e cacciato altri. C’è chi dice che siano fino a un migliaio. Se non è una vera e propria invasione poco ci manca…

Yerevan mantiene un basso profilo cercando una solidarietà internazionale (per ora giunta a parole solo da alcune nazioni) ed evitando di inasprire lo scontro; anche perchè ci sono circa duecento suoi soldati catturati dagli azeri dopo la tregua del 9 novembre e la cui sorte è molto incerta.

A parte l’arroganza con la quale i soldati del dittatore Aliyev sono entrati nel territorio armeno violando le leggi internazionali e le convenzioni, stanno emergendo altri gravi problemi. Il difensore dei diritti umani (difensore civico) della Repubblica di Armenia, Arman Tatoyan, oggi ha rilasciato una dichiarazione sulla situazione negli insediamenti di confine della provincia di Gegharkunik. Il comunicato recita, in particolare, quanto segue:

I militari azeri fermano illegalmente gli abitanti del villaggio nei pascoli vicino ai villaggi della provincia di Gegharkunik, chiedono spiegazioni su in quale direzione si stanno muovendo, per quale scopo e cosa stanno trasportando, cercano di effettuare perquisizioni illegali di auto, minacciano.
Dichiarazione sui risultati dell’ulteriore lavoro di accertamento dei fatti: questa dichiarazione si riferisce alle violazioni dei diritti e ai pericoli per i residenti frontalieri nei villaggi di Verin Shorzha, Nerkin Shorzha, Norabak, Kut della provincia di Gegharkunik, a causa della presenza illegale di militari armati azeri nel territorio sovrano della Repubblica di Armenia. L’apparente presenza illegale di militari armati azeri nelle immediate vicinanze dei villaggi della provincia di Gegharkunik nel territorio sovrano dell’Armenia, i loro atti apertamente criminali hanno gravemente messo in pericolo la vita e la salute dei residenti dei villaggi di confine della Repubblica di Armenia, completamente sconvolta la loro vita normale e l’immunità mentale.
Pascoli, campi di fieno, terreni di altra importanza [lì] non possono ora essere utilizzati. Le risorse idriche, da cui si formano l’irrigazione e l’acqua potabile, sono passate sotto il possesso o il controllo delle forze armate azerbaigiane. I diritti dei residenti frontalieri della Repubblica Armena sono garantiti dalla Costituzione e dai requisiti internazionali. Pertanto, la creazione di una zona di sicurezza è una necessità assoluta per ripristinare i diritti violati delle persone e salvaguardarli dai pericoli di violazioni
».

E’ a tutti evidente che l’Azerbaigian cerca la provocazione per arrivare a un (nuovo) scontro militare che gli permetta di consolidare le sue posizioni. Fino ad ora gli armeni hanno resistito (ci sono state solo un paio di schermaglie senza utilizzo di armi da fuoco) mostrando una pazienza che però a lungo andare potrebbe anche essere interpretata come rassegnazione.
L’Azerbaigian dissemina, come al solito, disinformazione e accusa l’Armenia di attività criminale (sic!). Intanto dalla Russia, via Iran, sono arrivati nuovi automezzi militari destinati alla Difesa di Yerevan.

I copresidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE (Igor Popov della Federazione Russa, Stephane Visconti della Francia e Andrew Schofer degli Stati Uniti d’America) hanno rilasciato oggi una dichiarazione sulla detenzione di sei militari armeni e la critica situazione lungo il confine tra i due Paesi.

I copresidenti hanno tenuto consultazioni con il presidente del Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) Peter Maurer e l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati Filippo Grandi a Ginevra il 27 e 28 maggio. Anche il Rappresentante personale del Presidente in carica dell’OSCE (PRCiO) Andrzej Kasprzyk hanno partecipato alle riunioni. I copresidenti prendono atto della denunciata detenzione di sei soldati armeni il 27 maggio e chiedono il rilascio di tutti i prigionieri di guerra e degli altri detenuti su base generale. I copresidenti sottolineano l’obbligo di trattare i detenuti in conformità con il diritto umanitario internazionale.

I copresidenti esortano con forza le parti a revocare immediatamente tutte le restrizioni all’accesso umanitario al Nagorno-Karabakh e invitano le parti ad attuare integralmente gli impegni assunti ai sensi della dichiarazione di cessate il fuoco del 9 novembre.

I copresidenti prendono inoltre atto con preoccupazione di numerose recenti segnalazioni di incidenti al confine non delimitato tra Armenia e Azerbaigian. L’uso o la minaccia della forza per risolvere le controversie sui confini non è accettabile. Chiediamo a entrambe le parti di adottare misure immediate, compreso il trasferimento delle truppe, per ridurre l’escalation della situazione e avviare negoziati per delimitare e delimitare pacificamente il confine. I copresidenti sono pronti ad aiutare a facilitare questo processo.

Tenendo presenti i termini del loro mandato OSCE e le aspirazioni di tutte le popolazioni della regione per un futuro stabile, pacifico e prospero, i Copresidenti invitano nuovamente le parti a impegnarsi nuovamente sotto i loro auspici alla prima occasione.”

[traduzione e grassetto redazionale]

Centinaia di uomini, forse addirittura mille come sostiene il governatore del Syunik, fatti entrare nel territorio dell’Armenia mentre il mondo era distratto dalla crisi israelo-palestinese. Continue provocazioni e minacce verso gli armeni.

A sette mesi dalla fine della guerra in Nagorno Karabakh, è ufficialmente partita la seconda fase della strategia turco-azera per annientare il nemico armeno.

Come hanno recentemente sostenuto alcuni esperti militari, Aliyev non commetterà lo stesso errore fatto dagli armeni del 1994. Allora, pur avendone la possibilità, loro si fermarono e non approfittarono della situazione politica in Azerbaigian e di un esercito nemico in rotta. Prevalse la “ragion di Stato”, accettarono le richieste di Mosca e temettero per un possibile intervento di Ankara nel conflitto. Insomma, avrebbero potuto schiacciare la serpe moribonda e non lo fecero permettendo al regime azero di riprendere vita, di riorganizzarsi, di acquistare armi per miliardi di dollari, di vendicarsi per l’onta subìta trenta anni prima.

Ora, il dittatore non vuole appunto rifare lo stesso errore compiuto dai suoi (benevoli) nemici. L’Armenia in questo momento è politicamente instabile, pandemia e guerra hanno minato la società e il bilancio nazionale. L’Artsakh è ridotto a un fazzoletto di terra, l’esercito è in crisi profonda, la guerra ha falcidiato migliaia di vite ma anche preziosi armamenti.

Aliyev sa che è questo il momento di affondare il colpo.

Nella mappa che riproduciamo sono evidenziate in rosso le aree che in questo momento sono occupate o sono oggetto di richiesta da parte degli azeri. Non è difficile scorgere un piano ben preciso in tutto questo. Vediamo nel dettaglio:

  • TIGRANASHEN: già exclave azera in epoca sovietica è attraversata dalla strada che collega il nord a l sud dell’Armenia. Controllarla significherebbe spezzare in due il Paese isolando Vayots Dzor e Syunik
  • TAVUSH: villaggi ed exclave azere nella regione nord-orientale dell’Armenia. Il loro controllo eliminerebbe uno dei tre collegamenti con la Georgia; inoltre permetterebbe agli azeri di proteggere meglio il proprio territorio in un tratto di confine con minori asperità montuose ma anche di avere facile accesso al territorio armeno per trasferire armi e truppe.
  • LAGO SEV: pochi chilometri a nord di Goris ovvero la possibilità di controllare dall’alto il corridoio di Lachin che in questo momento è l’unico passaggio per l’Artsakh. Ciò significa poter avere una porta di accesso privilegiata per incursioni in Armenia proveniendo dai territori dell’Artsakh ora sotto controllo azero
  • VARDENIS: la regione di Karvachar in Artsakh è ora sotto controllo azero. Buona parte della strada costruita alcuni anni fa che porta al passo Sotk (miniera) e a Vardenis farebbe la stessa fine. Anche in questo caso si tratta di una via d’accesso privilegiata in caso di invasione del territorio armeno

Aggiungiamo che gli azeri si sono posizionati inoltre posizionati in aree elevate (come il monte e Ishkhanasar a 3500 m slm) che consentono un controllo a vasto raggio del territorio.

La strategia è dunque chiara. In questi giorni sta circolando la bozza di un possibile accordo che il premier Pashinyan starebbe per firmare con la controparte azera e che di fatto prevederebbe la cessione di queste (in tutto o in parte) zone. Non sappiamo se tale documento sia ufficiale o meno, se vi sia in previsione un accordo scritto o meno ma ci auguriamo vivamente che l’Armenia non compia questo suicidio politico e militare che pagherebbe a caro prezzo in futuro. Tra l’altro in questo momento non viene fatto alcun cenno alle exclave armene in territorio azero.

Aliyev ha recentemente dichiarato che è disponibile a buone relazioni con il vicino a patto che questo riconosca il confine azero (ovvero ceda tutti i territori che l’Azerbaigian reclama) e rinunci a qualsiasi pretesa sull’Artsakh (di fatto regalando 130.000 armeni alla dittatura azera). Sono rivendicazioni folli, ovviamente.

Ma non possiamo dimenticare che alti funzionari governativi di Baku nei mesi passati avevano anticipato la necessità che l’Azerbaigian creasse una zona cuscinetto lungo il confine con l’Armenia, portasse la guerra oltre frontiera e occupasse il Syunik. Il tutto a giugno. Siamo quasi a fine maggio…

PROPOSTA DI RISOLUZIONE ( RC-B9-0277/2021) con richiesta di iscrizione all’ordine del giorno per un dibattito sui casi di violazione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto ai sensi dell’articolo 144 del Regolamento sui prigionieri di guerra all’indomani del più recente conflitto tra Armenia e Azerbaigian.

Il Parlamento europeo,

– viste le sue precedenti risoluzioni sul Caucaso meridionale e sulla politica europea di vicinato,

– vista la sua risoluzione del 20 gennaio 2021 sull’attuazione della politica estera e di sicurezza comune – relazione annuale 2020,

– vista la raccomandazione del Parlamento europeo del 19 giugno 2020 al Consiglio, alla Commissione e al vicepresidente della Commissione / alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza sul partenariato orientale, in vista del Vertice di giugno 2020,

– vista la lettera di 120 membri del Parlamento europeo a Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione europea, e Charles Michel, Presidente del Consiglio europeo, sui prigionieri di guerra armeni detenuti dall’Azerbaigian del 3 maggio,

– vista la dichiarazione dell’alto rappresentante Josep Borrell sulla situazione al confine tra Armenia e Azerbaigian del 14 maggio 2021,

– vista la dichiarazione dell’UE sui prigionieri del recente conflitto tra Armenia e Azerbaigian alla 1402a riunione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 28 aprile 2021,

– vista la dichiarazione dell’Alto rappresentante a nome dell’Unione europea sul Nagorno Karabakh del 19 novembre 2020,

– viste le dichiarazioni dei copresidenti del gruppo di Minsk dell’OSCE del 13 aprile e del 5 maggio,

– vista la lettera inviata il 20 aprile 2021 dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa Dunja Mijatović al presidente Aliyev sul conflitto del Nagorno-Karabakh,

– viste le dichiarazioni congiunte del presidente della delegazione per le relazioni con il Caucaso meridionale, l’eurodeputata Marina Kaljurand, la relatrice permanente del Parlamento europeo sull’Armenia, l’eurodeputata Andrey Kovatchev e la relatrice permanente del Parlamento europeo sull’Azerbaigian, l’eurodeputata Željana Zovko di 13 Novembre 2020, 2 febbraio 2021 e 23 marzo 2021,

– visto il rapporto di Human Rights Watch “Azerbaigian: prigionieri di guerra armeni maltrattati in custodia” del 19 marzo 2021,

– visto l’accordo di partenariato globale e rafforzato tra l’Unione europea e la Comunità europea dell’energia atomica e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica di Armenia, dall’altra,

– viste le priorità del partenariato tra l’UE e l’Azerbaigian approvate dal Consiglio di cooperazione il 28 settembre 2018,

– visto l’articolo 144 del Regolamento;

A. considerando che l’accordo trilaterale di cessate il fuoco del 9 novembre 2020 tra Azerbaigian, Armenia e Russia ha posto fine alle ostilità nel Nagorno-Karabakh condotte dal 27 settembre al 9 novembre; considerando che la guerra ha provocato la morte di migliaia di militari di entrambe le parti e ha causato grandi sofferenze ai civili provocando centinaia di tragiche vittime civili e decine di migliaia di sfollati;

B. considerando che il paragrafo 8 dell’accordo di cessate il fuoco prevede che “venga effettuato lo scambio di prigionieri di guerra, ostaggi e altri detenuti, nonché i resti delle vittime”; considerando che le parti interessate hanno convenuto che il ritorno dei prigionieri sarebbe stato effettuato in base al principio “tutti in cambio di tutti”;

C. considerando che l’Armenia ha rilasciato tutti i prigionieri della recente guerra e che non risulta che nessun prigioniero di guerra o civile azero sia detenuto in Armenia o nel Nagorno-Karabakh;

D. considerando che l’Azerbaigian detiene ancora prigionieri di guerra armeni e ha presumibilmente fatto nuovi prigionieri, compresi i civili, dopo la fine ufficiale delle ostilità; considerando che è difficile stabilire con precisione il numero di prigionieri e prigionieri rimasti, a causa dell’elevato numero di persone scomparse e della mancanza di cooperazione da parte dell’Azerbaigian, ma includerebbe 69 persone la cui prigionia ammette l’Azerbaigian, 112 persone di cui l’Azerbaigian non ha fornito alcuna informazione e 61 persone la cui prigionia l’Azerbaigian nega categoricamente, ma su cui esistono prove concrete del contrario;

E. considerando che il rifiuto delle autorità azere di liberare incondizionatamente tutti i prigionieri di guerra e prigionieri è una grave violazione del diritto umanitario internazionale, un mancato rispetto dell’accordo di cessate il fuoco del 9 novembre 2020 ed è anche in profonda contraddizione con le affermazioni dell’Azerbaigian passare alla normalizzazione e alla riconciliazione;

F. considerando che l’Azerbaigian non ha risposto alla richiesta di informazioni obbligatorie della Corte europea dei diritti dell’uomo sulle circostanze della cattura, le condizioni in cui sono detenuti i prigionieri di guerra, le loro visite mediche o cure con il supporto di certificati medici, effettuata dalla Corte ai sensi dell’articolo 39 nel contesto di procedimenti legali avviati su richiesta urgente dell’Armenia [1];

G. considerando che Human Rights Watch ha riferito il 19 marzo che le forze armate e di sicurezza azerbaigiane hanno abusato dei prigionieri di guerra armeni, sottoponendoli a trattamenti crudeli e degradanti e torture quando sono stati catturati, durante il loro trasferimento o durante la detenzione in varie detenzioni strutture; considerando che le forze azere hanno fatto ricorso alla violenza per detenere civili e li hanno sottoposti a torture e condizioni di detenzione disumane e degradanti, che hanno provocato la morte di almeno due detenuti nella prigionia azera; considerando che le forze azere hanno arrestato questi civili anche se non vi erano prove che rappresentassero una minaccia alla sicurezza per giustificare la loro detenzione ai sensi del diritto internazionale umanitario;

H. considerando che la creazione di un “Parco dei trofei militari” a Baku va contro la responsabilità delle autorità dell’Azerbaigian di sanare le ferite inflitte dal conflitto armato e di garantire che i cittadini sotto il governo dell’Azerbaigian siano trattati con rispetto;

I. considerando che, secondo quanto riferito, su Internet e sui social media sono circolati video che hanno evidenziato casi di abusi e maltrattamenti di prigionieri da parte di membri delle forze armate di entrambe le parti; considerando che non vi sono indicazioni che le autorità azere o armene abbiano condotto indagini rapide, pubbliche ed efficaci su questi incidenti o che le eventuali indagini abbiano portato a procedimenti penali;

J. considerando che durante le ostilità da settembre a novembre 2020 le forze militari armene e azerbaigiane hanno effettuato attacchi missilistici illegalmente indiscriminati su aree popolate, provocando vittime civili e danneggiando case, aziende e scuole e contribuendo allo sfollamento di massa; considerando che entrambe le parti hanno utilizzato anche munizioni a grappolo, vietate a causa del loro effetto indiscriminato diffuso e del pericolo di lunga durata sui civili, nelle aree popolate, provocando vittime civili;

K. considerando che milioni di pezzi di ordigni inesplosi e mine sono sparsi nel Nagorno Karabakh e nei suoi dintorni; considerando che tutte le parti dovrebbero fornire mappe disponibili dei campi minati per consentire ai civili di tornare nelle ex regioni di conflitto;

L. considerando che il 12 maggio le truppe dell’Azerbaigian sono entrate nel territorio dell’Armenia, il che costituisce una violazione dell’integrità territoriale dell’Armenia e del diritto internazionale;

M. considerando che il 16 maggio l’Azerbaigian ha iniziato esercitazioni militari nella Repubblica autonoma di Nakhchivan che hanno coinvolto fino a 15.000 militari e attrezzature militari pesanti;

N. considerando che il 17 maggio la Commissione europea ha annunciato lo stanziamento di ulteriori 10 milioni di euro in aiuti umanitari per aiutare i civili colpiti dal recente conflitto nel Nagorno Karabakh e nei dintorni, portando l’assistenza dell’UE alle persone bisognose sin dall’inizio delle ostilità nel settembre 2020, a oltre 17 milioni di euro;

1. accoglie con favore l’accordo su un cessate il fuoco completo nel Nagorno-Karabakh e nei dintorni concordato da Armenia, Azerbaigian e Russia il 9 novembre 2020; rileva positivamente che il cessate il fuoco è stato generalmente rispettato, a parte incidenti deplorevoli ma isolati; condanna l’ingresso di truppe azere all’interno del territorio dell’Armenia, in violazione del diritto internazionale; deplora le vaste esercitazioni militari dell’Azerbaigian che hanno ulteriormente intensificato le tensioni tra i due paesi; spera che questo accordo salverà le vite sia dei civili che del personale militare e aprirà prospettive più rosee per una soluzione pacifica di questo conflitto mortale;

2. deplora che durante i 25 anni di negoziati non ci siano stati risultati; deplora l’uso della forza militare intesa a modificare lo status quo; condanna fermamente l’uccisione di civili e la distruzione di strutture civili e luoghi di culto, condanna l’uso riferito di munizioni a grappolo nel conflitto;

3. deplora che l’esito dell’accordo di cessate il fuoco abbia portato al dispiegamento delle cosiddette forze di pace russe nel Nagorno-Karabakh, che sulla base delle esperienze di altri paesi del partenariato orientale serve solo gli interessi della Russia;

4. condanna il sostegno fornito all’Azerbaigian dalla Turchia, che ha solo incoraggiato l’Azerbaigian a utilizzare la forza militare invece di negoziati pacifici; condanna, inoltre la partecipazione al conflitto armato di mercenari siriani, portati dalla Turchia;

5. rileva che il conflitto ha destabilizzato l’ambiente politico armeno, che dopo le elezioni parlamentari del 2018 ha intrapreso un percorso di riforme democratiche e filoeuropee, e ha aumentato l’affidabilità dell’Armenia dalla Russia, nota per la sua attiva opposizione alla democratizzazione dei partner orientali dell’UE;

6. Sottolinea che resta ancora da trovare una soluzione duratura e che il processo per raggiungere la pace e determinare il futuro status giuridico del Nagorno-Karabakh dovrebbe essere guidato dai copresidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE e fondato sui loro Principi fondamentali del 2009, in linea con norme e principi del diritto internazionale, la Carta delle Nazioni Unite e l’Atto finale di Helsinki del 1975 dell’OSCE;

7. si rammarica che gli Stati membri dell’UE che partecipano al gruppo di Minsk dell’OSCE non fossero presenti quando è stato mediato l’accordo di cessate il fuoco, così come l’UE non ha dato prova di leadership nel portare al tavolo dei negoziati due dei suoi preziosi partner orientali;

8. esprime preoccupazione per la ridotta attività del Gruppo di Minsk dell’OSCE e per la capacità di servire al suo scopo; chiede un impegno attivo dell’UE e dei suoi Stati membri per rafforzare il processo di pace e riconciliazione tra Armenia e Azerbaigian, applicando una leadership simile dimostrata in Georgia nel mediare la prolungata crisi politica;

9. esprime preoccupazione per la decisione del parlamento separatista del Nagorno-Karabakh di fare del russo la seconda lingua ufficiale della regione, insieme alla lingua armena;

10. invita entrambe le parti a completare in modo completo e rapido il processo di scambio di tutti i prigionieri, detenuti e resti umani ea rispettare i loro obblighi per garantire un trattamento umano dei detenuti;

11. Invita l’Azerbaigian a rispettare i suoi obblighi ai sensi del diritto internazionale umanitario e dell’accordo di cessate il fuoco e di rilasciare senza indugio tutti i rimanenti prigionieri di guerra e le persone detenute, indipendentemente dalle circostanze del loro arresto e ad astenersi da detenzioni arbitrarie in futuro; esorta il governo dell’Azerbaigian a fornire gli elenchi di tutte le persone in cattività in Azerbaigian detenute in relazione al conflitto armato o alle sue conseguenze ea fornire informazioni sulla loro ubicazione e sullo stato di salute;

12. esprime la sua grave preoccupazione per le numerose accuse di abusi sui prigionieri della guerra del Nagorno-Karabakh, in particolare come documentato nel rapporto di Human Rights Watch “Azerbaigian: prigionieri di guerra armeni maltrattati in custodia”; ricorda ai governi dell’Azerbaigian e dell’Armenia i loro obblighi internazionali di condurre indagini indipendenti, rapide, pubbliche ed efficaci e perseguire tutte le accuse credibili di violazioni delle Convenzioni di Ginevra e violazioni del divieto di tortura; sottolinea che deve essere garantito il pieno rispetto del diritto internazionale umanitario e il divieto di tortura e altri trattamenti degradanti o inumani;

13. chiede al governo dell’Azerbaigian di astenersi da qualsiasi violenza, molestia, tortura e maltrattamento dei prigionieri armeni e di rispettare pienamente le disposizioni del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani; invita inoltre a rispettare le garanzie legali, a garantire il controllo giudiziario sulle detenzioni, a consentire l’accesso di avvocati, medici e difensori dei diritti umani indipendenti ai detenuti e a facilitare la comunicazione con i parenti;

14. invita l’Azerbaigian a fornire le informazioni in sospeso richieste dalla Corte europea dei diritti dell’uomo;

15. Invita il governo dell’Azerbaigian a garantire l’accesso libero e senza ostacoli ai prigionieri per le organizzazioni internazionali competenti, come Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) e Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT);

16. Sottolinea l’urgente necessità di garantire che l’assistenza umanitaria possa raggiungere coloro che ne hanno bisogno, che sia garantita la sicurezza della popolazione armena e del suo patrimonio culturale nel Nagorno-Karabakh, che gli ordigni inesplosi e le mine siano rimossi, ad esempio. attraverso la fornitura di mappe dei campi minati e affinché gli sfollati interni e i rifugiati possano tornare ai loro precedenti luoghi di residenza;

17. disapprova l’apertura del “Parco dei trofei militari” a Baku, che mostra l’equipaggiamento militare armeno preso come trofeo durante la guerra e manichini caricaturali di soldati armeni; considera tale esposizione umiliante e disumanizzante, che accresce la violenta retorica e ostacola gli sforzi di riconciliazione tanto necessari;

18. insiste fermamente affinché entrambe le parti si astengano da qualsiasi azione che distrugga l’eredità armena in Azerbaigian e l’eredità azera in Armenia; deplora la distruzione del cimitero armeno a Julfa, nell’exclave di Nakhchivan dell’Azerbaigian, e lo smantellamento della cattedrale di Ghazanchetsots a Shushi da parte dell’Azerbaigian, tra l’altro; deplora la distruzione di moschee e cimiteri da parte delle forze armene negli ultimi 30 anni; ritiene inaccettabili le segnalazioni di distruzione o manipolazione di siti culturali e religiosi armeni da parte delle autorità azere; insiste affinché non si verifichino interventi sui siti del patrimonio armeno prima di una missione di valutazione dell’UNESCO e che gli esperti del patrimonio culturale armeno e internazionale siano consultati prima e strettamente coinvolti durante gli interventi sui siti del patrimonio culturale armeno; chiede il pieno ripristino di questi e altri siti demoliti e di un maggiore coinvolgimento della comunità internazionale, in particolare dell’UNESCO, nella protezione del patrimonio mondiale nella regione;

19. sottolinea che sono necessari rinnovati sforzi per creare fiducia tra i due paesi, tra cui la revoca delle restrizioni all’accesso al Nagorno-Karabakh, anche per i rappresentanti delle organizzazioni umanitarie internazionali, lo sblocco dei trasporti e delle linee di comunicazione in tutta la regione e la promozione dei contatti diretti e della cooperazione tra le comunità colpite dal conflitto, nonché altre misure di rafforzamento della fiducia tra le persone;

20. invita l’UE e gli Stati membri a esercitare pressioni sull’Azerbaigian e l’Armenia affinché assumano una posizione ferma contro qualsiasi retorica o azioni che portino a innescare animosità o odio e, invece, fornire pieno sostegno e sostegno politico agli sforzi volti a promuovere la pace e la riconciliazione tra le popolazioni colpite dal conflitto, in particolare tenendo conto del benessere delle future generazioni di Azerbaigian e Armenia;

21. invita le parti a riprendere quanto prima il dialogo politico ad alto livello sotto gli auspici dei copresidenti del gruppo di Minsk dell’OSCE;

22. invita l’Azerbaigian e l’Armenia a impegnarsi immediatamente a non utilizzare munizioni a grappolo e ad adottare le misure necessarie per aderire senza ulteriori indugi alla Convenzione sulle munizioni a grappolo, che ne vieta completamente l’uso;

23. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Vicepresidente della Commissione / Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, al Consiglio, alla Commissione, agli Stati membri dell’UE, al Consiglio d’Europa, all’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, l’OSCE, l’Armenia e l’Azerbaigian “.

[traduzione redazionale]

NOTA: tutti i deputati italiani che hanno partecipato alla votazione si sono espressi a favore della mozione.

RISULTATO:

votanti 688

favorevoli 607

contrari 27

astenuti 54

Dalla scorsa settimana, come noto, è prepotentemente salita la tensione alla frontiera tra Armenia e Azerbaigian a causa della penetrazione in territorio armeno di alcune centinaia di soldati azeri.

Le trattative diplomatiche intercorse hanno avuto finora parziale esito: pare che i militari di Baku si siano ritirati dalla zona intorno al lago Sev ma occupino ancora porzioni di territorio della repubblica di Armenia nella regione di Gegharkunik.

Per l’Azerbaigian, l’azione militare deriva dalla necessità di definire i confini di Stato eredità della esperienza sovietica. Però, invece di concordare soluzioni con la controparte armena, la via scelta da Baku è finora stata quella di prendere possesso di territori poco presidiati dai soldati avversari sfruttando l’andamento tortuoso della linea di demarcazione e le asperità montuose del territorio. Queste operazioni hanno il duplice scopo di guadagnare sempre più terreno, privare i villaggi armeni di confine dei pascoli e delle riserve idriche, imporre ulteriori condizioni nelle trattative negoziali (ad esempio trattenendo ancora i duecento prigionieri catturati dopo la firma dell’accordo di tregua del 9 novembre). Una politica altamente aggressiva e provocatoria che sfrutta il momento di debolezza politica della controparte.

Sulle problematiche di confine tra i due Stati avevamo già scritto nei mesi passati. Con la vittoria nella guerra e il doloroso accordo di tregua, l’Azerbaigian è entrato in possesso di territori che si trovano a ridosso della repubblica di Armenia e che prima erano amministrati dalla repubblica di Artsakh.

Giova precisare che in epoca sovietica non esistevano confini tra le repubbliche e ci si spostava liberamente senza alcun controllo. La linea di frontiera era meramente teorica, non aveva alcun valore sostanziale. Alcuni villaggi a prevalenza etnica erano stati inclusi all’interno delle rispettive repubbliche solo per salvaguardare l’identità nazionale dei residenti. Erano così sorte exclave dall’una e dall’altra parte che, ripetiamo, avevano solo un valore formale. Lo stesso confine invece di seguire l’andamento orografico privilegiava a volte solo la composizione demografica dei villaggi.

Quando l’Unione sovietica cessò la sua esistenza, riaffiorò il problema della separazione dei due nuovi Stati (la repubblica di Armenia e quella di Azerbaigian) sorti dalle ceneri delle precedenti repubbliche socialiste sotto controllo di Mosca. La questione durò tuttavia poco perché dall’estate 1991 all’inizio delle ostilità nella prima guerra del Nagorno Karabakh passarono solo pochi mesi.

Gli armeni ebbero la meglio sugli aggressori e riuscirono a prendere il controllo anche sulle regioni confinanti con l’Armenia. Di fatto, tutto il fianco orientale (nella parte centrale e meridionale) era privo di pericoli in quanto occupato dagli armeni da una parte e dell’altra.

Terminata l’ultima guerra, come detto, la repubblica di Armenia si è trovata nel giro di poche settimane a dover fare i conti con il pericoloso vicino azero e con le sue arroganti pretese. Suonano ridicole le giustificazioni di Baku: all’inizio gli azeri hanno dichiarato che stavano posizionando le loro truppe sulla base delle linee di confine esistenti (ma portando a comprova mappe false), poi hanno cominciato a fare immediati lavori di ingegneria per creare posizioni avanzate. Da ultimo il ministro degli Esteri Bayramov ha dichiarato che “l’Azerbaigian ha preso misure per rafforzare il confine con l’Armenia, tra cui il dispiegamento delle forze di frontiera azerbaigiane” ed è arrivato a sottolineare “l’approccio costruttivo del suo Paese”.

L’Armenia si è appellata al trattato CSTO che impone l’aiuto militare alla nazione aggredita, Francia e Stati Uniti hanno invitato l’Azerbaigian a ritirare le proprie truppe, la Russia ha spostato uomini e mezzi nel sud dell’Armenia. Le trattative sono in corso ma ancora non sono approdate a un risultato definitivo.

Ancora una volta Aliyev gioca con il fuoco. Ennesimo atto di prepotenza, ennesima provocazione, ennesima minaccia.

Mentre il dittatore azero Aliyev si trastulla a Shushi con il festival “tradizionale” (due edizioni oltre trenta anni fa…) di musica azera, circa 250 suoi soldati hanno invaso il territorio dell’Armenia, uno Stato internazionalmente riconosciuto.

Hanno superato i confini per oltre 3,5 km e occupato un’area intorno al piccolo lago Sev rivendicandone il pieno possesso. Contemporaneamente, hanno superato la frontiera entrando anche nella regione di Gegharkunik in direzione di Vardenis.

A nulla fino a oggi sono valsi i tentativi dei mediatori internazionali, del comando russo delle forze di pace e dei funzionari del CSTO di far ritornare i soldati dell’Azerbaigian alle originarie posizioni.

Il regime di Aliyev ha altresì annunciato lo scorso 12 maggio (con un preavviso minimo che viola le convenzioni internazionali) nuove imponenti manovre militari dal 16 al 20 maggio con oltre 15.000 uomini, forze terrestri e aeree, droni da combattimento e carri armati.

A sei mesi dalla fine della guerra scatenata contro la piccola repubblica de facto del Nagorno Karabakh (Artsakh) si tratta dell’ennesima provocazione e dell’ennesimo tentativo di minare ogni tentativo di raggiungere una pacificazione definitiva nella regione.

Questa nuova avventura bellica dell’Azerbaigian non deve però sorprendere. Ripetutamente Aliyev, spalleggiato dal compare Erdogan, ha pronunciato violente minacce contro gli armeni e la repubblica di Armenia reclamando come proprio diritto il possesso del Syunik (Armenia meridionale) e della zona intorno al lago Sevan. Suoi funzionari governativi (da ultimo l’ombudsman dell’Azerbaigian) hanno dichiarato che l’Azerbaigian deve creare una zona cuscinetto all’interno dell’Armenia (uno Stato sovrano, membro del Consiglio d’Europa!), hanno preannunciato l’occupazione prossima di Stepanakert (capitale dell’Artsakh) e, con le buone o le maniere forti, delle aree rivendicate in Armenia.

Mentre il regime di Baku tiene ancora prigionieri circa 200 soldati e civili armeni catturati dopo l’entrata in vigore della tregua utilizzati come ostaggi, mentre allestisce il macabro “parco della vittoria” a Baku, nuovi venti di guerra stanno dunque spirando nel Caucaso meridionale.

Dopo tanta accondiscendenza e tanta attenzione agli interessi economici è forse arrivato il momento di far sentire la voce forte dell’Europa (e dell’Italia) contro questa ennesima arrogante provocazione dell’Azerbaigian.

Chi tace d’ora in avanti sarà etichettato alla stregua di un complice di questo folle tiranno!

#STOPALIYEV!

Si moltiplicano gli appelli internazionali affinchè l’Azerbaigian liberi le decine di prigionieri armeni ancora detenuti nelle sue carceri dalla fine del conflitto. Come abbiamo già avuto modo di scrivere in passato, il regime di Aliyev utilizza militari (e civili) catturati durante e perfino dopo il conflitto come strumento di ricatto per alzare la posta al tavolo delle trattative negoziali su qualsiasi tema venga discusso.

Decine, forse anche duecento, uomini e donne armeni sono ostaggio del regime azero. Quersta perdurante violazione delle regole del diritto internazionale e delle convenzioni tra Stati sta tuttavia provocando un aumento della pressione da parte dell’opinione pubblica internazionale che provoca ripetuti inviti a Baku per il rilascio degli armeni.

Dopo l’appello firmato da 120 deputati del Parlamento europeo affinchè le istituzioni comunitarie facciano pressione sull’Azerbaigian, sono arrivate nelle scorse ore le dichiarazioni di Francia e Canada che hanno commentato il rilascio di tre (soli) armeni.

Chiediamo il rilascio rapido di tutti i detenuti armeni ancora detenuti. Il rilascio di ieri da parte dell’Azerbaigian di tre detenuti armeni è un passo nella giusta direzione“, ha scritto su Twitter il ministero degli Esteri francese. Dello stesso tenore anche la dichiarazione proveniente dal nord America.

Dal canto loro, i copresidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE (Igor Popov della Federazione Russa, Stephane Visconti della Francia e Andrew Schofer degli Stati Uniti d’America) hanno rilasciato lo scorso 5 maggio la seguente dichiarazione congiunta: ”I copresidenti accolgono con favore il rilascio da parte dell’Azerbaigian dei detenuti armeni Robert Vardanyan, Samvel Shukhyan e Seryan Tamrazyan e invitano entrambe le parti a completare in modo completo e rapido il processo di scambio di tutti i prigionieri, detenuti e resti [umani, NdR], e a rispettare i loro obblighi di garantire il trattamento umano dei detenuti. Ricordando la loro dichiarazione del 13 aprile, i copresidenti esortano le parti a scambiare tutti i dati necessari per condurre uno sminamento efficace delle regioni di conflitto e ad abolire le restrizioni all’accesso al Nagorno-Karabakh, anche per i rappresentanti delle organizzazioni umanitarie internazionali. I copresidenti incoraggiano le parti ad adottare misure concrete per creare un’atmosfera di fiducia reciproca che favorisca una pace duratura, affrontando le restanti aree di preoccupazione delineate nella dichiarazione dei copresidenti del 13 aprile. Ciò include la ripresa del dialogo politico ad alto livello sotto gli auspici dei copresidenti il ​​prima possibile”, si legge nella dichiarazione.

E’ arrivato il momento che anche le istituzioni italiane facciano sentire la loro voce con il governo azero e impongano allo stesso la restituzione dei prigionieri armeni. Compriamo gas e petrolio da Baku per svariati miliardi di dollari all’anno e come “clienti speciali” forse possiamo anche avere il coraggio (oltre che la dignità) di imporre al regime di Aliyev un minimo rispetto dei diritti umani!

(nella foto tratta dal sito Haqquin.az, manichini di soldati armeni prigionieri esposti nel macabro “Parco della vittoria” allestiuto a Baku)