Il ministro degli Esteri russo, Lavrov, ha rilasciato una controversa dichiarazione a margine della visita del presidente Putin in Azerbaigian.

In parole povere, Lavrov ha accusato l’Armenia di non rispettare l’accordo del 9 novembre 2020 riguardo alle comunicazioni regionali tra Armenia e Azerbaigian.

A meno che non abbia pronunciato tali parole solo per compiacere il padrone azero di casa, sorprende l’uscita del pur navigato ed esperto ministro.

Innanzitutto, solo poco tempo fa, la parte armena e quella azera hanno concordato di lasciare da parte al tavolo negoziale ogni discussione sulla materia (il cosiddetto “Corridoio di Zangezur”). E già questo dovrebbe essere sufficiente.

Ma, poi, cosa è rimasto di quell’accordo tripartito firmato per fermare la guerra di conquista azera dell’Artsakh?

L’Azerbaigian ha sferrato ulteriori attacchi e ha occupato tutto il Nagorno Karabakh, la popolazione è fuggita; per tre anni la forza di pace russa ha assistito quasi senza battere ciglio alle scorribande degli orchi azeri, al blocco di energia elettrica e gas, all’assedio per fame della popolazione con i “checkpoint” azeri innalzati davanti ai soldati russi.

Ancora oggi decine di armeni sono prigionieri di guerra e ostaggio nelle mani di Aliyev.
E sarebbe l’Armenia a non rispettare gli accordi?

La Russia vorrebbe avere un controllo sui transiti tra Nakhjivan e Azerbaigian ma l’operazione non è possibile.

Sorprendono allora le parole del ministro che è esperto e non può ignorare lo stato delle cose. O forse voleva solo far bella figura davanti a Bayramov e Aliyev. Ma questo sarebbe un segno di debolezza…

Come noto, l’Azerbaigian (che a novembre ospiterà COP29) sta cercando di attuare una politica di “greenwashing” ossia da Paese produttore di fossili vuol far vedere che è invece attento allo sviluppo di energie eco-sostenibili e alla protezione dell’ambiente.

Questa operazione si articola in tre mosse:

1) forum e convegni internazionali per mostrare il volto “verde” del regime di Aliyev

2) un (annunciato) programma di sviluppo di energia alternativa nei territori conquistati e occupati del Nagorno Karabakh (Artsakh) con l’invito anche alle aziende internazionali a partecipare alle commesse

3) accuse all’Armenia di inquinare i fiumi che poi si riversano in Azerbaigian

Proprio pochi giorni fa si è tenuto l’ennesima tavola rotonda animata da giovani attivisti ambientalisti azeri. Gli stessi che per dieci mesi avevano bloccato la strada di Lachin e isolato l’Artsakh con accuse farlocche agli armeni di Stepanakert che a loro dire inquinavano il territorio. Salvo poi sparire dalla circolazione non appena i soldati del dittatore Aliyev avevano effettivamente bloccato il collegamento tra l’Armenia e il Nagorno Karabakh (Artsakh). Quel blocco fece da apripista alla successiva pulizia etnica della regione dieci mesi dopo.

Anche in quest’ultimo evento si sono rinnovate le accuse ai cattivi armeni che con le loro attività minerarie lungo il confine danneggerebbero l’ambiente dell’Azerbaigian.

Ironia della sorte, proprio nello stesso periodo c’erano altri azeri che protestavano: erano gli abitanti del villaggio di Soyudlu, nel distretto di Gadabay, nell’Azerbaigian occidentale, che manifestavano contro la ripresa delle attività di una miniera d’oro altamente inquinante.

In questo caso, come ogni qual volta qualcuno osi protestare nel regime di Aliyev, le forze di sicurezza sono intervenute massicciamente e hanno effettuato anche arresti.

La miniera è di proprietà della “Anglo Asian mining ltd” (si dice che sia in parte di proprietà della figlia di Aliyev) che è la stessa società che vantava le pretese di sfruttamento sulle due miniere che sono presenti in Artsakh e che gli ambientalisti farlocchi accusavano di inquinamento. Conquistata la regione, mandati via gli armeni, il problema “ambientale” è stato evidentemente risolto perchè magicamente non se ne parla più.

Gli eco-attivisti azeri dovevano essere evidentemente distratti mentre la polizia manganellava gli abitanti del villaggio di Soyudlu. Così come non non si accorgono del disastroso stato di inquinamento dei fiumi pieni di plastica e delle aree costiere (as esempio la famigerata Sumgayit) vicino agli impianti petroliferi ridotte ormai in condizioni drammatiche.

Ma tanto fra tre mesi c’ è COP29: una bella spolverata di verde e il regime di Aliyev va avanti…

In previsione dell’evento organizzato dalle Nazioni Unite in Azerbaigian sul cambiamento climatico (COP 29) è partita una campagna finalizzata alla liberazione dei prigionieri armeni illegalmente detenuti dal regime di Aliyev in Azerbaigian.

La campagna mira a utilizzare la piattaforma della 29a Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP 29) per sostenere il rilascio degli ostaggi armeni e dei prigionieri politici detenuti nelle carceri di Baku. Il vertice si terrà nel novembre di quest’anno in Azerbaigian. Lo scopo della campagna è anche quello di evidenziare l’ipocrisia della presentazione della COP 29 da parte dell’Azerbaigian come una “COP di pace”, quando in quel vertice verranno discusse anche questioni relative al cambiamento climatico e al genocidio.

Gli obiettivi principali della campagna sono:

  1.  Liberazione degli ostaggi ovvero garantire il rilascio di 23 ostaggi armeni e di altri prigionieri politici detenuti nelle carceri di Baku. 
  2. Crescente consapevolezza cioè generare una consapevolezza globale universale sui problemi del Nagorno Karabakh e sui diritti del popolo dell’Artsakh. 
  3. Affrontare l’ipocrisia mirando a evidenziare le contraddizioni tra le azioni dell’Azerbaigian e presentare la COP 29 come un evento di pace. 
  4. Applicazione del diritto internazionale ossia sostenere l’attuazione delle convenzioni internazionali sul cambiamento climatico e sul genocidio. 
  5. Difesa dell’Armenia sensibilizzando sulla attuale situazione e mirando a proteggere l’Armenia a lungo termine.

Si tratta di una campagna imparziale iniziata con l’appello all’azione del primo procuratore della Corte penale internazionale (CPI), Luis Moreno Ocampo. È guidata da leader delle comunità armene e da organizzazioni dell’Armenia e della diaspora, come il ‘Centro per la verità e la giustizia’ con sede negli Stati Uniti, nonché da attivisti civili. Questa campagna è pubblicamente appoggiata e sostenuta da importanti organizzazioni armene, personaggi influenti e famosi. La campagna invita gli armeni di tutto il mondo e i cittadini preoccupati di tutto il mondo a unirsi attorno a questa causa.

Il vertice COP 29 attirerà l’attenzione del mondo, diventando un’occasione cruciale per evidenziare la difficile situazione della popolazione del Nagorno Karabakh e tutelare i suoi diritti. Questa è un’opportunità per smascherare l’ipocrisia dell’Azerbaigian e per premere per il rilascio di 23 ostaggi armeni e di altri prigionieri politici.

Sia il cambiamento climatico che il genocidio sono regolati da convenzioni internazionali, rispettivamente la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (1992) e la Convenzione sul genocidio (1948). Tuttavia, queste convenzioni non sono state effettivamente implementate. Lo scopo della campagna è evidenziare la necessità di una migliore applicazione di questi principi, sia per combattere il riscaldamento globale che i genocidi in corso, compreso il genocidio nel Nagorno Karabakh.

Da quanto il Nagorno Karabakh-Artsakh è stato interamente occupato dagli azeri questa è la domanda principale che tutti si rivolgono.

Oggi, 9 luglio, una manifestazione davanti alla sede delle Nazioni Unite a Yerevan (Armenia) ha sollevato nuovamente il problema del destino degli oltre 6000 monumenti armeni nel territorio dell’Artsakh che oggi sono minacciati di distruzione fisica e islamizzazione.

Questa è peraltro la politica che l’Azerbaigian porta avanti dal 2020 insieme alla pulizia etnica. Ora, nel momento in cui l’Azerbaigian ha sottoposto il territorio dell’Artsakh alla pulizia etnica ha risolto il problema dell’eliminazione presenza armena. Poi passa alla fase successiva, ossia l’eliminazione di ogni traccia storica e culturale.

Distrugge gli edifici religiosi armeni e ci sono già 3 chiese rase al suolo: la prima è stata la Chiesa della Santa Madre di Dio a Mekhakavan, poi la chiesa a Berdzor, e la chiesa di Hohhannes Mkrtchi (san Giovanni battista) a Shushi, conosciuta come la chiesa verde.
Se nel caso delle prime due, l’Azerbaigian ha dichiarato che erano di nuova costruzione, edificate illegalmente sul suo territorio, la giustificazione non regge a Shushi con la chiesa Hovhannes Mkrtchi che è stata costruita nel XVIII secolo. Cimiteri e insediamenti, ad esempio il villaggio di Karin Tak, vengono eliminati in massa.

Numerose sono poi le demolizioni di edifici pubblici (come la sede dell’Assemblea nazionale) e privati. Statue, iscrizioni, qualunque cosa possa richiamare alla presenza armena nella regione viene camcellata sistematicamente.

Il territorio dell’Artsakh viene progressivamente liberato dallo spirito armeno.

Al riguardo, nel corso della odierna manifestazione, è stata preparata una lettera indirizzata all’ufficio dell’ONU, nella quale si menziona la decisione della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia, affinché l’ONU faccia pressione sull’Azerbaigian affinché rispetti le decisioni della corte.

Ricordiamo che il 17 dicmebre 2021 la Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite ha pubblicato la decisione di applicare misure urgenti sulla base del ricorso presentato dalla Repubblica d’Armenia nell’ambito del caso “Armenia vs. Azerbaigian” in esame nell’ambito della controversia internazionale convenzione “Sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale”, che obbliga la Repubblica dell’Azerbaigian, tra le altre questioni, a “adottare tutte le misure necessarie per prevenire e punire atti di vandalismo e profanazione contro il patrimonio culturale armeno, comprese le chiese e altri luoghi di culto, monumenti, punti di riferimento, cimiteri e manufatti.”

La Corte il 17 novembre 2023 ha pubblicato una nuova decisione secondo cui l’Azerbaigian è obbligato a garantire l’ingresso e l’uscita senza ostacoli e sicuri delle persone che hanno lasciato il Nagorno Karabakh a seguito degli eventi accaduti dopo il 19 settembre. L’Azerbaigian è obbligato a garantire il ritorno di coloro che lo desiderano, nonché l’opportunità per loro di vivere in sicurezza nel proprio luogo di residenza senza minacce.

La Corte internazionale ha inoltre obbligato l’Azerbaigian a conservare e a non distruggere i documenti che confermano i diritti di proprietà dei residenti del Nagorno Karabakh.

Naturalmente queste pronunce sono acqua fresca per il regime dell’Azerbaigian.

Partiamo da una premessa: la Costituzione dell’Azerbaigian è carta straccia, non vale nulla.

Non potrebbe essere diversamente visto che elenca, come le carte costituzionali di tutti i Paesi del mondo, diritti e libertà che nel regime dittatoriale di Aliyev (al potere da oltre venti anni, succeduto al padre…) nessuno può liberamente esprimere il proprio pensiero e le carceri sono piene di attivisti per i diritti umani, oppositori politici e giornalisti.

Già l’introduzione è tutto un programma: “Il popolo dell’Azerbaigian, continuando le sue secolari tradizioni di Stato,…”. Per uno Stato nato nel 1918, parlare di “tradizioni secolari” fa solo che ridere.

La sezione II della Carta (“Diritti, libertà e doveri fondamentali”) è solo un elenco di vuote enunciazioni che non hanno alcuna applicazione pratica nella vita sociale e politica del popolo azerbaigiano. La libertà di pensiero e parola (art.47) è una chimera per i sudditi del tiranno. Come pure la libertà di riunione (art. 49) e di informazione (art. 50). Quando leggiamo che “La libertà di informazione di massa è garantita. La censura statale sui mass media, inclusa la stampa, è proibita” possiamo solo compatire il popolo che deve fare i conti di una realtà molto diversa.

Ora, il tiranno azero pretende che l’Armenia cambi la sua Costituzione perché nel preambolo viene fatto riferimento alla dichiarazione di indipendenza del 1991 dove si enuncia la “riunificazione della RSS Armena e la Regione montagnosa del Karabakh”.

A prescindere dal fatto che non esiste più la Repubblica Socialista Sovietica di Armenia, il problema sarebbe facilmente superabile con una espressa enunciazione nel futuro trattato di pace.

Ma questo ad Aliyev non basta, vuole interferire con le leggi armene e disporne a suo piacimento. Ed è solo un pretesto per rimandare qualsiasi accordo di pace. Dopo aver ottenuto il cambio della Costituzione armena, Aliyev solleverà un’altra questione e così via all’infinito, scaricando la colpa sugli armeni che non vogliono la pace.

E, a proposito: perché nella Costituzione azera (art. 11, capo III) si afferma che “Nessuna parte del territorio della Repubblica dell’Azerbaigian può essere alienata”? Questo vuol dire che il tema della exclavi di epoca sovietica sarà un impedimento assoluto alla conclusione di un accordo di pace? E che mai questo ci sarà fintanto che l’Armenia non avrà ceduto anche questi territori che si trovano dentro i propri confini e che sono un retaggio di un’epoca sovietica ormai passata?

Come si vede, ogni appiglio è buono per rimandare un accordo di pace. E, non essendo definiti ovviamente i confini dello Stato, nessuna soluzione sarà mai possibile fin tanto che non sarà determinata con esattezza la linea di demarcazione fra i due Stati.

Per ora è stato raggiunto un accordo su 12 chilometri (12!) su circa mille di confine. Con calma, non c’è fretta.

Intanto i soldati azeri occupano il territorio dell’Armenia per circa 250 kmq.

Ma questo nella carta straccia dell’Azerbaigian non è precisato…

L’Artsakh Information Center ha risposto con una nota alle dichiarazioni del primo ministro Nikol Pashinyan della Repubblica di Armenia.

Le autorità dell’Artsakh [(Nagorno Karabakh)] ritengono necessario sottolineare che le conseguenze delle controdichiarazioni alle loro dichiarazioni, anche nel contesto della sicurezza del Paese, ricadranno su tali cifre poiché un discorso pubblico implica anche una smentita , che deve necessariamente essere calcolato.

Dando priorità ai problemi di sicurezza della Repubblica Armena, dopo lo sfollamento forzato, le autorità dell’Artsakh da tempo mostrano moderazione, astenendosi il più possibile dal parlare in pubblico, ma soprattutto si dovrebbe rispondere alle falsità diffuse negli ultimi giorni affinché il popolo armeno conosca la verità.

Riferendosi all’azione di disobbedienza [civile] avvenuta il 12 giugno sul viale [Marshal] Baghramyan a Yerevan, le autorità dell’Artsakh esortano la polizia a valutare la situazione con lucidità, ad astenersi dall’uso della forza sproporzionata e ad invitare tutte le parti a intervenire mostrare moderazione“.

Pubblichiamo, nella notsra traduzione italiana, l’articolo edito il 30 maggio da “Eurasia.net” consultabile in orginale QUI.

La Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite (ICJ) ha ordinato all’Azerbaigian di sostenere il diritto al ritorno per i rifugiati armeni fuggiti dal Nagorno-Karabakh in seguito alla riconquista del territorio da parte dell’esercito azero. Ma se qualche armeno alla fine dovesse tornare, potrebbe non riconoscere le aree da cui è fuggito alla fine del 2023.

Dallo scorso autunno, quando la riconquista del Karabakh è stata completata, l’Azerbaigian si è mosso rapidamente per rifare parti chiave della regione, evidentemente con l’obiettivo di eliminare le vestigia dell’influenza armena. Il restyling si estende oltre i cambi di nome delle località: la capitale del Karabakh, ad esempio, si chiamava Stepanakert in epoca sovietica, ma ora è conosciuta come Khankendi. Nuove immagini satellitari rivelano l’estesa distruzione di edifici residenziali, chiese e altri siti culturalmente significativi associati agli ex residenti armeni.

Uno dei cambiamenti più eclatanti è la distruzione di un intero quartiere e di una stazione degli autobus a Khankendi. L’area demolita si trova vicino all’ex ArtsakhState University, ora ribattezzata KarabakhUniversity. Il progetto di rinnovamento urbano è il risultato di un’iniziativa del governo azero per attirare più di 1.200 studenti universitari da tutto l’Azerbaigian a continuare i loro studi a Khankendi. Le autorità stanno espandendo il campus e costruendo nuove aule e dormitori, oltre a offrire altri incentivi, tra cui lezioni e alloggi gratuiti. I funzionari hanno promesso che l’università rinnovata sarà pronta per il semestre autunnale.

In precedenza, l’area sgomberata per fare spazio all’espansione dell’università ospitava circa 1.000 residenti armeni del Karabakh.

In un altro importante caso di distruzione, un villaggio chiamato Karin Tak, un insediamento armeno situato vicino alla città di Shusha, sembra essere stato completamente raso al suolo. Il motivo della demolizione non è immediatamente chiaro.

Ulteriori immagini satellitari indicano che i beni personali all’interno di alcune residenze private contrassegnate per la demolizione sono stati gettati a casaccio, in alcuni casi trattati come spazzatura e semplicemente gettati in strada.

A marzo, la TV di stato dell’Azerbaigian ha mostratolo smantellamento dell’edificio del parlamento della Repubblica del Nagorno-Karabakh (NKR), di fatto dominata dagli armeni, insieme al vicino centro dei veterani di guerra armeni, sostenendo che quelle strutture erano “illegali” e “non soddisfacevano i requisiti architettonici”.

Un altro punto focale della palla da demolizione del governo azero sono state le chiese armene, i cimiteri e i simboli religiosi cristiani ortodossi. Casi documentati di demolizione di luoghi di culto armeni sono stati registrati a Susha e Lachin.

Allo stesso modo, statue e monumenti associati all’eredità sovietica e armena del Karabakh sono stati rimossi. Ad esempio, una statua di Stepan Shahumyan, un rivoluzionario bolscevico da cui prende il nome la capitale armena del Karabakh, è stata rimossa, così come altri monumenti a figure politiche e militari armene.

Almeno alcuni degli sforzi di demolizione azeri sembrano contravvenire a un ordine emesso a novembre dalla Corte Internazionale di Giustizia. Tale sentenza ha richiesto all’Azerbaigian, citando gli obblighi di Baku ai sensi della Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, di “adottare tutte le misure necessarie per prevenire e punire gli atti di vandalismo e profanazione che colpiscono il patrimonio culturale armeno, inclusi, a titolo esemplificativo ma non esaustivo, chiese e altri luoghi di culto, monumenti, punti di riferimento, cimiteri e manufatti”.

Più o meno nello stesso periodo in cui la Corte Internazionale di Giustizia ha emesso il suo ordine, il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha dichiarato che promuovere il ritorno dei rifugiati armeni in Karabakh nelle circostanze esistenti era “irrealistico”. Semmai, da allora le condizioni di quei rifugiati che speravano di tornare in patria sono solo peggiorate.

I rifugiati armeni affermano che avrebbero bisogno di garanzie di sicurezza prima di prendere in considerazione il ritorno, così come alcuni privilegi speciali, come la possibilità di vivere in insediamenti compatti e godere di alcune forme di autonomia municipale. Il presidente azero Ilham Aliyev, tuttavia, ha escluso categoricamente la possibilità di qualsiasi diritto speciale per i rimpatriati. Ha dichiarato che i potenziali armeni rimpatriati godrebbero dello stesso status giuridico di tutti gli altri cittadini azeri.

Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha rivolto un messaggio televisivo al popolo.

«A partire da oggi, 24 maggio 2024, le truppe della guardia di frontiera del Servizio di sicurezza nazionale della Repubblica di Armenia hanno assunto la protezione della sezione di 1,9 km dell’insediamento di Berkaber, della sezione di 4,9 km degli insediamenti di Voskepar e Baghanis del confine di stato di la Repubblica d’Armenia. La protezione della sezione delimitata di 5,8 km dell’insediamento di Kirants del confine di stato sarà effettuata secondo uno schema transitorio fino al 24 luglio 2024.

Questo processo di demarcazione dei confini è comprensibilmente l’argomento più discusso degli ultimi mesi e ritengo importante che ciascuno di noi, ciascun cittadino, abbia una risposta chiara alle seguenti domande: cosa sta succedendo nel nostro Paese, cosa sta succedendo al nostro Paese, perché sta accadendo tutto questo, quali sono i possibili scenari e le alternative dopo questo punto?

Il fattore chiave da cui derivano i processi in corso è la strategia che il governo della Repubblica d’Armenia ha messo sul tavolo. Questa è la strategia della Vera Armenia, la strategia dell’Armenia, di cui vi mostro l’immagine dorata in ogni occasione. Questa è l’Armenia di cui sto parlando.

E perché questa mappa dovrebbe suscitare dibattiti e infiammare le passioni? Per un semplice motivo. non solo nei 33 anni precedenti, ma anche prima, il soggetto, lo scopo e la destinazione della nostra psicologia sociale non era questa Armenia.

E c’erano ragioni oggettive per questo. La più importante di queste ragioni è la nostra sfortuna nazionale di non avere uno Stato per secoli, che di per sé dovrebbe mantenere vivo nella nostra coscienza e subconscio il sogno di ripristinare lo stato, che è stata la componente più importante della nostra identità nazionale.

Ma mentre sognavamo uno Stato, ci affidavamo ai ricordi che provenivano dalla tradizione statale che avevamo in passato. Armenia della dinastia Yervanduni, Armenia della dinastia Artashesian, Armenia della dinastia Arshakuni, Armenia della dinastia Bagratuni, Armenia cilicia. Quelle Armenie non erano identiche e paragonabili tra loro in termini di territorio e talvolta di posizione geografica, il che è diventato un ostacolo oggettivo per la concretizzazione e oggettivazione delle nostre idee sull’Armenia.

Questo può sembrare non essenziale, ma immagina di voler costruire una casa, ma non sei sicuro in quale zona, in quale luogo, di che dimensioni vuoi costruire. Fino a quando la tua comprensione di queste questioni non diventerà concreta, non potrai costruire quella casa e i tuoi sforzi per costruirla non verranno mai realizzati. Il massimo che avrai saranno azioni caotiche, perché non sarai tu a decidere in quale zona vuoi costruire una casa, in quale posizione, in quali dimensioni.

Durante il breve periodo di esistenza della Prima Repubblica, non siamo riusciti a concretizzare le nostre idee sulla Repubblica d’Armenia.

La Seconda Repubblica era la Repubblica Sovietica, che non era uno stato sovrano, ma un paese all’interno dell’URSS, e per questo motivo era un ambiente ostile per pensare all’indipendenza e ad un’Armenia indipendente. Coloro che avevano tali pensieri e idee erano perseguibili penalmente e rappresentavano una minaccia per l’integrità dell’Unione Sovietica.

Uno dei metodi con cui l’Unione Sovietica lottava contro la forte autocoscienza nazionale degli armeni era quello di dirigere i sogni indipendentisti della RSS Armena al di fuori del territorio dell’Armenia sovietica e dell’Unione Sovietica, a volte geopoliticamente, a volte per indebolire e sradicare la percezione della RSS Armena come potenziale area per la ricreazione dello stato armeno. L’Unione Sovietica ha promosso la formula della ricerca di una patria tra gli armeni al di fuori della RSS Armena.

A causa di questo e di una serie di altri fattori, la ricerca della patria è diventata uno dei pilastri del subconscio dei nostri armeni. Questa formula di ricerca di una patria dall’interno della patria era innocua per l’Unione Sovietica, perché indirizzava i sogni di ristabilire lo stato della RSS Armena, a volte anche al di fuori del territorio dell’URSS, che divenne anche un fattore geopolitico che l’Unione Sovietica l’Unione potrebbe utilizzare nelle sue relazioni internazionali.

E coloro che cercavano ancora di collegare i sentimenti dello stato armeno con l’Armenia sovietica finirono nelle carceri e ai margini politici come portatori di attività antisovietiche, cioè i loro sostenitori non si moltiplicarono.

Qui è nelle condizioni della mentalità della ricerca di una patria, di uno stato fuori dalla patria, che si è formata la Terza Repubblica d’Armenia, che si è posizionata non come mezzo per garantire la libertà, la sicurezza e il benessere dei propri cittadini, ma adottò una visione che si adattava pienamente e completamente alla formula sovietico-armena della ricerca di una patria.

È qui che ci siamo trovati nella situazione sopra descritta, quando non siamo sicuri su quale territorio vogliamo costruire uno Stato, in quale posizione vogliamo costruirlo e in quali dimensioni.

E la ricerca della patria venne riaffermata come la chiave socio-psicologica della Terza Repubblica.

A questo è legata gran parte dei problemi profondi della Terza Repubblica.

Non posso vantarmi di aver avuto questa comprensione e di aver realizzato queste sfumature concettuali in ogni momento o durante il mio mandato di Primo Ministro. Mi sono occupato di questo ordine del giorno in modo sistematico dopo aver assunto la carica di Primo Ministro della Repubblica d’Armenia, vedendo in profondità e praticamente le minacce che gravano non solo sulla sicurezza della Repubblica d’Armenia, ma anche sull’esistenza di il nostro Stato in generale.

E quindi la questione concettuale, la cui soluzione ho considerato vitale come Primo Ministro, è la seguente: come garantiremo un futuro duraturo e prospero alla Repubblica di Armenia?

Il pensiero strategico su questi temi mi ha portato all’Agenda di Pace e alla visione dell’Armenia Reale, che sono profondamente interconnesse.

Se la nostra visione strategica non è la Vera Armenia, la pace già difficile non sarà affatto possibile, perché il nostro ambiente ci considererà una minaccia strategica e quindi farà di tutto per distruggere fisicamente il nostro stato o impedirne lo sviluppo.

E in secondo luogo, quando non spendiamo le nostre limitate risorse ed energie per i bisogni strategici della Vera Armenia, non otteniamo i risultati che avremmo potuto ottenere e lo sviluppo dell’Armenia, il futuro dei nostri figli è doppiamente ostacolato. E la pace di cui la Repubblica d’Armenia ha tanto bisogno sta diventando sempre più irraggiungibile.

In queste condizioni, la sovranità del nostro Paese è notevolmente danneggiata, perché quando le vostre idee sulla madrepatria non coincidono esattamente con i confini legittimi riconosciuti a livello internazionale del vostro Paese, siete costretti ad aprire la porta all’influenza sproporzionata degli altri, perché ciò ti sembra che in questo modo ottieni forza e sostegno per portare avanti i tuoi programmi che non coincidono con i confini legittimi.

Eccoci quindi di nuovo al modello di patriottismo sovietico-armeno. È questo modello che ha separato il concetto di patria dal concetto di Stato, risolvendo il problema pratico che il popolo armeno non dovrebbe considerare lo Stato della SSR armena, anche se incompleto, come una patria, perché il passo successivo dopo aver considerato lo Stato come patria approfondirebbe la coscienza dell’indipendenza.

Contrariamente a varie valutazioni, il nostro governo non sta separando, ma cercando di riunire, per equiparare i concetti di patria e stato, perché questo è l’unico modo per realizzare e rafforzare la Repubblica di Armenia, altrimenti spenderemo le nostre risorse già limitate alla ricerca di una patria, mettendo a repentaglio il futuro dello Stato-madrepatria.

Essendo uno di voi che ha ricevuto da voi il mandato di lavorare sulle formule per garantire il futuro dell’Armenia, ho passato anni a pensare a questa agenda epocale, a questo groviglio, prima e dopo la guerra dei 44 giorni. E i miei pensieri mi hanno portato alla convinzione inequivocabile che il nostro dovere verso il futuro e le generazioni future, così come verso le persone reali che vivono oggi nella Repubblica di Armenia, richiede che facciamo di tutto per rendere l’Armenia sovrana e democratica con confini delimitati un paese ideologia e concetto nazionale e statale.

E le discussioni che si stanno svolgendo nel nostro Paese non sono una sorpresa per me, perché ho percorso personalmente quel percorso doloroso, dalla psicologia dell’Armenia storica alla psicologia dell’Armenia reale, e stiamo percorrendo lo stesso percorso insieme adesso.

Stiamo percorrendo quel cammino e alla fine di quel cammino c’è la nostra Terra Promessa, la Repubblica di Armenia, con la differenza che siamo già qui, ma molto spesso non ci accorgiamo della nostra Terra Promessa e, poiché non ce ne accorgiamo, continuiamo la nostra ricerca della Terra Promessa. Oggi il nostro Paese non è perfetto, anche perché la nostra incessante ricerca della Terra Promessa nella Terra Promessa non ci permette di concretizzare e formulare la risposta alla domanda su quale zona, in quale posizione, di quale dimensione vogliamo costruire uno stato d’origine e il processo di demarcazione formula la risposta a questa domanda colonna per colonna.

E insieme dobbiamo attraversare ripercorrere questa strada, che sì, non è ricoperta da un tappeto rosso, ma passa attraverso spine e insidie, decisioni dure e difficili, delusioni e incomprensioni, ma è l’unica che ha un orizzonte davanti a sé e conduce alla vera Terra Promessa, la Vera Armenia: la Repubblica d’Armenia. Questa è una strada cruciale. Un filosofo dice che la strada migliore è quella che ti porta dove sei. Questo percorso ci porta dove siamo, la Repubblica di Armenia, e ci dà l’opportunità di guardare la nostra realtà da una prospettiva completamente diversa. Ed è solo da questo punto di vista che si può vedere il futuro e la strada verso quel futuro.

C’è solo una garanzia per completare quella strada. conoscenza popolare e convinzione nella missione della leadership politica.

Io e la nostra squadra politica viviamo con questa missione e vediamo che abbiamo messo sul tavolo una formula che garantirà i 29mila 743 chilometri quadrati del territorio legittimo riconosciuto a livello internazionale della Repubblica di Armenia e i confini che circondano quel territorio, e il nostro compito non è solo guidare, ma anche ispirare il popolo, i cittadini della Repubblica d’Armenia con quella visione e formula, perché questa è una formula, un movimento che ci porta alla vera indipendenza e sovranità, all’integrità territoriale e all’inviolabilità dei confini. Questa è una formula che darà alle nostre persone di talento, a ognuno di voi, l’opportunità di concretizzare e godere dei risultati del proprio lavoro nella persona di un’Armenia libera, giusta, sicura, prospera e felice.

Nella conferenza stampa del 7 maggio ho spiegato dettagliatamente come e in quale sequenza raggiungeremo questo obiettivo, e non vedo la necessità di ripetere la stessa cosa in altri discorsi e in questa forma.

Lo scopo principale di questo messaggio è chiarire, commentare ciò che sta accadendo nel nostro Paese, con il nostro Paese e perché sta accadendo.

La creazione della vera Armenia sta avvenendo nelle nostre vite e nella nostra coscienza. È un processo difficile e doloroso che attraversiamo e dobbiamo affrontare insieme. È un movimento per l’indipendenza e la sovranità che dobbiamo portare alla sua destinazione finale, e io e il mio team politico consideriamo questa la nostra missione. La nostra missione è fare dello Stato, dell’indipendenza e della sovranità un mezzo al servizio del cittadino e non viceversa.

Sia nel 2018 che nel 2021, gli orgogliosi cittadini della Repubblica d’Armenia ci hanno dato il mandato di garantire il futuro della Repubblica d’Armenia, e questo mandato deve essere pienamente e completamente attuato».

Il processo di ritiro del contingente russo di mantenimento della pace dal territorio della Repubblica dell’Artsakh occupato dall’Azerbaigian, iniziato pochi giorni fa, è molto preoccupante per i 150mila cittadini dell’Artsakh sfollati mesi fa dalla loro patria sotto la minaccia reale di genocidio“. Lo hanno sottolineato le tre fazioni dell’Assemblea nazionale dell’Artsakh (Nagorno Karabakh) in un comunicato diffuso venerdì 19 aprile. La dichiarazione prosegue:

“Per le legittime autorità elette dal popolo della Repubblica dell’Artsakh e le fazioni dell’Assemblea nazionale, la questione del ritorno dignitoso e collettivo è stata e continua ad essere una priorità nei mesi precedenti, in cui la garanzia dei nostri diritti fondamentali e della nostra sicurezza è di fondamentale importanza.

Dopo il 27 settembre 2020, la nostra regione è finita nel regno di gravi trasformazioni, e la situazione creatasi dopo la guerra dei 44 giorni non garantisce in alcun modo la pace e la stabilità durature attese e promesse. Il popolo dell’Artsakh, indipendentemente dalla sua volontà, si è trovato nella trappola delle disposizioni della Dichiarazione Trilaterale del 9 novembre 2020 e ha creduto nelle assicurazioni dell’alta dirigenza della Federazione Russa per garantire la propria sicurezza. Siamo costretti a registrare con dolore e rammarico che il destino del popolo dell’Artsakh è diventato una questione di secondaria importanza per tutti i partiti che hanno firmato la Dichiarazione Trilaterale, grazie alla quale l’Artsakh è stato completamente disarmenizzato nel settembre 2023.

Allo stesso tempo, è ovvio che l’assenza di una presenza internazionale nell’Artsakh darà ulteriore libertà alla leadership militare e politica dell’Azerbaigian, che sta attuando una politica di distruzione di “tutto ciò che è armeno” e di cancellazione della traccia armena in generale. In una situazione del genere, i secolari monumenti spirituali e culturali armeni, le proprietà armene e la proprietà nazionale saranno in pericolo.

È un diritto inalienabile del popolo dell’Artsakh vivere in modo sicuro e protetto nella sua patria millenaria con garanzie internazionali, la preservazione di tutti i diritti e le libertà, e le tre fazioni dell’Assemblea nazionale della Repubblica dell’Artsakh sono preoccupate che il il ritiro delle organizzazioni internazionali dall’Artsakh in generale, e il ritiro del contingente russo di mantenimento della pace in particolare, mette a rischio tale diritto. Allo stesso tempo, riteniamo importante sottolineare che prendere tali decisioni senza discutere con i rappresentanti del popolo nativo della regione, gli armeni Artsakh, è inaccettabile e non può in alcun modo contribuire all’instaurazione di una pace stabile e a lungo termine. , e la risoluzione del problema.

Sulla base di quanto sopra, le fazioni dell’Assemblea nazionale della Repubblica dell’Artsakh sollecitano le strutture competenti della Federazione Russa e i loro responsabili ad avviare immediatamente consultazioni e discussioni con i rappresentanti legalmente eletti della popolo dell’Artsakh sulle vere ragioni del ritiro delle truppe di mantenimento della pace della FR dal territorio della Repubblica dell’Artsakh, sulla situazione catastrofica creatasi di conseguenza, sulle numerose sfide causate e sugli sforzi necessari per superarle“.

Partito della Giustizia
ARF Dashnaktsutyun
Partito Democratico dell’Artsakh

Sono iniziate le udienze davanti alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja relative ai procedimenti Armenia c. Azerbaigian e Azerbaigian c. Armenia aventi per oggetto accuse reciproche di discriminazione razziale e odio etnico. Dopo la causa intentata da Yerevan anche Baku ha provato a rispondere con la medesima accusa ma la sua posizione è molto debole.

Infatti, in risposta alle numerose prove dell’Armenia, l’Azerbaigian ha compiuto tentativi disperati di creare un falso senso di uguaglianza tra le parti e ha intentato una causa contro l’Armenia. E’ questa la posizione ufficiale del governo armeno espressa attraverso la prolusione di Yeghishe Kirakosyan, rappresentante dell’Armenia per gli affari legali internazionali, nell’odierna udienza verbale sulla causa Armenia contro Azerbaigian presso la Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite (ICJ).

La difficoltà per l’Azerbaigian – a differenza del molto materiale prodotto dall’Armenia – è che non dispone di video di atrocità razziali a sostegno delle sue affermazioni, né della possibilità di citare dichiarazioni rilasciate da funzionari governativi armeni.
L’Azerbaigian ha fatto rivivere le rivendicazioni storiche di tre decenni, che sono chiaramente al di fuori dell’ambito temporale della giurisdizione della Corte Internazionale di Giustizia: ad esempio ieri l’Azerbaigian ha fatto una falsa affermazione, presentando come razzista l’ideologia nazionale armena dell’inizio del XX secolo; questo non ha nulla in comune con la realtà dell’arena politica odierna in Armenia.
L’Azerbaigian ha anche fatto affermazioni improbabili sui danni ambientali, che non hanno nulla a che fare con la discriminazione razziale. L’Azerbaigian sta già cercando per la terza volta di convincere la Corte Internazionale di Giustizia che le sue affermazioni riguardanti le mine terrestri rientrano nell’ambito della Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale.

Secondo Kirakosyan, la stragrande maggioranza delle rivendicazioni dell’Azerbaigian sono assolutamente al di fuori della giurisdizione della Corte Internazionale di Giustizia.
Tuttavia, l’Azerbaigian sta cercando di incolpare l’altra parte con la stessa strategia e di presentare le stesse affermazioni in modo speculare. Indubbiamente, l’Azerbaigian conosce i problemi giurisdizionali della sua causa contro l’Armenia, e ora sta cercando disperatamente di convincere la Corte Internazionale di Giustizia che anche la causa armena dovrà affrontare ostacoli giurisdizionali. L’Azerbaigian spera semplicemente che un gruppo di obiezioni annulli le obiezioni dell’altro. Questa è una strategia cinica che viene utilizzata perché non ci sono altre opzioni.

Riferendosi all’affermazione dell’Azerbaigian secondo cui in quel momento stavano facendo progressi nei negoziati, Kirakosyan ha detto che in quel momento si stava aprendo un parco di “trofei militari” e deridendo gli armeni con meme razzisti. In questo contesto, anche un anno di trattative sarebbe stato troppo lungo. L’Armenia ha negoziato con l’Azerbaigian in buona fede e si è impegnata in discussioni che sono state più che inutili. L’Armenia ha soddisfatto la lettera e lo spirito del requisito dell’articolo 22, e la prima obiezione dell’Azerbaigian a questo riguardo è soggetta ad un rifiuto assoluto.

L’Azerbaigian sta cercando di convincere la corte che alcune delle rivendicazioni e richieste dell’Armenia, che sono legate alla violenza, alle detenzioni e alle sparizioni forzate degli armeni, non hanno nulla in comune con la suddetta convenzione, e l’Azerbaigian basa la propria difesa su almeno due argomenti fittizi: in primo luogo, dice alla corte che l’Armenia semplicemente non ha prove sufficienti di razzismo, l’Azerbaigian sostiene che l’Armenia deve dimostrare che ogni caso di violenza, detenzione e sparizione era sufficientemente razzista, e per fare ciò non è sufficiente che l’Armenia abbia bisogno mostrare un ambiente in cui si incita all’odio, o le atrocità più estreme o le parole razziste degli autori di abusi non sono sufficienti. Secondo l’Azerbaigian, l’Armenia deve dimostrare che esiste qualcos’altro, che è qualcosa di più.

Un’altra argomentazione fittizia dell’Azerbaigian è che la causa dell’Armenia non rientra nel quadro della suddetta convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale. Dal punto di vista dell’Azerbaigian, l’Armenia sta cercando inutilmente di risolvere il conflitto armato tra due Paesi in guerra attraverso la corte. La richiesta dell’Armenia non si limita alla guerra dei 44 giorni del 2020. Usando la metafora dell’Azerbaigian, la guerra è stata solo la punta dell’iceberg, ed è stato l’iceberg di decenni di politiche e pratiche razziste da parte dell’Azerbaigian. L’esistenza di un conflitto armato non esclude l’operatività della suddetta convenzione. La storia ha dimostrato che le manifestazioni più estreme di discriminazione razziale, comprese la persecuzione, la pulizia etnica e il genocidio, si verificano più spesso nel contesto di un conflitto armato, ha affermato Yeghishe Kirakosyan.

La posizione azera ha suscitato la vibrante protesta dell’Istituto Lemikin per la prevenzione dei genocidi. In una dichiarazione, l’Istituto Lemkin ha osservato: “Mentre l’Azerbaigian conduceva l’epurazione finale a Stepanakert, continuando a cancellare le tracce dell’eredità e dell’identità armena nell’Artsakh, afferma davanti alla Corte internazionale di giustizia che si era offerto di facilitare il ritorno di tutti i rifugiati e gli sfollati interni a causa del conflitto che desiderano ritornare alle loro case.”

Nei mesi scorsi, ripetutamente Aliyev aveva minacciato l’Armenia di una nuova guerra se non avesse soddisfatto tutte le sue richieste fra le quali c’era anche l’abbandono di ogni contenzioso internazionale. Evidentemente il regime azero teme una condanna.