Guida ragionata all’ennesima follia turco- azera nel Caucaso

Come noto, nei giorni scorsi è nuovamente esplosa la tensione fra armeni e azeri. A differenza di quanto avvenuto nel 2016 (la cosiddetta “Guerra dei quattro giorni”), questa volta gli incidenti non hanno riguardato la linea di contatto fra la repubblica del Nagorno Karabakh-Artsakh e la repubblica di Azerbaigian ma il confine internazionale fra quest’ultima (regione di Tovuz) e la repubblica di Armenia (regione di Tovush).

Da domenica 12 luglio e per cinque giorni i combattimenti sono stati molto intensi, vi sono stati morti e feriti e sono risultate coinvolte anche le popolazioni residenti a ridosso della linea di demarcazione.

Facciamo un breve ripasso di cosa è accaduto e sulle responsabilità.

Confine labile – Occorre innanzitutto sottolineare come la linea di frontiera tra i due Paesi sia molto incerta. Si sono consolidate delle posizioni difensive da una parte e dall’altra che non rispecchiano più l’originario confine ma sono il frutto di scaramucce risalenti alla fine delle repubbliche socialiste sovietiche. Con lo scoppio della guerra del Nagorno Karabakh, nel 1992, le ripercussioni si sono avute anche su quel bordo, sono sparite le exclave sia in territorio azero che armeno anche perché la popolazione ha ritenuto opportuno scappare e rifugiarsi nel proprio Paese d’origine. Il confine è militarizzato, postazioni difensive si trovano disseminate specie nei punti in altura che consentono un miglior controllo del territorio nemico.

Domenica 12 – Verso le 13,30 di domenica 12 luglio un gruppo di incursori azeri ha tentato di entrare in territorio armeno. È stato respinto. Nel pomeriggio sono cominciati pesanti bombardamenti azeri con colpi di mortaio da 82 e 120 mm non solo verso le postazioni difensive armene ma anche contro gli insediamenti civili a ridosso del confine (in particolare il villaggio di Chinari). Un fuoristrada UAZ è abbandonato dagli azeri nella zona cuscinetto (la cosiddetta “terra di nessuno”) dove mai avrebbe dovuto trovarsi.

Altre incursioni respinte – Nella notte si registrano altre incursioni azere in territorio armeno. La difesa respinge gli assalitori che lasciano sul campo, sempre nella zona cuscinetto ma anche entro i confini dell’Armenia, una dozzina di soldati scelti. Gli armeni contano quattro vittime. Movimento di carri armati azeri viene registrato poco oltre la linea di contatto. La gravità degli scontri è tale che il Gruppo di Minsk dell’Osce rilascia immediatamente un comunicato con il quale invita le parti a cessare gli scontri. Si muove anche Mosca.

Mammadyarov silurato – Lo storico ministro degli Esteri dell’Azerbaigian, Elmar Mammadyarov, in carica dal 2004, viene silurato all’improvviso da Aliyev proprio nel bel mezzo della crisi politica e militare. Il dittatore di Baku non avrebbe gradito un atteggiamento “troppo morbido” nelle trattative (poche settimane prima si era lamentato dei negoziati) e alcune critiche all’operazione militare contro l’Armenia. Al suo posto nomina un falco, il ministro dell’Educazione Jeyhun Bayramov, quello che nei libri scolastici ha introdotto l’armenofobia.

Civili target e scudi umani – Gli azeri continuano a bombardare con colpi di mortaio le case dei villaggi armeni prossimi al confine provocando il danneggiamento di una cinquantina di abitazioni. Colpiscono anche una fabbrica tessile che produce mascherine anti-Covid: siamo in piena pandemia e disattendendo le raccomandazioni degli organismi internazionali, l’Azerbaigian non solo si avventura in una operazione di guerra ma addirittura colpisce i presidi che servono a contenere la diffusione del virus. Al tempo stesso, posiziona i propri mortai tra le abitazioni dei villaggi facendosi scuso dei civili (pratica vietata dalle convenzioni internazionali) salvo poi denunciare che gli armeni stanno intenzionalmente colpendo gli obiettivi civili…

Metzamor – Tanto per abbassare la tensione arriva la dichiarazione di un portavoce del ministero della Difesa di Baku che minaccia di colpire la centrale nucleare armena di Metzamor. Il che non sarebbe un gran colpo di genio dal momento che la conseguente radioattività colpirebbe le vicine Turchia e Georgia arrivando presumibilmente anche nello stesso Azerbaigian… Ma alla stupidità non c’è mai limite. Proteste internazionali e dietrofront: se gli armeni colpiscono la diga di Mingachevir allora noi colpiremo la centrale… Patetici…

Erdogan & Aliyev – L’aggressione militare dell’Azerbaigian contro l’Armenia ha ricevuto immediato appoggio da parte della Turchia: non poteva essere diversamente vista la fratellanza di sangue fra turchi e azeri. Il dittatore di Ankara ama rimestare nel torbido in questi ultimi mesi: entra a piedi uniti nella crisi libica, mostra i muscoli contro Cipro (e l’Unione europea) per lo sfruttamento marino, richiama gli ufficiali in congedo minacciando un attacco militare alla Grecia (sempre per questioni legate allo sfruttamento dei fondali); il tutto dopo gli sconquassi creati nella gestione della crisi siriana e l’aiuto fornito a organizzazioni paraterroristiche. Il progetto dei due è fin troppo chiaro, spazzare via gli armeni provocandoli fino a una guerra risolutiva e cosi “completare il lavoro fatto per secoli dai nostri padri” così come ha recentemente dichiarato Erdogan: tradotto, sterminare tutti gli armeni, ricucire l’unione territoriale fra Turchia e Azerbaigian e rinnovare il sogno del panturanesimo. E pensare che c’è gente che in Italia dà loro corda…

Droni e milioni – L’avventura di Aliyev di metà luglio è costata al regime azero l’abbattimento di non meno di 14 droni (alcuni da osservazione, altri di fabbricazione israeliana da combattimento); una bella mazzata da circa trenta milioni di dollari. Causa moria di droni azeri, Baku è corsa a rifornirsi di altri sei mezzi dalla Turchia. I cinque giorni di scontri lasciano 5 soldati armeni caduti e almeno una dozzina di azeri (probabilmente molti di più, ma Baku è sempre reticente sui dati; secondo alcuni osservatori militari i caduti potrebbero arrivare anche a una quarantina). Inoltre gli azeri hanno perso almeno due postazioni difensive in altura nel contrattacco armeno.

ECCO LE RESPONSABILITA’ DEGLI AZERI

  1. Corpi e mezzi azeri rimasti nella terra di nessuno dove mai si sarebbero dovuti trovare se non avessero tentato di penetrare in territorio armeno; è la prova principe, la pistola fumante diremmo, della responsabilità di Baku nell’attacco
  2. Solitamente chi attacca ha un maggior numero di perdite rispetto a chi si difende
  3. Prima incursione azera intorno alle 13,30 di domenica. Un orario – dopo pranzo domenicale – che per i cristiani armeni poteva essere un segno di minor attenzione nella giornata della festa. Sarà stato solo un caso?
  4. Aliyev da giorni si lamentava dei negoziati a suo dire inconcludenti. Con l’attacco militare voleva spaventare gli armeni e spostare le trattative dalla sua parte, colpendo non più lungo la linea di contatto con l’Artsakh ma specificatamente l’Armenia. Oppure voleva semplicemente innescare la provocazione per un conflitto su scala regionale, magari con il coinvolgimento turco
  5. Il siluramento di Mammadyarov (responsabile dei negoziati e reo, a quanto pare, di critiche sull’operazione militare) è significativo del clima che si respira sul Caspio…
  6. Per giudizio unanime di osservatori politici internazionali, l’Armenia (e anche l’Artsakh) non ha alcun interesse ad attaccare l’Azerbaigian alimentando la tensione. Più va avanti lo status quo e più si consolida la statualità della repubblica di Artsakh (Nagorno Karabakh). Gli azeri hanno maggior disponibilità di mezzi e militari e l’economia armena non può permettersi di stare al passo del riarmo nemico.

Come noto, a oggi sono due i principali collegamenti stradali tra la repubblica di Armenia e la repubblica di Artsakh (Nagorno Karabakh): quello originario che da Goris conduce a Berdzor passando attraverso quello che una volta era chiamato “corridoio di Lachin” (ovvero il punto più stretto tra la RSS Armena e l’Oblast del Nagorno Karabakh) e quello inaugurato qualche anno fa che da Martakert/Karvachar scavalca il passo Sodk con una moderna e agevole strada che si inerpica fino a quota 2300 metri di altitudine.

Una variante di questo collegamento unisce il passo a Karvachar attraverso una strada meno agevole.

Dallo scorso anno è in cantiere un terzo collegamento a sud dei due paesi per unire Kapan alla cittadina di Hadrut.

Proprio poche settimane or sono, il progetto ha avuto ulteriore impulso e sono partiti i primi lavori preparatori. È pleonastico sottolineare quanto questi collegamenti siano importanti per l’Artsakh; rappresentano dei punti di congiunzione – delle graffette potremmo chiamarle – che lo legano indissolubilmente all’Armenia e ne consolidano la statualità scoraggiando oltre tutto eventuali piani di assegnazione dei territori agli azeri.

Non è un caso se, al diffondersi della notizia dei nuovi lavori, l’Azerbaigian abbia mostrato una evidente irritazione.

Tre deputati del Parlamento europeo, l’estone Marina Kaljurand, il rumeno Traian Basescu, e la croata Željana Zovko (rispettivamente Capo delegazione, relatore permanente del Parlamento europeo per l’Armenia e relatore permanente del Parlamento europeo per l’Azerbaigian), hanno rilasciato una dichiarazione con la quale deplorano l’iniziativa che è stata presa senza consultare le autorità dell’Azerbaigian che, a loro dire, dovevano essere informate in quanto l’arteria passa attraverso i cosiddetti “territori occupati” e chiedono che simili iniziative debbano essere prima concordate per creare un clima di fiducia e riconciliazione fra le parti (sic).

Questa dichiarazione, rilasciata pubblicamente e non discussa all’interno della Commissione che si occupa del conflitto, è stata ovviamente accolta molto male dalla parte armena in quanto solleva serie preoccupazioni in merito alla credibilità, integrità e competenza dei loro autori che hanno scelto di rinunciare all’importante piattaforma di cooperazione e discussione (“Partenariato UE-Armenia”) e hanno abusato delle loro posizioni ufficiali di co-presidente e relatori.

Da un lato, infatti, la dichiarazione ribadisce “un sostegno incrollabile agli sforzi dei co-presidenti del gruppo di Minsk dell’OSCE e dei loro princìpi di base del 2009” e dall’altro distorce l’essenza stessa dei princìpi di base.

Due volte nella dichiarazione i termini “occupato” e “occupazione” sono usati per il territorio del Nagorno Karabakh. Gli autori dovrebbero tuttavia sapere che i copresidenti del Gruppo Minsk dell’OSCE non considerano il Nagorno Karabakh o qualsiasi altro territorio, a tale proposito, come un’area occupata. In nessuna delle loro dichiarazioni, comprese quelle fatte a livello di Capo degli Stati, il Nagorno Karabakh-Artsakh è definito “occupato“.

Pertanto, chiamare il Nagorno Karabakh “occupato” non è assolutamente in linea con gli sforzi di mediazione dei copresidenti del Gruppo Minsk dell’OSCE e questa non è una posizione del Parlamento europeo, dell’Unione europea e delle organizzazioni paneuropee.

Vale la pena sottolineare il fatto che l’ultima frase della dichiarazione è anche una posizione propagata solo dalla parte azera, alla quale piace ripetere che la risoluzione del conflitto dovrebbe essere “entro i confini internazionalmente riconosciuti dell’Azerbaigian“. Questa frase di per sé è contraria alla logica stessa del lungo processo di pace di tre decenni.

I princìpi di base del 2009 e gli elementi delineati dai co-presidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE non predeterminano i risultati dei negoziati (cosa che la dichiarazione afferma chiaramente). Al contrario, deriva dai Principi di base, a cui si riferiscono gli autori, che lo stato finale del Nagorno Karabakh sarà determinato attraverso un’espressione libera legalmente vincolante della volontà della gente del Nagorno-Karabakh.

Alla luce di ciò, una tale espressione di “sostegno incrollabile” nei confronti dei copresidenti e dei principi di base è altamente priva di fondamento e contraddittoria.

Abbiamo anche preso atto della successiva spiegazione della sig.ra Kaljurand fornita alla parte armena, secondo cui la frase “risoluzione pacifica del conflitto all’interno dei confini internazionalmente riconosciuti dell’Azerbaigian” utilizzata nella dichiarazione “non fa riferimento alle attuali frontiere internazionalmente riconosciute dell’Azerbaigian, ma invece a qualsiasi altra frontiera futura dell’Azerbaigian, che può essere riconosciuta a livello internazionale dopo aver raggiunto un accordo. “

Ma è un dato di fatto che la sostanza della spiegazione fornita relativa alla dichiarazione indica chiaramente che gli autori della dichiarazione non sono in grado di fare commenti competenti su questo complesso processo di pace e sui suoi principi di base.

Ciò che rende ancora più inaccettabile questa affermazione sono i tempi e il fatto che sia stata emessa quasi in simultanea con le recenti dichiarazioni bellicose provenienti dal Presidente e dal Ministro della Difesa dell’Azerbaigian che, per l’ennesima volta, minacciano di scatenare una nuova guerra. È importante notare che tali avventate dichiarazioni potrebbero essere interpretate dal governo azero come una sorta di permesso all’uso della forza e utilizzate quindi per scatenare l’aggressione militare contro il popolo del Nagorno Karabakh (Artsakh).

Segnaliamo poi che alcune agenzie di stampa azere si sono spinte fino al punto di dire che «le strade che collegano l’Armenia con la regione del Nagorno Karabakh dell’Azerbaigian sono state prese sotto controllo nel 2016 e nel 2018 a seguito delle operazioni militari riuscite dell’esercito azero», ipotesi alquanto improbabile vista la loro localizzazione.

Ancora una volta è bene, dunque, ribadire che il diritto del popolo del Nagorno Karabakh-Artsakh alla mobilità è un diritto inalienabile e che nessuna limitazione di sorta può essere frapposta al diritto alle persone di spostarsi dentro e fuori il Paese. Specie poi se dall’altra parte c’è un regime che spinge per la soluzione bellica del contenzioso.

(mappa da “Nagorno Karabakh observer” , nkobserver.com)

Nel 28° anniversario dell’occupazione da parte delle forze azere della regione di Shahumian (nord Artsakh) il ministero degli Affari esteri della repubblica di Artsakh (Nagorno Karabakh) ha diramato il seguente comunicato:

28 anni fa, il 12 giugno 1992, le forze armate azere, supportate dalle unità della 23a divisione dell’ex esercito sovietico, lanciarono un attacco su vasta scala alla Repubblica di Artsakh, impiegando attrezzature pesanti e aerei militari.

La prima ad essere preso di mira fu la regione di Shahumian. Avendo una superiorità multipla nella forza lavoro e nelle attrezzature, le forze armate azere riuscirono a catturare la regione di Shahumian della Repubblica di Artsakh, dopo di che iniziarono la pulizia etnica e il brutale massacro di civili armeni.

Per fuggire, la gente dovette partire alla volta della regione di Martakert attraverso sentieri di montagna, dove lungo il percorso veniva attaccata dai militanti azeri. Secondo i ricordi degli abitanti della regione di Shahumian, la colonna di civili fu oggetto di spari anche da elicotteri da combattimento. L’attacco ai civili era stato deliberato e aveva un solo obiettivo: uccidere quante più persone possibile. Fu in modo così disumano che la parte azera cercò di recuperare i civili per le proprie sconfitte militari nell’inverno e nella primavera del 1992.

A seguito dei crimini di guerra commessi dalle forze armate azere durante l’occupazione della regione di Shahumian, una ventina di villaggi armeni furono distrutti e saccheggiati, oltre ventimila armeni diventarono sfollati interni e rifugiati e diverse centinaia di persone furono deliberatamente uccise o scomparvero.

Commettendo crimini di guerra e sottoponendo al terrore la popolazione civile, le autorità azere hanno cercato di infrangere la volontà del popolo di Artsakh che cercava di difendere il proprio diritto alla vita, all’autodeterminazione e all’indipendenza. Tuttavia, le atrocità da parte dell’Azerbaigian hanno solo rafforzato la determinazione del popolo di Artsakh a difendere la propria sovranità, i propri ideali e i propri diritti. Le successive azioni dell’Esercito di difesa di Artsakh per respingere l’aggressione azera e garantire frontiere sicure furono condizionate dalla necessità di difendere la Repubblica e la sua popolazione dall’annientamento fisico.

Oggi, la regione di Shahumian e parti delle regioni Martakert e Martuni della Repubblica di Artsakh continuano a rimanere sotto l’occupazione dell’Azerbaigian. In violazione del diritto internazionale umanitario, le autorità azere continuano la politica di insediamento illegale e di eradicazione dei segni di presenza della popolazione armena indigena nei territori occupati della Repubblica di Artsakh.

Le autorità della Repubblica di Artsakh cercheranno costantemente la fine dell’occupazione della regione di Shahumian, così come delle parti delle regioni di Martakert e Martuni. Il ripristino dell’integrità territoriale della Repubblica di Artsakh è uno degli elementi chiave della posizione del governo di Stepanakert sulla soluzione pacifica del conflitto tra Azerbaigian e Karabakh.

[traduzione e grassetto redazionale]

Il Ministero degli Affari Esteri della Repubblica di Artsakh (Repubblica del Nagorno Karabakh) ha rilasciato una dichiarazione sulla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) relativa all’omicidio dell’ufficiale armeno Gurgen Margaryan da parte dell’ufficiale azero Ramil Safarov in Ungheria nel 2004, come anche all’estradizione, alla grazia e alla glorificazione dell’assassino in Azerbaigian. La dichiarazione recita come segue:

«Il 26 maggio 2020, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha sentenziato sull’omicidio dell’ufficiale armeno Gurgen Margaryan da parte dell’ufficiale azero Ramil Safarov in Ungheria nel 2004, nonché sull’estradizione, la grazia e la glorificazione dell’assassino in Azerbaigian. La Corte ha stabilito che l’Azerbaigian aveva violato l’articolo 2 (diritto alla vita) e l’articolo 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

È interessante notare che durante il procedimento, la Corte ha osservato che le azioni dell’Azerbaigian – la grazia di Ramil Safarov immediatamente dopo il suo arrivo in Azerbaigian, il pagamento degli stipendi durante il suo soggiorno nella prigione ungherese, la fornitura di un appartamento e l’avanzamento della carriera – indicano che l’Azerbaigian riconosce e accetta i crimini di Ramil Safarov come propri.

La Corte ha anche sottolineato che ognuna di queste misure individualmente e collettivamente aveva testimoniato che varie strutture statali e alti funzionari avevano approvato e incoraggiato le azioni di Ramil Safarov e che l’approvazione e l’incoraggiamento erano fortemente sostenuti dalla società azera nel suo insieme.

Come abbiamo ripetutamente affermato, perdono, la eroizzazione e glorificazione popolare di un assassino come modello da seguire sono parte integrante della politica statale delle autorità azere condotta per anni sull’incitamento dell’armenofobia nel paese e l’incoraggiamento dei crimini d’odio contro gli armeni. Riteniamo necessario ricordare ancora una volta che le manifestazioni di razzismo e xenofobia contro gli armeni in Azerbaigian sono state più volte menzionate nei documenti di numerose organizzazioni internazionali, in particolare il Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione razziale, la Commissione europea contro Razzismo e intolleranza e Comitato consultivo del Consiglio d’Europa sulla Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali.

Il fatto che non solo le autorità azere, ma anche la maggior parte della società azera approvino e incoraggino l’odioso crimine commesso da Ramil Safarov è un segnale allarmante di una seria trasformazione della coscienza pubblica nel paese.

La sentenza della CEDU sull’assassinio dell’ufficiale armeno Gurgen Margaryan da parte dell’ufficiale azero Ramil Safarov può e dovrebbe diventare una base per prendere misure pratiche, sostenute dalla comunità internazionale, per sradicare i fenomeni negativi causati dalla politica e dalla pratica pluriennali dello stato Le autorità azere hanno iniettato il “virus dell’odio” contro gli armeni e tutto ciò che è armeno nella coscienza pubblica.»

[traduzione e grassetto redazionale]

Il nuovo presidente della repubblica, Arayik Harutyunyan, ha presentato il nuovo assetto di governo statale che caratterizzerà la sua presidenza.

MINISTRO DI STATO (Grigory Martirosyan, riconfermato)

MINISTERI:

  • Ministero del lavoro, degli affari sociali e dell’edilizia abitativa (Samvel Avanesyan)
  • Ministero della Salute (Arayik Baghryan)
  • Ministero della Giustizia (Siran Avetisyan)
  • Ministero degli Affari esteri (Masis Mayilian, riconfermato)
  • Ministero dell’Agricoltura (Ashot Bakhshiyan)
  • Ministero dell’Economia e delle infrastrutture industriali (Levon Grigoryan, riconfermato)
  • Ministero dell’Educazione, scienza e cultura (in precedenza Educazione, scienza e sport) (Lusine Gharakhanyan)
  • Ministero della Difesa (Jalal Harutyunyan, riconfermato)
  • Ministero dell’Educazione patriottica e militare, gioventù, sport e turismo (lo Sport è stato accorpato in questo ministero dove fa la sua comparsa l’Educazione patriottica e militare) (Samvel Shahramanyan)
  • Ministero dell’Amministrazione territoriale e sviluppo (Zhirayr Mirzoyan, già ministro dell’agricoltura)
  • Ministero della Pianificazione urbana (Aram Sargsyan)
  • Ministero delle Finanze (Vahram Baghdasaryan)

ALTRI CORPI DELL’AMMINISTRAZIONE PUBBLICA

  • Servizio di sicurezza nazionale (Kamo Aghajanyan)
  • Polizia (Ashot Hakobjanyan)
  • Catasto e comitato di gestione delle proprietà statali (Karen Shahramanyan, già ministro della pianificazione urbana)
  • Commissione per la protezione della natura (in precedenza costituiva ministero)
  • Comitato entrate statali (nuovo) (David Poghosyan)
  • Servizio di supervisione statale (nuovo)
  • Servizio delle situazioni di emergenza (Karen Sargsyan)
  • Comitato integrazione con Armenia e Diaspora

Il nuovo presidente della repubblica, Arayik Harutyunyan, ha postato su Facebook il seguente messaggio:

Cari compatrioti, oggi vorrei toccare il tema di avere la foto del Presidente della repubblica negli uffici dei massimi funzionari statali, procedura che è diventata obbligatoria. Se questo viene visto come una manifestazione di rispetto di un dato funzionario o cittadino verso lo Stato, esorto e desidero che funzionari e cittadini mettano le foto dei parenti o degli eroi deceduti nell’angolo più visibile degli uffici anziché la foto del Presidente del paese.

Questa è, se volete, la prima decisione che ho preso come presidente dell’Artsakh. I nostri parenti ed eroi defunti hanno sacrificato le loro vite in modo da poter implementare ciò che avrebbero voluto che facessimo.

L’onore dei figli deceduti della nostra nazione è il nostro rimorso per il passato difficile, il presente e il futuro luminoso, e ognuno di noi deve contribuire a costruire quel futuro.

P.S .: Finiremo definitivamente di piantare platani dedicati alla memoria di ogni vittima della guerra per la liberazione di Artsakh negli anni a venire, e la disciplina militare-patriottica avrà un posto speciale nelle nostre vite e attività.

Da anni l’Azerbaigian diffonde disinformazioni e calunnie sui fatti di Khojaly (Khojalu) accusando gli armeni addirittura di “genocidio”. In questo sforzo di propaganda, la dittatura azera (167° posto al su 183 stati nella classifica mondiale sulla libertà di informazione!) si avvale anche di qualche politico e giornalista italiano evidentemente complice della menzogna o nella migliore delle ipotesi sprovveduto e poco informato. Continueremo sempre a domandarci come sia possibile prendere le difese di una dittatura che incarcera giornalisti e oppositori politici. A fine marzo 2020, la repubblica di Artsakh ha diramato alle Nazioni Unite, attraverso la rappresentanza diplomatica all’ONU della repubblica di Armenia, un documento sui fatti di Khojaly che vi riproduciamo, nella nostra traduzione italiana.

MEMORANDUM PRESENTATO ALLE NAZIONI UNITE IL 27 MARZO 2020

(General Assembly  Security Council Seventy-fourth session – Seventy-fifth year – Agenda item 31 –  Prevention of armed conflict)

In risposta alla ripetuta distorsione dei fatti da parte dell’Azerbaigian sugli eventi di Khojaly (Khojalu) del febbraio 1992, il Ministero degli Affari Esteri della Repubblica di Artsakh desidera comunicare quanto segue:

Le azioni delle forze di difesa della Repubblica del Nagorno Karabakh (Repubblica di Artsakh) miravano a neutralizzare i colpi di bombardamento e di tiro delle forze armate dell’Azerbaigian stanziate a Khojalu, oltre a liberare l’aeroporto di Stepanakert, in linea con le norme e i principi del diritto internazionale umanitario.

Khojalu è un insediamento situato a 10 chilometri da Stepanakert, la capitale della Repubblica del Nagorno Karabakh. La posizione dell’insediamento aveva un significato strategico: controllava la strada da Stepanakert ad Askeran, che a sua volta era la linea di collegamento per i villaggi vicini. Ancora più importante, l’aeroporto era situato nelle immediate vicinanze di Khojalu e, dato il blocco completo di terra imposto sin dal 1989, era l’unico mezzo della Repubblica per comunicare con il mondo esterno e per ricevere cibo e medicine.

Nel tentativo di reprimere il movimento di liberazione nazionale di Artsakh con la forza, le autorità azere hanno trasformato Khojalu in una roccaforte minacciosa con la quale hanno imposto un blocco completo del Nagorno Karabakh, un assedio paralizzante di Stepanakert e attacchi indiscriminati agli insediamenti armeni.

Nell’attuare il suo blocco totale del Nagorno Karabakh e deliberatamente impedendo la consegna di assistenza umanitaria alla Repubblica, le forze azere impiegavano mezzi e metodi di guerra proibiti. In particolare, le azioni dell’Azerbaigian hanno violato l’articolo 23 della Convenzione IV di Ginevra, che impone un obbligo alle parti in conflitto “di consentire il libero passaggio di tutte le partite di medicine e apparati ospedalieri, nonché generi alimentari essenziali, abbigliamento e ricostituenti destinati a bambini sotto i quindici anni, gestanti e casi di maternità“, nonché Articolo 70, paragrafo 2, del protocollo aggiuntivo I, che amplia questo obbligo di copertura al “passaggio rapido e senza ostacoli di tutte le spedizioni, attrezzature e personale di soccorso“.

Nell’autunno del 1991, le forze azere iniziarono a usare Khojalu come punto di fuoco per il bombardamento di artiglieria degli insediamenti armeni e, in particolare, di Stepanakert. Luoghi civili – ospedali, scuole, case ed edifici amministrativi – erano i principali obiettivi del bombardamento dell’Azerbaigian.

Il 13 febbraio 1992 e in violazione del divieto di attacchi indiscriminati così come sancito dall’articolo 51, paragrafo 4, del protocollo addizionale I, l’Azerbaigian ha iniziato a utilizzare lanciatori multi-razzo BM-21 “Grad” [Nota: Il lanciarazzi BM-21 “Grad” è un’arma che non può essere diretta verso uno specifico oggetto militare. Di conseguenza, il suo uso da parte dell’Azerbaigian costituiva attacchi casuali contro il civile popolazione del Nagorno Karabakh] per bombardare le aree residenziali di Stepanakert, dove a quel tempo si erano concentrate fino a 70.000 persone. Come conseguenza di questo intenso bombardamento, cose essenziali e vitali per la popolazione residente di Stepanakert furono distrutte. I bombardamenti costanti da Khojalu e da altri punti di fuoco azeri hanno portato a numerose vittime tra la popolazione civile armena. Alla fine di febbraio 1992, 243 persone furono uccise (di cui 14 bambini e 37 donne) e 491 persone sono rimaste ferite (di cui 53 bambini e 70 donne).

La popolazione civile viveva in un costante stato di ansia, lasciando le proprie case o rifugi solo quando assolutamente necessario. I sistemi pubblici per la distribuzione di energia elettrica e acqua non funzionavano più. Forniture di elettricità, acqua e gas in Nagorno Karabakh e a Stepanakert si erano quasi fermati. Nel rigido inverno del 1991-1992, gli abitanti di Stepanakert furono costretti a nascondersi negli scantinati senza elettricità, senza acqua, senza riscaldamento e furono costretti a sopportare insopportabili condizioni di vita.

Il blocco totale portò a gravi carenze alimentari nel Nagorno Karabakh e a Stepanakert. Le razioni di farina furono limitate a 400 grammi al mese. A causa di un blocco implacabile, furono registrati numerosi casi di congelamento e morte per ipotermia e per fame nei neonati e negli anziani. L’uso da parte dell’Azerbaijan della fame come  un metodo di guerra non solo violava l’articolo 54, paragrafo 1, del 1977 Protocollo I, ma costituiva anche un crimine di guerra ai sensi dell’articolo 8 (2) (b) (xxv) dello Statuto ICC del 1998, che proibisce di “usare intenzionalmente la fame dei civili come un metodo di guerra privandoli di oggetti indispensabili alla loro sopravvivenza, tra cui l’arresto volontario delle forniture di soccorso“.

Uno degli scopi principali dell’Azerbaigian nel compiere questi e altri atti di violenza era quello di diffondere il terrore tra la popolazione civile, condotto direttamente in spregio al divieto sancito dall’articolo 33 della Convenzione di Ginevra del 1949 IV e l’articolo 51, paragrafo 2, del protocollo aggiuntivo I.

Il blocco totale in corso del Nagorno Karabakh, l’imposizione intenzionale di condizioni di vita disumane, tra l’altro la privazione dell’accesso al cibo e alle medicine e l’uso massiccio di artiglieria pesante per bombardare gli insediamenti, commessi come parte di un attacco diffuso o sistematico diretto contro la popolazione civile – fu

calcolato strategicamente dall’Azerbaigian per provocare la distruzione di una specifica porzione della popolazione del Nagorno Karabakh.

In quelle condizioni, l’attuale sopravvivenza della popolazione del Nagorno Karabakh necessitava urgentemente la soppressione delle posizioni di tiro a Khojalu, da dove l’Azerbaigian stava eseguendo il suo bombardamento indiscriminato di artiglieria contro la civile popolazione di Stepanakert. Inoltre, per aprire un corridoio umanitario, era anche di fondamentale importanza liberare l’unico aeroporto della Repubblica.

Le forze di difesa del Nagorno Karabakh lanciarono l’operazione di Khojalu il 25 febbraio 1992, alle 23:00. Fu completata in poche ore. Nel corso dell’operazione, le forze di difesa hanno preso il controllo dell’aeroporto di Stepanakert e dell’insediamento di Khojalu – e quindi impedito una certa calamità umanitaria in Nagorno Karabakh.

L’operazione militare, derivante dall’assoluta necessità, è stata effettuata in conformità con i principi fondamentali del diritto internazionale umanitario. In particolare, le forze di difesa hanno aderito ai principi di distinzione e proporzionalità, nonché all’obbligo di adottare le opportune precauzioni per minimizzare il danno ai civili. In particolare:

• Pochi giorni prima dell’inizio dell’operazione militare, la parte del Karabakh ha informato ripetutamente le autorità di Khojalu, tramite linee di comunicazione radio, del prossimo attacco e li ha chiamati a guidare immediatamente la popolazione fuori città attraverso corridoi specifici lasciati aperti soprattutto a tale scopo. Nelle interviste, l’allora presidente dell’Azerbaigian, Ayaz Mutallibov e il Presidente del Comitato esecutivo di Khojalu, Elman Mammadov, ciascuno ha confermato che l’avvertimento comunicato dell’attacco era stato ricevuto dalla parte azera e persino trasmesso a Baku. In un’intervista con la giornalista ceca Dana Mazalova, pubblicata il 2 aprile 1992 in “Nezavisimaya Gazeta” (“Giornale indipendente”), ex presidente Mutallibov ha dichiarato: “La parte azera è stata informata dell’operazione sul acquisizione di Khojaly e durante l’operazione la parte armena ha fornito un corridoio per evacuare la popolazione civile da Khojaly in un posto più sicuro nella regione di Aghdam”. Anche il presidente Mammadov ha confessato: “Eravamo stati informati che il corridoio era destinato alla popolazione civile per lasciare (…)”  [Nota: “Russkaya Mysl” (“Pensiero russo”), quotidiano, citato dal giornale azero “Bakinskiy rabochiy” (“Lavoratore di Bakur”) 3 aprile 1992]

Tutte le unità partecipanti all’operazione hanno ricevuto ordini severi dalla leadership militare del Nagorno Karabakh per non colpire la popolazione civile e per proteggere coloro che sarebbero finiti sotto il controllo delle forze di difesa del Nagorno Karabakh. Durante l’operazione per neutralizzare le posizioni di Khojalu dalle quale partiva il pesante fuoco di artiglieria, le incidentali vittime civili furono contenute al minimo. Le incidentali vittime civili, i civili feriti e i danni a oggetti civili non erano in alcun modo eccessivi rispetto al vantaggio militare concreto e diretto previsto. Pertanto, le azioni delle forze di difesa del Nagorno Karabakh furono condotte in linea con l’articolo 51 del protocollo aggiuntivo I.

Era stato previsto un corridoio umanitario per l’evacuazione della popolazione civile. In effetti, quelli che hanno effettivamente utilizzato il corridoio, incluse le locali autorità di Khojalu, furono in grado di raggiungere in sicurezza i territori sotto il controllo dell’l’esercito azero.

• Circa ulteriori 700 persone, che si erano smarrite e furono successivamente raccolte dalla parte del Karabakh tra le montagne, furono trasferite in Azerbaigian senza qualsiasi condizione, nel giro di pochi giorni.

Al contrario, la parte azera commise gravi violazioni di una serie di norme del diritto internazionale umanitario durante i suddetti eventi. In particolare,

Le autorità azere non hanno adottato alcuna misura per evacuare la popolazione civile. Secondo le fonti azere, il 22 febbraio 1992, una riunione del Consiglio di sicurezza dell’Azerbaigian fu convocata sotto la presidenza del presidente Mutallibov, con la partecipazione del Primo Ministro, del Capo del Comitato per la sicurezza dello Stato e di altri funzionari. Durante quell’incontro, i partecipanti effettivamente presero la decisione di non evacuare la popolazione di Khojalu, credendo che un tale passo potesse essere percepito come disponibilità a rinunciare all’insediamento. [Nota: Sulla base dell’intervista del presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sulla Khojalu Events, e membro del Milli Majlis, Ramiz Fataliyev. Vedi Fataliyev, Ramiz. Intervista al servizio azero di Radio Liberty. 9 settembre 2009]

Quella stessa decisione – non evacuare una popolazione civile al fine di mantenere una posizione militarmente strategica – era essa stessa una grave violazione diritto umanitario internazionale ai sensi dell’articolo 28 della Convenzione di Ginevra IV: “la presenza di una persona protetta in qualsiasi punto o area non può essere utilizzata per proteggere questi luoghi da operazioni militari.” La violazione dell’Azerbaigian, infatti, equivale a un reato di guerra: articolo 8, paragrafo 2, lettera b) (xxiii) dello Statuto del criminale internazionale di Roma.

La corte caratterizza esplicitamente “l’uso della presenza di un civile o altro persona protetta per prevenire azioni militari contro determinati punti, aree o forze armate” come crimine di guerra.

Inoltre, durante l’operazione militare, un folto gruppo di militari armati della guarnigione di Khojalu si mescolarono alla folla di civili usando il corridoio umanitario fornito dalla parte del Karabakh per ritirarsi verso le posizioni azere. Mentre attraversano il corridoio, i soldati azeri usarono i civili come scudi umani per ripararsi mentre sparavano ripetutamente contro le forze di difesa del Nagorno Karabakh.

Quelle azioni delle forze armate azere costituiscono palesemente una violazione del diritto internazionale umanitario – in particolare dell’Articolo 51 del protocollo aggiuntivo I, che vieta l’uso dei civili come scudi umani.

Va notato che quei gruppi civili che non avevano combattenti tra loro, e che non hanno rifiutato il corridoio umanitario fornito, è passato sicuro attraverso il corridoio senza incidenti. [Nota: Questo fatto è stato confermato da ex residenti di Khojalu in un’intervista con l’Azerbaigian giornalista, Eynulla Fatullayev. Vedi Fatullayev, Eynulla. Karabakhskiy dnevnik (Il diario del Karabakh). Realny Azerbaijan (“Real Azerbaijan”).]

La situazione fu ulteriormente aggravata dall’allora lotta di potere interno in corso nell’Azerbaigian tra il Fronte Popolare dell’Azerbaigian e l’allora Presidente Mutallibov, una lotta che ha portato alla mancanza di un comando militare unificato nelle forze armate dell’Azerbaigian. Le forze governative dell’Azerbaigian erano leali Mutallibov, mentre un numero significativo di paramilitari erano affiliati al Fronte popolare dell’Azerbaigian. L’impatto di questo conflitto politico interno fu significativo; infatti, a seguito di questa lotta, Mutallibov fu alla fine rovesciato e fuggì dall’Azerbaigian.

La sfortunata combinazione di questi fattori – la violazione deliberata del diritto internazionale umanitario da parte dell’Azerbaigian, la lotta per il potere interna all’Azerbaigian, e la conseguente mancanza di unità di comando tra le forze armate dell’Azerbaigian hanno determinato, nonostante tutte le misure di protezione adottate dalle forze di difesa del Nagorno Karabakh – incluso ma non solo il preventivo avvertimento dell’operazione e la creazione di corridoi umani – vittime umane.

Durante l’operazione militare, e come notato sopra, un folto gruppo di militari armati della guarnigione di Khojalu, mescolandosi con una folla di civili, iniziarono a ritirarsi verso Aghdam (che era controllata dalle forze armate azere) lungo il corridoio umanitario garantito dalla parte del Karabakh. Uno di questi convogli di residenti di Khojalu, insieme alle persone armate, lasciarono il corridoio garantito e si mossero verso il villaggio armeno di Nakhichevanik, dove si scatenò una feroce battaglia con un attacco al villaggio armeno da parte delle forze azere di Aghdam. Secondo i ricordi dei combattenti azeri, si mossero verso il villaggio di Nakhichevanik perché avevano ricevuto istruzioni radio e assicurazioni da Aghdam che il villaggio era già stato catturato dall’esercito azero. Appena all’interno del territorio controllato dalle forze armate azere, non lontano da Aghdam, il convoglio fu catturato nel fuoco incrociato della battaglia che ne seguì.

Per essere chiari, l’incidente è avvenuto all’interno del territorio controllato dalle forze azere. Ciò è ampiamente dimostrato dal fatto che, alla fine di febbraio e all’inizio di marzo 1992, i giornalisti azeri e turchi hanno avuto l’opportunità di visitare il luogo dell’incidente due volte – e di scattare foto di dozzine di cadaveri in presenza dei militari azeri.

Dopo la tragica morte dei residenti di Khojalu vicino ad Aghdam, le autorità dell’Azerbaigian ricorsero immediatamente alla disinformazione e alla falsificazione, per nascondere il luogo effettivo della tragedia e la manipolarono i dati sul numero dei defunti.

In effetti, i giornalisti azeri che hanno cercato di intraprendere un’indagine indipendente sugli eventi relativi alle vittime dei civili di Khojalu furono uccisi o arrestati in Azerbaigian. Il primo giornalista a mettere in discussione la versione ufficiale dell’Azerbaigian di ciò che era emerso fu il cameraman Chingiz Mustafayev, che, nel tardo febbraio e inizio marzo 1992, aveva filmato l’area in cui erano periti gli abitanti di Khojalu. Pochi mesi dopo aver iniziato le sue indagini, lui stesso fu ucciso, vicino ad Aghdam e in circostanze sconosciute, nell’estate del 1992.

Quindici anni dopo, nel 2007, un altro giornalista azero, Eynulla Fatullayev, presentò un punto di vista sulle vittime degli abitanti di Khojalu che differiva dalla posizione ufficiale dell’Azerbaigian. Fu arrestato e condannato a otto anni e mezzo di prigione. Nonostante una decisione del 2010 della Corte europea dei diritti umani (CEDU) che ordinava all’Azerbaigian di rilasciare immediatamente Fatullayev, fu graziato e rilasciato solo un anno dopo, nel 2011, quando ritrattò le sue precedenti rivelazioni e accettò di collaborare con il governo dell’Azerbaigian.

Una simile sospensione fu offerta all’ex presidente Mutallibov al quale, dopo aver trascorso venti anni in esilio, fu concesso il perdono dal presidente Aliyev e fu permesso di fare ritorno a Baku. Il prezzo pagato per il perdono dell’ex presidente era la rinuncia alle dichiarazioni precedenti che aveva fatto in interviste riguardanti l’incidente, come sopra citato.

La campagna di falsificazione dell’Azerbaigian include anche la chiara distorsione di valutazioni internazionali in merito alla questione, come il giudizio della Corte europea dei diritti dell’uomo nella causa Fatullayev contro Azerbaigian. Innanzitutto, si dovrebbe notare che, riguardo a Fatullayev, la CEDU ha ritenuto l’Azerbaigian responsabile della violazione degli articoli 10 e 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

In secondo luogo, l’affermazione dell’Azerbaigian secondo cui la CEDU ha ritenuto che gli eventi di Khojalu fossero “Atti di gravità particolare, che possono equivalere a crimini di guerra o crimini contro umanità” è palesemente sbagliata.

Nel suo giudizio, la CEDU afferma chiaramente che “(…) La Corte di conseguenza ritiene che non sia suo compito risolvere le divergenze di opinioni sui fatti storici relativi agli eventi di Khojaly. Pertanto, senza mirare a trarre conclusioni definitive al riguardo, la Corte si limiterà a formulare le seguenti osservazioni, ai fini della sua analisi nel caso di specie (…) “

La parte azera si impegna in qualcosa di più della distorsione di un giudizio della CEDU; falsa spudoratamente anche le proprie valutazioni storiche e informazioni. Secondo la dichiarazione del febbraio 2020 del Ministero degli Affari Esteri dell’Azerbaigian, la popolazione di Khojalu al momento dell’incidente era di 7000 unità.

Tuttavia, nell’aprile 1993, lo stesso ministero azero riferì alla CSCE che la popolazione di Khojalu all’epoca era di 855 persone. Quindi, la stima del febbraio 2020 del Ministero degli Affari Esteri è in conflitto diretto con la sua specifica dichiarazione nell’aprile 1993.

Nella sua dichiarazione del febbraio 2020, il ministero degli Esteri dell’Azerbaigian aveva aumentato la popolazione di otto volte rispetto alla propria contemporanea valutazione nell’aprile 1993. La falsificazione del dell’Azerbaigian sui numeri del caso dovrebbe senza dubbio rendere le sue altre valutazioni e stime palesemente inaffidabili.

L’Azerbaigian continua a perseguire un programma di falsificazione e disinformazione, usando false narrative sull’incidente di Khojalu per diffondere l’isteria anti-armena e coltivare l’odio contro gli armeni nella società azera.

L’Azerbaigian ha la piena responsabilità di aver scatenato una guerra contro il popolo del Nagorno Karabakh, e per la grave e sistematica violazione internazionale del diritto umanitario, che ha imposto un’immensa sofferenza umana alla popolazione civile bloccata. Il suo sfortunato tentativo di accusare la parte armena dell’uccisione di civili a Khojalu non è necessario. Nei suoi sforzi, l’Azerbaigian cerca solo di nasconderne le dirette responsabilità per la violazione deliberata del diritto internazionale umanitario e il suo totale disprezzo per la vita civile, che ha portato direttamente a questi tragici eventi.

(traduzione, grassetto e sottolineature redazionali)

Il ministero degli Affari esteri della repubblica di Artsakh ha diramato il seguente comunicato nel 26° anniversario dell’accordo di cessate-il-fuoco sottolineando come la via pacifica alla risoluzione definitiva del conflitto passi attraverso l’esclusione di qualsiasi illusione per la possibilità di definire il conflitto con la forza e l’organizzazione di negoziati trilaterali a tutti gli effetti

“Il 12 maggio 1994, è entrato in vigore l’accordo trilaterale sulla cessazione completa del fuoco e delle ostilità firmato da Artsakh, Azerbaigian e Armenia, sotto la mediazione della Russia.

L’accordo di cessate il fuoco è stato l’unico risultato tangibile nel processo di risoluzione dei conflitti tra l’Azerbaigian e il Karabakh, ed è risultato dai negoziati trilaterali a pieno titolo, con la partecipazione diretta ed equa di una delle principali parti in conflitto: la Repubblica di Artsakh.

Il percorso verso il cessate il fuoco senza fine non è stato facile. I precedenti tentativi di porre fine alla guerra furono minati a causa della posizione dell’Azerbaigian, che, confidando nella sua superiorità tecnico-militare, sperava di risolvere il conflitto con la forza. Il successo diplomatico fu possibile solo dopo che l’Esercito di Difesa dell’Artsakh ebbe respinto l’aggressione armata dell’Azerbaigian, assicurato i confini sicuri della Repubblica e quindi minato seriamente il potenziale di Baku volto a risolvere il conflitto con la forza militare.

Un altro ostacolo sulla via dell’accordo per l’istituzione di un cessate il fuoco senza fine è stata la riluttanza dell’Azerbaigian a condurre negoziati diretti con la Repubblica di Artsakh. Tuttavia, dopo un significativo indebolimento del suo potenziale militare, la leadership azera non solo ha smesso di ostacolare il pieno coinvolgimento del governo di Stepanakert nel processo negoziale, ma in numerose occasioni ha avviato contatti diretti con le autorità di Artsakh, anche ai massimi livelli. La rimozione dell’ostacolo principale ai negoziati diretti ha permesso di concentrarsi sulle questioni sostanziali, gettando così le basi per il successivo conseguimento diplomatico ovvero l’istituzione della piena cessazione del fuoco e delle ostilità.

È difficile sopravvalutare il pieno significato dell’Accordo del 12 maggio 1994, che ha permesso di trasferire il conflitto tra l’Azerbaigian e il Karabakh sulla pista politico-diplomatica e creare condizioni per le parti, con il sostegno dei mediatori, per concentrare i loro gli sforzi esclusivamente per trovare le modalità per la risoluzione definitiva del conflitto attraverso i negoziati.
Purtroppo, questo risultato non è stato sviluppato negli anni successivi, a causa del ritorno dell’Azerbaigian alla sua precedente politica di confronto, minacce e rifiuto di negoziare direttamente con Artsakh.
L’accordo del 12 maggio 1994 dimostra che i progressi nel processo di risoluzione dei conflitti dipendono da due condizioni chiave: esclusione di qualsiasi illusione per la possibilità di risolvere il conflitto con la forza e organizzazione di negoziati trilaterali a tutti gli effetti, in cui ciascuna delle parti al conflitto negozia per proprio conto e sulle questioni di sua competenza.

La Repubblica di Artsakh ribadisce il suo impegno per la soluzione esclusivamente pacifica del conflitto ed esercita coerenti sforzi per mantenere pienamente il cessate il fuoco, pur essendo pronta a prevenire in modo decisivo qualsiasi tentativo dell’Azerbaigian di scatenare un’altra aggressione“.

[traduzione redazionale]

L’8 maggio 2020 segna il 28° anniversario dell’inizio dell’operazione condotta nel 1992 dall’esercito di difesa Artsakh (Nagorno Karabakh) e dai distaccamenti di volontari armeni per la liberazione dalle forze armate azere della strategica città di Shushi.

La liberazione di Shushi (che ufficialmente si festeggia il 9 maggio) rappresenta un punto di svolta, cruciale, della guerra del Nagorno Karabakh. Shushi, infatti, si era trasformata in una base militare azera durante questa guerra che era stata scatenata dall’Azerbaigian alla fine di gennaio 1992.

Alla fine del 1991, le forze armate azere avevano iniziato a bombardare Stepanakert, la capitale dell’Artsakh, e le aree circostanti da Shushi (che si trova a una quota elevata, tra i 1500 e i 1800 metri di altitudine). La situazione era peggiorata bruscamente nel febbraio 1992, quando gli azeri avevano cominciato a utilizzare anche lanciarazzi multipli (BM-21 Grad) contro la popolazione civile. A seguito di tali criminali bombardamenti, 111 civili erano stati uccisi, altri 332 feriti e circa 370 case ed edifici erano stati distrutti. Ad aprile, l’esistenza della stessa Stepanakert era seriamente minacciata.

Quindi, all’inizio di maggio, i comandanti armeni presero l’unica decisione possibile: liberare Shushi dalle forze armate azere mediante un’operazione militare.

L’operazione fu lanciata l’8 maggio 1992 intorno alle 2 del mattino. Era guidata da Arkadi Ter-Tadevosyan, comandante delle forze di autodifesa di Artsakh. La linea del fronte si estendeva per 45 chilometri e l’operazione veniva eseguita in diverse direzioni. Shushi era rimasta l’ultimo avamposto azero in Karabakh.

Dalla sommità della montagna partivano quotidianamente razzi e colpi di cannone verso la sottostante Stepanakert contro la quale nella sola giornata del 7 maggio erano stati sparati circa duecento Grad. La conquista della città, difesa da quasi diecimila soldati azeri, viene portata a termine da poco più di duemila armeni, divisi in quattro gruppi principali che muovendo da punti diversi convergono intorno alla rocca aggirando le difese nemiche. Un gruppo di giovani incursori, guidati da Ashot Ghulian (nome di battaglia Pekor) scalò duecento metri di roccia e riuscì a raggiungere la sommità cogliendo di sorpresa i difensori azeri che mai si sarebbero aspettati un attacco da quel versante. Con la conquista di Shushi anche il capoluogo dell’Artsakh potè godere di uno scudo protettivo. Di lì a pochi giorni sarebbe stato liberato anche il corridoio di Lachin permettendo il collegamento con l’Armenia e l’afflusso di viveri e medicinali per la martoriata popolazione dell’Artsakh.

L’operazione si concluse intorno alle ore 4 del mattino del 9 maggio. La parte armena subì 57 perdite, mentre l’esercito azero ebbe tra le 250 e le 300 vittime.

“Il Ministro degli Esteri armeno Zohrab Mnatsakanyan, il Ministro degli Esteri azero Elmar Mammadyarov e i Copresidenti del Gruppo OSCE di Minsk (Igor Popov della Federazione Russa, Stéphane Visconti di Francia e Andrew Schofer degli Stati Uniti d’America) hanno tenuto frequenti consultazioni a distanza da metà marzo, inclusa una videoconferenza congiunta il 21 aprile. Ha partecipato a tali consultazioni anche Andrzej Kasprzyk, rappresentante personale del Presidente in esercizio dell’OSCE.

Durante le consultazioni, i partecipanti hanno discusso dell’impatto della crisi sanitaria globale sulla regione e dei recenti sviluppi sul campo. Hanno inoltre preso in considerazione le prossime fasi del processo di risoluzione del Nagorno Karabakh in linea con la dichiarazione congiunta rilasciata a Ginevra il 30 gennaio 2020.

È stato riconosciuto che, a causa della straordinaria situazione derivante dalla pandemia di COVID-19, è stata posticipata l’attuazione di misure umanitarie precedentemente concordate. Anche le riunioni interministeriali dei ministri e le visite dei copresidenti nella regione concordate a Ginevra sono state rinviate. Tuttavia, il lavoro necessario per preparare queste attività continua.

I copresidenti hanno sottolineato l’importanza di osservare rigorosamente il cessate il fuoco e di astenersi da azioni provocatorie nell’attuale ambiente e hanno invitato le parti ad adottare misure per ridurre ulteriormente le tensioni. Hanno inoltre espresso apprezzamento per il continuo lavoro del Rappresentante personale del Presidente in esercizio dell’OSCE nelle attuali circostanze e hanno sottolineato la necessità di riprendere le esercitazioni di monitoraggio il più rapidamente possibile.

Considerando le grandi sfide che ora affrontano tutte le popolazioni senza tener conto dei confini politici e che servono come forti richiami alla preziosità di ogni vita umana, i ministri degli Esteri e i copresidenti hanno espresso la speranza che la decisione vista nella risposta alla pandemia globale porterà un impulso creativo e costruttivo al processo di pace. I copresidenti hanno attirato l’attenzione sull’appello del 23 marzo del Segretario generale delle Nazioni Unite per misure globali di cessate il fuoco durante l’attuale crisi sanitaria e sulla dichiarazione dei copresidenti del 19 marzo.

I ministri degli Affari esteri e i copresidenti hanno concordato di rimanere in stretto contatto e di proseguire i negoziati di persona il più presto possibile.”

[traduzione redazionale, non ufficiale]