Sono passati quasi dieci anni ma Manuel Saribekyan ha avuto giustizia. La Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha condannato all’unanimità l’Azerbaigian per la morte del ventenne del villaggio di Ttujur (Armenia nord orientale).

La corte ha dichiarato all’unanimità che ci sono state violazioni dell’articolo 2 (diritto alla vita) e dell’articolo 3 (divieto di tortura e maltrattamenti) della Convenzione europea sui diritti umani.
 
La corte ha riscontrato in particolare che i richiedenti Mamikon Saribekyan e Siranush Balyan (genitori del ragazzo) avevano sporto una istanza denunciando il fatto che il loro figlio, Manvel Saribekyan, era morto a seguito delle azioni violente di altri, in particolare del personale del dipartimento di polizia militare di Baku, dove si trovava in custodia. Gli esponenti rifiutavano di accettare come veritiera la versione degli eventi delle autorità azere secondo le quali il giovane si era tolto la vita da solo impiccandosi.
 
La CEDU ha obbligato l’Azerbaigian a pagare congiuntamente ai ricorrenti 60.000 euro per danni non patrimoniali e 2.200 euro per costi e spese.
 
Manvel Saribekyan, 20 anni, residente nel villaggio armeno di Ttujur (prossimo al confine con l’Azerbaigian), si era inavvertitamente smarrito nel territorio azero a causa delle cattive condizioni meteorologiche (fitta nebbia) l’11 settembre 2010. Fu catturato dagli azeri e tradotto a Baku. E’ morto in una cella della polizia militare il 5 ottobre 2010, venti giorni dopo la cattura.

Fu torturato e ucciso.

(nella foto il giovane fotografato “in posa” dalle autorità azere con il volto tumefatto, forse già senza vita; poco dopo sarà trovato “suicidato”)

«I risultati e i successi dell’Esercito di difesa della Repubblica di Artsakh nel 2019 possono essere valutati soddisfacenti, ma abbiamo molto lavoro da fare in tutte le direzioni». Lo ha detto il comandante dell’Esercito della Difesa dell’Artsakh, nonché ministro della Difesa, Karen Abrahamyan, riassumendo l’anno dell’esercito nel corso di una conferenza stampa.

Secondo lui, il più importante risultato del 2019 è stata l’effettiva protezione del confine di stato dell’Artsakh.

Abrahamyan ha osservato che è stato svolto molto lavoro nella preparazione al combattimento aggiungendo che «durante l’anno, le condizioni di vita sono migliorate in un certo numero di unità militari».

Inoltre, secondo il comandante dell’esercito di difesa, nel corso dell’anno sono stati costruiti numerosi rifugi e bunker. «Nel sistema di comunicazione abbiamo raggiunto gli indicatori che assicurano che il nostro comando sia pienamente in grado di trasmettere i compiti di combattimento», ha aggiunto. «La forza dell’esercito è aumentata di alcuni gradi; si è sviluppato in tutti i tipi di militari (…). Il sistema di difesa aerea ha avuto uno sviluppo qualitativo nel corso dell’anno».

Ha altresì dichiarato che lo stato morale e psicologico di tutto il personale dell’esercito è stabile ed tutti sono pronti a svolgere il proprio compito di combattimento.

Per quanto riguarda il cessate il fuoco, il comandante dell’Esercito della Difesa Artsakh ha dichiarato: «Nel 2019, abbiamo una significativa riduzione del numero di violazioni del regime di cessate il fuoco, anche a causa del fattore politico. In tale contesto, illustrerò il nostro lavoro nel campo della cooperazione con i co-presidenti del gruppo di Minsk dell’Osce. A questo proposito, le riunioni e lo svolgimento del monitoraggio del gruppo di Minsk non hanno avuto precedenti nel 2019. Vorrei menzionare gli accordi raggiunti durante le riunioni delle leadership di Armenia e Azerbaigian».

Una dura risposta dell’attuale premier armeno Pashinyan a un giornale che aveva parlato della “meravigliosa eredità di Serzh Sargsyan” (il precedente presidente) a proposito dello stato delle trattative negoziali per il Nagorno Karabakh lascia aperto più di un interrogativo sul futuro della piccola repubblica armena.

In effetti, a che punto sono i negoziati con la controparte azera?

Secondo Pashinyan, quando ha assunto l’incarico di Primo ministro dell’Armenia si discuteva al tavolo negoziale sui seguenti punti:

  1. Ritiro di tutti gli armeni dai distretti di Aghdam, Fizuli, Jabrail, Zangilan, Gubadli, Qelbajar e Lachin e presa possesso di questi da parte dell’Azerbaigian;
  2. Mantenimento di un solo corridoio di collegamento a Lachin tra Armenia e Artsakh;
  3. Votazione della popolazione (quale?) per la verifica dello status giuridico della regione, sotto gli auspici di ONU e OSCE ed entro un termine concordato dalle parti;
  4. Ripristino cooperazione di buon vicinato fra le parti;
  5. Abbandono dei cittadini armeni dai territori dei distretti che di fatto vengono lasciati al pieno controllo azero;
  6. Dispiegamento di forze internazionali di pace ai confini della originaria oblast autonoma del Nagorno Karabakh (NKAO) ad eccezione delle sezioni facenti capo a Kelbajar e Lachin con la prima che sarà monitorata dall’Osce;
  7. Concessione di uno status temporaneo all’Artsakh.

Secondo Pashinyan questo è lo stato del negoziato che ha trovato nel momento in cui si è insediato al governo. E il leader del “Mio passo” provocatoriamente (ma non troppo) si rivolge ai candidati alle prossime elezioni presidenziali in Artsakh di marzo per chiedere se sono d’accordo nel continuare o meno il negoziato su questi punti.

Che, detto per inciso, ricalcano i cosiddetti “Principi di Madrid” sui quali l’Osce da quasi quindici anni sta cercando di impostare la trattativa diplomatica.

Punti che naturalmente non possono essere in alcun modo accettati perché di fatto riporterebbero l’Artsakh a un’enclave armena dentro l’Azerbaigian ovvero dentro uno Stato che ha fatto dell’armenofobia un dogma politico nazionale.

E una volta lasciati quei territori, chi garantirebbe la sicurezza della repubblica armena? La regione settentrionale di Shahumian – un tempo facente parte dell’oblast e poi de-armenizzata con l’Operazione Anello – sarebbe dentro o fuori i confini armeni?

Che la soluzione di pace passi attraverso un accordo di compromesso è purtroppo inevitabile. Che questo compromesso si configuri come una svendita dei diritti del popolo dell’Artsakh, questo no.

Oggi ricorre il trentesimo anniversario dei pogrom armeni a Baku, uno degli episodi più tragici del conflitto tra Azerbaigian e Karabakh. Il 13 gennaio 1990, l’oppressione mirata degli armeni di Baku si trasformò in un massacro diffuso e organizzato. Il ministero degli Affari esteri della repubblica di Artsakh (Nagorno Karabakh) lo ha osservato in una dichiarazione, che recita anche come segue:

«Cantando gli slogan “Gloria agli eroi di Sumgait!”, “Lunga vita a Baku senza armeni!”, una folla di migliaia di persone, divisa in gruppi guidati da attivisti del Fronte Popolare dell’Azerbaigian (PFA), attuò una “pulizia” metodica degli armeni casa per casa. Le prove abbondano di atrocità e omicidi commessi con estrema crudeltà.

Coloro che riuscirono a sfuggire alla morte furono sottoposti a deportazione forzata. Migliaia di armeni furono portati nel porto della città di Krasnovodsk, in Turkmenistan, con un traghetto attraverso il Mar Caspio, e furono successivamente inviati in Armenia e Russia con aerei.

I massacri continuarono per un’intera settimana nelle condizioni di completa inattività delle autorità azere, delle truppe interne e del grande presidio dell’esercito sovietico di Baku.

Il 18 gennaio, in occasione dei massacri di armeni a Baku, nonché degli attacchi armati ai villaggi armeni della regione di Shahumyan e Getashen, il Parlamento europeo adottò una risoluzione intitolata “Sulla situazione in Armenia“, che chiedeva le autorità dell’URSS di garantire una reale protezione della popolazione armena che vive in Azerbaigian inviando forze per intervenire sulla situazione.

Unità dell’esercito sovietico furono schierate nella capitale della Repubblica Socialista Sovietica azera solo nella notte del 20 gennaio 1990 che fermò i pogrom, superando la feroce resistenza delle unità armate del Fronte Popolare dell’Azerbiagian.

I pogrom di Baku sono diventati uno dei più sanguinosi crimini di massa contro la popolazione armena in una serie di pogrom, deportazioni, pulizia etnica e altri crimini contro l’umanità compiuti in Azerbaigian dal febbraio 1988. Secondo varie fonti, da 150 a 300 persone sono morte in conseguenza di tale massacro.

Condanniamo la negazione permanente da parte delle autorità azere degli atti di genocidio e l’esaltazione degli autori di quei crimini, negazione che è diventata parte integrante della politica di Baku di promozione della xenofobia e dell’odio nei confronti degli armeni.

Oggi, l’inculcazione dell’armenofobia e la promozione di crimini di odio contro gli armeni sono state elevate al rango di politica statale in Azerbaigian e sono penetrate in tutte le sfere della vita pubblica in questo paese, causando così gravi cambiamenti nella coscienza della società azera.

Il problema della xenofobia nei confronti degli armeni in Azerbaigian ha raggiunto dimensioni tali che è diventata una delle principali fonti di minacce alla stabilità e alla sicurezza regionali.

Per superare questi processi negativi e prevenire un aumento della xenofobia in Azerbaigian, sarà necessaria l’attuazione di una serie di misure, con il sostegno della comunità internazionale, che consentano alla società azera di sbarazzarsi di odiose norme e delle linee guida imposte dalle autorità.

Un passo importante nel processo di eradicazione dei fenomeni negativi causati dalla propaganda pluriennale dell’odio nei confronti degli armeni potrebbe essere il riconoscimento da parte delle autorità azere di responsabilità per i crimini di massa commessi contro la popolazione armena, compresi i pogrom di Baku. Ciò non solo migliorerà la situazione nello stesso Azerbaigian, ma creerà anche i presupposti per stabilire una pace duratura nella regione».

Un anno di Artsakh attraverso il riepilogo sintetico, mese per mese, delle principali notizie. La raccolta completa delle stesse può essere consultata nella sezione “Notizie” del nostro sito.

GENNAIO – L’anno si apre con una situazione relativamente calma sulla linea di contatto con un brusco calo delle violazioni azere. Il 16 si incontrano a Parigi (per la quarta volta) i ministri degli Esteri di Armenia (Mnatsakanyan) e Azerbaigian (Mammadyarov). Pochi giorni dopo (il 23) a Davos in Svizzera si incontrano Pashinyan e Aliyev, nessun comunicato ufficiale viene rilasciato. Il ministero delle Finanze comunica che nel 2018 il PIL dell’Artsakh è cresciuto dell’11,7% rispetto all’anno precedente con un tasso di inflazione pari all’1,8%. Il 21 la cronaca fa registrare un tragico incidente automobilistico con tre cittadini dell’Armenia morti a causa dell’auto finita fuori strada.

FEBBRAIO – Nel corso di una conferenza stampa a Berlino Pashinyan dichiara che può negoziare a nome dell’Armenia ma non dell’Artsakh che ritiene necessario sieda al tavolo negoziale. Il 5 viene rilasciato (e consegnato a un Paese terzo) un soldato azero che era stato condannato a due anni di prigione per ingresso illegale in Artsakh nella zona di Talish. Inaugurato il 15 a Stepanakert un nuovo centro medico. I co-presidenti del Gruppo di Minsk di nuovo in Artsakh (il 20). Si dimette il 21 dalla carica di Consigliere presidenziale Arayik Haroutyunyan, già Primo ministro nonché leader politico, correrà per le prossime presidenziali del 2020.

MARZO – L’8 il rappresentante speciale del Presidente dell’Osce in carica, amb. Kasprzyk, è in Artsakh dove tre giorni dopo giunge anche il Primo ministro dell’Armenia, Pashinyan. La relativa calma sulla linea di contatto è bruscamente interrotta il 13 allorché gli azeri sparano colpi di mortaio da 60 mm contro alcune postazioni armene. Si forma un gruppo parlamentare di amicizia Canada-Artsakh. L’Armenian National Committee of America (ANCA) dirama un comunicato stampa nel quale ribadisce pieno sostegno al processo negoziale del Gruppo di Minsk dell’Osce ma rigetta fermamente qualsiasi soluzione negoziale come prospettata dai cosiddetti “Principi di Madrid” che prevedono, tra l’altro, l’ipotesi di cessione di vasti territori della repubblica di Artsakh all’Azerbaigian. Il 26 alcuni media azeri riferiscono che lungo la linea di contatto nei pressi di Fizuli vi sarebbe stato uno scambio di colpi fra le parti che avrebbe provocato la morte di un soldato azero. Contemporaneamente media armeni denunciano scambi di colpi al confine tra Armenia e Azerbaigian (altezza Berdavan) causati dal tentativo nemico di avanzare linee di fortificazione in zona neutrale. Nello stesso giorno viene annunciata la morte di un soldato armeno (classe 1998), Ara Arakelyan, rimasto mortalmente colpito da arma da fuoco, non vengono diramati dettagli. Tre giorni dopo a Vienna si incontrano Pashinyan e Aliyev, positivo commento da parte del Segretario generale delle nazioni Unite Guterrez

APRILE – Il presidente dell’Armenia Sarkissian giunge in Artsakh il primo del mese per una visita di lavoro di due giorni. Aliyev dichiara il 5 che «l’Azerbaigian può ripristinare la sua integrità territoriale attraverso l’opzione militare». L’Ufficio del difensore dei diritti umani dell’Artsakh (Ombudsman), guidato da Artak Baglaryan, trasferisce la propria sede da Shushi alla capitale Stepanakert. La decisione è stata presa per rendere più agevole l’accesso all’utenza. Incontro (8) tra Sahakyan e il Catholikos Karekin II. Due giorni dopo Il presidente della repubblica riceve l’amb. Andrzej Kasprzyk, rappresentante speciale del Presidente dell’Osce in carica. Il 15 si incontrano a Mosca i ministri degli Esteri di Armenia e Azerbaigian. In occasione dell’anniversario del genocidio armeno il 24 lo Stato del Colorado (USA) ha ufficialmente riconosciuto la repubblica di Artsakh. Il parlamento ha votato una risoluzione che riconosce il diritto all’autodeterminazione dell’Artsakh e al tempo stesso condanna il genocidio armeno del 1915. Il Colorado è il nono Stato USA a riconoscere la repubblica. Il 25 il ministro degli Esteri Mayilyan è in Uruguay e poi in Argentina.

MAGGIO – A inizio mese viene registrata un’intensificazione di attività azera lungo la linea di contatto sia con opere di ingegneria sia con un aumento delle violazioni del cessate-il-fuoco. Il 4 un soldato armeno viene gravemente ferito alla testa da un cecchino azero. Il 5 maggio ricorre il 25° anniversario dell’accordo di Bishkek che segnò la fine della guerra nel 1994. Il 13 si incontrano a Bruxelles Pashinyan e Aliyev. Nei giorni successivi l’Azerbaigian avvia esercitazioni militari su larga scala con circa 10.000 soldati impegnati e vasto dispiego di mezzi. Il 29 arriva in Artsakh una delegazione di parlamentari tedeschi. A fine mese giungono le delegazioni che parteciperanno ai campionati Conifa di calcio

GIUGNO – Il mese comincia con la morte di un giovane soldato armeno, Sipan Melkonyan, colpito da cecchino azero. È il ‘benvenuto’ azero ai campionati europei di calcio Conifa organizzati in Artsakh fino al nove giugno e che si aprono con una grande cerimonia allo stadio nazionale di Stepanakert. Botta e risposta (5 e 6) tra Pashinyan e Sahakyan con il primo che accusa la dirigenza dell’Artsakh di mettere in giro informazioni non corrette circa la possibile cessione di territori agli azeri e il secondo che ribadisce la necessità di far sedere l’Artsakh al tavolo negoziale. Il 9 si conclude la coppa Conifa con l’Ossezia del sud che sconfigge l’Armenia occidentale davanti a diecimila spettatori. Intorno al 12 si intensificano violazioni azere con colpi di mortaio da 60 mm. Il giorno seguente un altro soldato (il secondo nel mese), Artyom Kachatryan, viene mortalmente colpito del nemico. Dal 17 prendono il via esercitazioni militari di pronto intervento dell’Artsakh. Il 20 a Washington si incontrano i ministri degli Esteri di Armenia e Azerbaigian. Il 22 viene accesa a Tigranakert la terza torcia dei Giochi Panarmeni la cui settima edizione si disputerà in Artsakh ad agosto. Il mese termina con nuove dichiarazioni belliche di Aliyev che dichiara che la guerra non è finita e che il suo Paese incrementerà l’arsenale militare.

LUGLIO – Il ministro degli Esteri dell’Armenia, Mnatsakanyan, è in Artsakh il 4. L’undici la Camera dei rappresentanti USA approva una mozione sull’Artsakh finalizzata alle misure per diminuire la tensione fra le arti in causa. Il 23 la città australiana di Ryde vota mozione di amicizia con l’Artsakh. Il rappresentante speciale del Presidente dell’Osce in carica, amb. Kasprzyk, è in Artsakh il 24, il ministro degli Esteri Mayilyan vola in Australia (29).

AGOSTO – Alla vigilia dell’inizio dei giochi panarmeni, il 5 arriva a Stepanakert il premier armeno Pashinyan che nello stesso giorno parla a un’imponente folla in piazza della Rinascita. 89 deputati USA scrivono (6) a USAID chiedendo all’amministrazione di non interrompere gli aiuti umanitari all’Artsakh. Deputati bulgari in visita a Stepanakert (6). Nello stesso giorno prendo avvio le competizioni dei Giochi panarmeni che vedono la partecipazione di 5300 atleti provenienti da 161 diverse città di 35 Paesi. Il 12 un soldato, Arayik Ghazaryan, finisce in territorio nemico, non è chiaro se si sia consegnato volontariamente agli azeri. Il 17 terminano i giochi. Nello stesso giorno inizia la campagna elettorale per le prossime elezioni amministrative. L’amb. Kasprzyk, è nuovamente in Artsakh (20). Artsakh air festival all’aeroporto di Stepanakert (25). Delegazione parlamentare tedesca in Artsakh (27).

SETTEMBRE – Anniversario dell’indipendenza (2). L’8 si tengono le elezioni amministrative, si vota anche per la carica di sindaco della capitale che va all’indipendente David Sargsyan. Delegazione di parlamentari francesi in Artsakh (10). Il 14 si tiene a Karvachar la prima edizione del festival del miele. Dichiarazione di amicizia tra la regione francese di Isere e quella di Hadrut (20). Il 22 viene sventato un tentativo di incursione azera nel settore sudorientale della linea di contatto, il nemico lascia un caduto sul campo. Il 23 si incontrano a New York i ministri degli Esteri di Armenia e Azerbaigian. Due giorni dopo l’esercito di difesa abbatte un drone azero. Delegazione cipriota in visita in Artsakh (27). Il 28 Armen Levonyan muore per un colpo di arma da fuoco mentre si trova in una postazione difensiva, non chiara la dinamica.

OTTOBRE – Deputato USA Frank Pallone in Artsakh (1). Il 2 un soldato armeno viene ferito da un cecchino azero. Il giorno dopo un altro soldato, Mushegh Zhirairovich viene mortalmente colpito alla testa dal nemico. Due deputate statunitensi giungono a Stepanakert (8). Nello stesso giorno il ministro degli Esteri Mayilyan annuncia la propria candidatura per le presidenziali 2020. L’11 prende avvio a Stepanakert una conferenza internazionale “Cooperazione per la giustizia e la pace”. Inaugurato a Stepanakert (13) un centro per la francofonia. I co-presidenti del Gruppo di Minsk in Artsakh (16). Festa della melagrana a Martuni (19). Delegazione francese in Artsakh (24). A fine mese una delegazione dell’Artsakh è negli Stati Uniti.

NOVEMBRE – Il 5 muore un soldato in una postazione difensiva, Eric Harutyunyan, non chiara la dinamica. L’Ombudsman dell’Artsakh, Artak Beglaryan, partecipa il 5 a un incontro con i colleghi europei a Innsbruk. Dal 7 al 9 il presidente Sahakyan è in Belgio, mentre il 9 Pashinyan è a Stepanakert per una visita privata. Il 18 un militare è ferito dallo scoppio di una mina. Il 22 viene distribuito alle Nazioni Unite un memorandum curato dalla repubblica dell’Artsakh. Dal 17 al 21 si attua uno scambio di giornalisti armeni e azeri che visitano il contrapposto Paese, la delegazione azera arriva anche a Stepanakert mentre un giornalista dell’Artsakh visita Baku. Il 26 un tentativo di incursione azera con 34 soldati viene respinto delle forze di difesa, si tratta del più grave atto bellico dall’inizio dell’anno. Il 29 un soldato armeno è ferito da un cecchino azero.

DICEMBRE – Pashinyan è in Artsakh (1) dove incontra il presidente Sahakyan unitamente al quale si riunisce con tutti i candidati alle prossime elezioni presidenziali. Il 2 si registrano in una postazione difensiva un morto e un ferito in circostanze non chiare. Il 5, nella cornice del vertice Osce a Bratislava, si incontrano i ministri degli Esteri di Armenia e Azerbaigian. In Atsakh una delegazione parlamentare guatemalteca (8). Il 19 viene approvato il bilancio previsionale del 2020. Il 21 Mayilyan è in Egitto. Il 23 a Yerevan si riunisce un Consiglio di sicurezza congiunto Armenia-Artsakh.

Nel 2019, la situazione alla linea di contatto delle truppe contrapposte Artsakh-Azerbaigian può essere considerata relativamente stabile. Così si esprime il servizio stampa del Ministero della Difesa della Repubblica di Artsakh (Nagorno Karabakh).

«Non solo la sicurezza del personale [dell’Artsakh] coinvolto nel servizio di combattimento è stata sostanzialmente aumentata, ma la possibilità di tentativi di penetrazione sovversivi da parte delle forze armate azere è stata praticamente eliminata», si legge anche nella dichiarazione.

Riguardo alle violazioni dell’accordo di cessate-il-fuoco, nel 2019, il cessate il fuoco è stato violato dall’avversario circa 9000 volte sulla linea di contatto con oltre 85.000 colpi sparati all’indirizzo delle posizioni armene. Va notato che tale dato è il più basso dal 2010.

Facendo riferimento alla questione Artsakh, il comunicato stampa del ministero della Difesa sottolinea che «sebbene il 25° anniversario della firma dell’accordo di cessate il fuoco tra le parti sia stato segnato quest’anno, il Gruppo Minsk dell’OSCE – impegnato nella risoluzione della questione – non è riuscito a fare progressi dal momento che Baku non solo ha continuato a respingere i principi di base per la risoluzione della questione, ma ha anche ignorato le misure di rafforzamento della fiducia proposte dai co-presidenti per rafforzare il cessate il fuoco. Nessuno degli incontri di più alto livello e contatti informali tra le parti in conflitto nel corso dell’anno, nonché le sei riunioni dei ministri degli Esteri per promuovere i negoziati, sono stati in grado di compiere progressi grazie alle posizioni opposte delle parti.

Durante tutto l’anno, l’esercito di difesa [dell’Artsakh] ha contrastato con azione la sua forza e prontezza al combattimento la mancanza di progressi al tavolo dei negoziati e alle dichiarazioni di alto livello dell’Azerbaigian su una soluzione militare al conflitto del Karabakh, e ha continuato a svolgere un dettante ruolo in prima linea, garantendo così l’inviolabilità dei confini della Repubblica Artsakh e la vita pacifica della popolazione».

Dal canto suo il ministro della Difesa nonché Comandante dell’Esercito di difesa dell’Artsakh, Karen Abrahamyan, ha dichiarato in un messaggio di fine anno che l’Esercito «ha svolto la sua missione con onore assicurando la protezione dei confini del nostro paese e il diritto del nostro popolo di vivere pacificamente nella propria terra natale. Riassumendo il 2019 – continua il ministro – possiamo affermare con certezza che l’anno è stato segnato da una preparazione al combattimento tesa e scrupolosa ed è proseguito il potenziamento e la modernizzazione dell’armamento e dell’attrezzatura militare dell’esercito».

Il presidente della Repubblica dell’Artsakh Bako Sahakyan nel corso della seduta congiunta dei Consigli di sicurezza di Armenia e Artsakh del 23 dicembre a Yerevan ha sottolineato la necessità di neutralizzare i tentativi dell’Azerbaigian di spingere la cosiddetta “comunità azera del Nagorno Karabakh” al tavolo dei negoziati.,

«Gli approcci di Stepanakert [per risolvere il conflitto] rimangono invariati» ha aggiunto, in particolare. «Sosteniamo una soluzione pacifica del conflitto nell’ambito del Gruppo di Minsk dell’OSCE, la piena partecipazione della Repubblica di Artsakh a tutte le fasi del processo negoziale.

La necessità (…) di preservare lo status di Artsakh come fattore e soggetto geopolitico sovrano è uno dei compiti più importanti della diplomazia armena.

Anche il nostro avversario [l’Azerbaigian] è ben consapevole di tutto ciò, applicando vari trucchi manipolativi. Questa linea comprende, in particolare, la speculazione della cosiddetta “comunità azera [di Artsakh]” come entità separata e passaggi continui per inserirla nel processo di negoziazione. In tal modo, stanno cercando di impedire il ripristino del formato completo e allo stesso tempo di spostare il fatto dell’indipendenza e della statualità di Artsakh dalla realtà in un dominio virtuale.

È naturale che dovremmo neutralizzare tutti questi tentativi.

Per noi, non può esserci ritorno al passato, sia in termini di status che di confini. Nessuna opzione di transazione metterà in pericolo la sicurezza della Repubblica Artsakh e il suo normale funzionamento».

I mediatori internazionali coinvolti nel processo di risoluzione del conflitto tra l’Azerbaigian e il Karabakh – i Paesi copresidenti del Gruppo Minsk dell’OSCE ⎯ hanno ripetutamente sottolineato che nessun accordo può essere raggiunto senza il consenso del popolo del Nagorno Karabakh e che la questione del ripristino del formato completo dei negoziati con la partecipazione dell’Artsakh dipende dalla volontà delle parti.

Come parte diretta del conflitto, la Repubblica di Artsakh insiste sulla propria partecipazione in tutte le fasi del processo di negoziazione sostenendo che nessuna soluzione è possibile senza il suo consenso.

Per quanto riguarda Yerevan, il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha dichiarato all’inizio del suo mandato che l’Artsakh dovrebbe tornare al tavolo dei negoziati.

Pertanto, il problema risiede nell’approccio azero che cerca di presentare la Repubblica di Artsakh e la comunità di rifugiati azeri come parti paritarie del conflitto.

Inutile dire che nel contesto del conflitto tra Azerbaigian e Karabakh, la questione dei rifugiati è sempre presentata unilateralmente dall’Azerbaigian, trascurando deliberatamente l’esistenza di migliaia di rifugiati armeni sfollati forzatamente dalla regione Shahumyan e dai territori occupati di Martakert, nonché coloro che sono sfuggiti al genocidio di Sumgait, Gandzak e Baku. Anche queste persone sono considerate rifugiati che, a differenza dei rifugiati azeri, non hanno però ricevuto alcun risarcimento materiale fino a oggi, anche prima di affrontare l’obbligo di risarcimento per le sofferenze morali avverse loro inflitte.

Non è necessario esaminare in questo articolo la manifestazione dell’odio anti-armeno e il fatto che rappresentanti di questa stessa comunità abbiano partecipato e continuino a partecipare alle ostilità e ai blocchi inflitti dall’Azerbaigian alla Repubblica Artsakh.

Nessuno nega la realtà dei rifugiati azeri e armeni. Ma, l’argomento della cosiddetta “comunità azera del Nagorno Karabakh” che la parte azera tenta di dipingere come un attore politico discreto richiede ulteriori elaborazioni. In senso classico, un’organizzazione senza scopo di lucro guidata da Tural Gyanjaliev tende ai rifugiati azeri del Nagorno Karabakh. Allo stesso modo, un’organizzazione analoga in Artsakh ⎯ “L’Unione dei rifugiati armeni dell’Azerbaigian” ⎯ guidata da Sarasar Saryan frequenta i rifugiati armeni dell’Azerbaigian e ha lo stesso status dell’organizzazione dei rifugiati azeri del Nagorno Karabakh. Entrambe le organizzazioni rappresentano naturalmente gli interessi delle rispettive comunità di rifugiati. Tuttavia, gli sforzi per considerare e ascoltare solo l’organizzazione azera, come recentemente osservato nelle dichiarazioni dei copresidenti del Gruppo Minsk dell’OSCE, dimostrano una posizione illogica e distorta. È ancora più ridicolo e stravagante tracciare parallelismi tra l’organizzazione azera di rifugiati e la Repubblica di Artsakh.

Se la parte azera ha, in sostanza, distorto la sostanza del problema al punto di articolare tale aspirazione, i copresidenti del Gruppo Minsk dell’OSCE che visitano l’Artsakh e si incontrano con i funzionari eletti della Repubblica di Artsakh, dovrebbero essere in grado di chiarire le sfumature rilevanti per la parte azera.

Inoltre, i rifugiati azeri del Nagorno Karabakh partecipano alle elezioni in Azerbaigian che modellano la configurazione della governance locale proprio come fanno i rifugiati armeni dell’Azerbaigian attraverso la loro rispettiva partecipazione alle elezioni della Repubblica di Artsakh. Di conseguenza, il Presidente dell’Azerbaigian, che rappresenta i suoi elettori, rappresenta anche i rifugiati azeri nello stesso modo in cui il Presidente della Repubblica Artsakh rappresenta i rifugiati armeni così come rappresenta il popolo di Artsakh. Quindi, il Presidente della Repubblica di Artsakh è una controparte paritaria del Presidente dell’Azerbaigian.

Le ragioni per dissentire dal formato dei negoziati Stepanakert-Baku-Yerevan e sostenere il formato dell’organizzazione Stepanakert-rifugiati-Baku-Yerevan sono duplici: (a) i rifugiati azeri del Nagorno Karabakh non hanno fiducia nelle elezioni in Azerbaigian e non si fidano del loro presidente Ilham Aliyev; e (b) tale posizionamento è l’ennesima manovra distruttiva dell’Azerbaigian che dimostra nuovamente la sua riluttanza a risolvere il conflitto attraverso negoziati.

È degno di nota il fatto che fino ad oggi siano stati firmati due importanti documenti che mirano alla risoluzione dei conflitti, ed entrambi gli accordi sono stati raggiunti nel formato trilaterale Stepanakert-Baku-Yerevan (ovvero l’accordo sul cessate il fuoco del 1994; e l’accordo sul rafforzamento del cessate il fuoco del 1995). Evidentemente, l’Azerbaigian conosce il modo più efficace e più breve per raggiungere un accordo e riteniamo sia opportuno ricordarlo costantemente a loro e alla comunità internazionale.

(Anush Ghavalyan per “armenianweekly.com, traduzione e grassetto redazionale)

L’intervento del ministro degli Esteri dell’Armenia, Zohrab Mnatsakanyan , al Consiglio ministeriale dell’Osce di Bratislava. Parole chiare per risolvere il conflitto.

Signor Presidente,

Cari colleghi, Signore e signori, Signor Presidente, grazie per l’ospitalità e grazie per la leadership di questa Organizzazione durante tutto l’anno!

Ieri abbiamo tenuto un altro giro di consultazioni con la mia controparte azera e i copresidenti del Gruppo Minsk dell’OSCE, il quinto di fila solo per quest’anno. A tale proposito, voglio illustrare la posizione dell’Armenia sugli aspetti chiave dell’insediamento pacifico del conflitto del Nagorno Karabakh.

In primo luogo, non vi è alternativa alla soluzione pacifica del conflitto all’interno della copresidenza del Gruppo Minsk dell’OSCE, un formato che è obbligatorio e sostenuto a livello internazionale.

In secondo luogo, il diritto inalienabile del popolo del Nagorno Karabakh all’autodeterminazione rappresenta un principio e una base fondamentali per la risoluzione pacifica. Il riconoscimento di questo principio non deve essere limitato nell’ambito della determinazione dello status finale del Nagorno Karabakh, deve essere chiaramente e inequivocabilmente accettato. Il termine “senza limitazione” implica chiaramente anche il diritto del popolo del Nagorno Karabakh di mantenere e determinare uno status al di fuori della giurisdizione, sovranità o integrità territoriale dell’Azerbaigian. Le persistenti politiche e azioni ostili dell’Azerbaigian volte a minare e minacciare la sicurezza fisica esistenziale del popolo del Nagorno Karabakh, compresa l’ultima tentata aggressione dell’Azerbaigian contro il Nagorno Karabakh nell’aprile 2016, sottolineano l’illegittimità e l’impossibilità di rivendicare la giurisdizione dell’Azerbaigian sul popolo del Nagorno Karabakh.

L’Azerbaigian deve assumere un impegno diretto per il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione del popolo del Nagorno Karabakh attraverso la libera espressione legalmente vincolante della volontà delle persone che vivono nel Nagorno Karabakh, il cui esito non dovrebbe avere limiti.

In terzo luogo, la sicurezza della popolazione del Nagorno Karabakh non sarà compromessa. In nessun caso la popolazione del Nagorno Karabakh dovrebbe essere lasciata senza linee di difesa sicure. Non vi sarà alcuna condizione di assumere un rischio per la sicurezza fisica esistenziale della popolazione del Nagorno Karabakh, come è avvenuto nel 1991-1994 e nel 2016. Per sottolineare questo punto, mi riferisco alla situazione nei territori del Nagorno Karabakh, attualmente occupati dall’Azerbaigian, in cui gli armeni erano stati ripuliti etnicamente e i territori sono stati completamente reinsediati dall’Azerbaigian. Questa realtà è stata recentemente presentata dalla dirigenza dell’Azerbaigian come un buon esempio di soluzione del conflitto nel Nagorno Karabakh.

In quarto luogo, la soluzione pacifica dovrebbe essere inclusiva coinvolgendo direttamente tutte le parti in conflitto. Pertanto, il Nagorno Karabakh attraverso i suoi rappresentanti eletti dovrebbe essere una parte diretta nel processo negoziale. A questo proposito, sottolineiamo la necessità del pieno impegno dei rappresentanti eletti di Artsakh nel processo di pace, in particolare sulle questioni fondamentali della sostanza. Il governo dell’Armenia non intraprenderà mai alcuna attività che possa violare il diritto del popolo del Nagorno Karabakh di determinare liberamente il proprio status politico o privarlo della proprietà di questo processo.

In quinto luogo, una soluzione pacifica non può aver luogo in un ambiente di tensioni e rischi di escalation. Pertanto, gli accordi di cessate il fuoco del 1994 e 1995 conclusi tra Azerbaigian, Nagorno Karabakh e Armenia dovrebbero essere rigorosamente rispettati e rafforzati. Dovrebbero essere attuati meccanismi di riduzione del rischio, compresi i meccanismi dell’OSCE che indagano sulle violazioni del cessate il fuoco e monitorano il regime del cessate il fuoco, anche attraverso l’espansione dell’ufficio del PRCiO [Rappresentante personale del Presidente dell’Osce in carica, NdT].

In sesto luogo, il principio di base del non uso della forza o della minaccia dell’uso della forza dovrebbe essere rispettato incondizionatamente. Le politiche di odio, intolleranza, xenofobia, armenofobia, istigate e dirette dalla leadership dell’Azerbaigian dovrebbero essere denunciate. Gli sforzi dovrebbero essere rafforzati per preparare le popolazioni alla pace e per creare un ambiente favorevole alla pace.

In settimo luogo, le posizioni massimaliste dell’Azerbaigian, che ignorano la volontà e la sensibilità del popolo del Nagorno Karabakh, sono ostacoli fondamentali a un progresso significativo nel processo di pace. L’incapacità delle autorità dell’Azerbaigian di ricambiare la richiesta di un compromesso da parte dell’Armenia è un caso specifico. Per ricordare, il Primo Ministro dell’Armenia ha dimostrato una forte volontà politica nell’annunciare che qualsiasi accordo dovrebbe essere accettabile per il popolo di Armenia, Artsakh e Azerbaigian, il che significa che l’accordo può essere basato solo su un compromesso.

Signor Presidente, l’Armenia rimane impegnata in buona fede nel processo negoziale e continuerà a lavorare costantemente per una soluzione pacifica. Allo stesso tempo, è inaccettabile che alla luce degli attuali sviluppi politici interni in Azerbaigian, quest’ultimo stabilisca le condizioni preliminari per il processo di pace, come manifestato in un documento di sintesi diffuso alla vigilia di questo Consiglio dei ministri. L’Armenia respinge tale approccio non costruttivo.

Infine, nell’ultimo mese abbiamo dimostrato un esempio modesto e tuttavia importante di rafforzamento della fiducia tra tutte le parti in conflitto. Lo scambio di giornalisti provenienti da Armenia, Nagorno Karabakh e Azerbaigian è un promettente esempio di costruzione di fiducia e dialogo inclusivo tra le parti a livello pubblico. Siamo pronti a sviluppare ulteriormente questo esempio. Inoltre, il livello relativamente basso di violenza lungo la linea di contatto e il confine internazionale, nonché l’uso della linea di comunicazione diretta dovrebbero essere sostenuti e potenziati. Tuttavia, restiamo seriamente preoccupati del fatto che, nonostante queste misure, ci siano state perdite e lesioni che avrebbero potuto essere evitate.

Mantenere gli impegni è fondamentale per creare fiducia nelle prospettive di soluzione definitiva del conflitto.

In conclusione, vorrei dare il benvenuto all’Albania come presidente entrante e augurare loro ogni successo. Grazie.

(traduzione e grassetto redazionali)

Nel corso della sua visita di Stato in Italia (20-22 novembre), il Primo Ministro dell’Armenia Nikol Pashinyan ha tenuto un discorso all’ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) di Milano. Del suo intervento estrapoliamo la seconda parte incentrata sulla questione del Nagorno Karabakh-Artsakh. Il grassetto è nostro redazionale.

Tutti voi qui sapete che l’Armenia si trova in una regione instabile con molti rischi e sfide per la sicurezza. I conflitti irrisolti, che stanno producendo continue tensioni, una corsa agli armamenti e una politica di odio, sono ancora vivi nel Caucaso meridionale.

Trenta anni dopo la caduta del muro di Berlino, due dei quattro confini dell’Armenia – quelli con Turchia e Azerbaigian – sono rimasti sigillati da circa tre decenni. Rifiutando di stabilire relazioni diplomatiche con l’Armenia e aiutando apertamente l’Azerbaigian contro l’Armenia e il Nagorno Karabakh, la Turchia rimane una grave minaccia alla sicurezza per l’Armenia e per il popolo armeno che ha subito il primo genocidio del 20° secolo nell’Impero ottomano e continua ad affrontare la feroce negazione di verità e giustizia.

Sebbene le altre due frontiere con i nostri amici, la Georgia e l’Iran, siano aperte, tuttavia, in termini di efficienza economica, possono essere considerate solo aperte a metà. Le sfide di politica estera dei nostri due vicini limitano il potenziale delle relazioni esterne della nostra economia e minano le possibilità di una cooperazione regionale su vasta scala.

Ma la più grande sfida alla sicurezza per noi è il conflitto nel Nagorno Karabakh. Resta ancora irrisolto diventando una fonte di tensione permanente e minacciando di degenerare in un altro scoppio di ostilità.

Chiunque sia interessato al conflitto del Nagorno Karabakh dovrebbe conoscere le origini del conflitto. Questo conflitto non è una disputa territoriale, in quanto alcuni hanno cercato di presentarlo in modo semplificato. Riguarda il diritto all’autodeterminazione, i diritti umani e la sicurezza fisica delle persone che vivono lì.

Le radici del conflitto risalgono ai primi giorni dell’Unione Sovietica quando una regione armena con il 95% della popolazione armena fu assegnata all’Azerbaigian con una decisione arbitraria del partito comunista. Ciò è accaduto a seguito di un accordo raggiunto tra la Russia bolscevica e la Turchia kemalista nei primi anni ’20.

Durante l’era sovietica il conflitto si manifestò con una discriminazione sistematica e violenta contro la popolazione armena che formulò la sua offerta di autodeterminazione nel 1988, proprio alla vigilia della fine dell’Unione Sovietica. In risposta alle aspirazioni degli armeni del Nagorno Karabakh, le autorità dell’Azerbaigian sovietico hanno adottato misure severe per reprimere questo movimento con l’uso delle forze di polizia. La pulizia etnica con atrocità di massa contro gli armeni è stata esercitata in molte aree del Nagorno Karabakh e dell’Azerbaigian.

Quindi, mentre l’impero sovietico era in procinto di disintegrazione, l’Azerbaigian, come altre repubbliche, iniziò il suo ritiro dall’URSS. In conformità con la Costituzione sovietica, se una repubblica membro dichiarava la propria intenzione di separarsi dall’URSS, le regioni autonome sotto la sua giurisdizione avevano il diritto di determinare il loro status, che includeva la secessione da quella repubblica.

Facendo uso della Costituzione sovietica, la regione autonoma del Nagorno Karabakh ha esercitato il suo diritto all’autodeterminazione. Il Nagorno Karabakh dichiarò l’indipendenza dall’Azerbaigian esattamente nello stesso modo in cui l’Azerbaigian si separò dall’Unione Sovietica.

Questa volta, le autorità azere hanno usato forze militari contro gli armeni. Hanno intrapreso una guerra su vasta scala minacciando l’esistenza stessa del popolo del Nagorno Karabakh. In risposta alla minaccia esistenziale, gli armeni, che costituivano circa l’80% della popolazione totale del Nagorno Karabakh, ricorsero all’autodifesa. Sono riusciti a proteggere la loro terra e hanno fatto in modo che l’Azerbaigian venisse a patti con la nuova situazione. Di conseguenza, il 12 maggio 1994 fu firmato un accordo di cessate il fuoco tra Azerbaigian, Nagorno Karabakh e la Repubblica di Armenia.

Il processo di negoziazione per la risoluzione del conflitto è stato avviato nel 1992, anche prima della firma dell’accordo di cessate il fuoco. Il Gruppo di Minsk dell’OSCE, incaricato dalla comunità internazionale di mediare la risoluzione del conflitto, ha definito la presenza di tre parti in conflitto: Azerbaigian, Nagorno Karabakh e Armenia. Questo fatto è stato ribadito da molti documenti internazionali dei primi anni ’90. In effetti, per molto tempo, il Nagorno Karabakh ha partecipato come parte al processo di negoziazione. All’inizio degli anni ’90 si sono tenuti anche numerosi incontri tra i leader del Nagorno Karabakh e dell’Azerbaigian, nonché i ministri della difesa dell’Azerbaigian, del Nagorno Karabakh e della Repubblica di Armenia.

A proposito, un eminente politico e diplomatico italiano Mario Raffaelli, che ha compiuto molti sforzi per normalizzare la situazione nella regione, era il Presidente della Conferenza di Minsk – il primo ufficiale internazionale incaricato di affrontare il conflitto nei primi anni ’90. Le riunioni del gruppo di Minsk, alle quali tra le altre due parti in conflitto hanno partecipato anche i rappresentanti eletti del Nagorno Karabakh, si sono tenute a Roma, nella capitale d’Italia.

Sfortunatamente, nonostante gli sforzi decennali dei mediatori internazionali, il conflitto del Nagorno Karabakh rimane ancora irrisolto.

Quali sono i motivi alla base di questa situazione?

Innanzitutto, le autorità azere si rifiutano di negoziare con i rappresentanti del Nagorno Karabakh. Sostengono che il Nagorno Karabakh dovrebbe essere considerato una parte indivisibile dell’Azerbaigian. Ma questa è davvero una posizione molto strana. Da un lato, le autorità azere vogliono che il Nagorno Karabakh faccia parte della loro integrità territoriale. D’altra parte, non vogliono dialogare con i rappresentanti del Nagorno Karabakh. Non è un po’ strano?

Cosa significa questa posizione? Ciò significa che le autorità azere in realtà non vogliono negoziare con il popolo del Nagorno Karabakh, solo perché vogliono solo i territori ma non le persone. Per essere più precisi – territori, senza le persone. Significa che sperano di risolvere il conflitto con mezzi militari: occupare il territorio del Nagorno Karabakh, condurre pulizie etniche e sbarazzarsi di entrambi gli armeni e del problema stesso.

La soluzione militare non è esclusa” – questa era una tipica dichiarazione fatta dal presidente Aliyev in molte occasioni. “Ogni volta che possiamo risolvere il problema con mezzi militari“, è stata la dichiarazione rilasciata dal presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev nel gennaio 2017, durante la riunione del governo che parlava dello sviluppo economico del paese. “Aumenteremo il nostro potere militare e credo che sia uno dei fattori più importanti per i negoziati“. Questa è stata la dichiarazione rilasciata dal presidente Aliyev il 5 novembre 2018. In un’altra occasione, il 17 dicembre 2018, ha detto questo, cito, “… le nostre forze militari e il nostro potere sono i fattori chiave tra tutti i fattori per la risoluzione sul conflitto del Nagorno-Karabakh ”, fine della citazione.

In effetti, ci sono molte ragioni per credere che le autorità azere stiano preparando la loro società a una guerra. Questo è il motivo per cui stanno infiammando sentimenti anti-armeni tra la loro gente. Questo è il motivo per cui stanno spendendo enormi risorse in armamenti. Questo è il motivo per cui il discorso sull’odio anti-armeno è diventato in realtà una politica ufficiale in Azerbaigian. Questo è il motivo per cui l’armenofobia è diventata una politica statale in Azerbaigian.

Porterò alcuni esempi concreti di tale politica in azione.

Ogni straniero che visita il Nagorno Karabakh è nella lista nera dell’Azerbaigian. Questo elenco comprende già più di 850 persone. I cittadini di qualsiasi paese che hanno un cognome armeno o sospettati di avere un’origine etnica armena non possono entrare in Azerbaigian. Questo è stato il caso di una giornalista di Bloomberg della cittadinanza americana Diana Markosyan che è stata bandita per entrare in Azerbaigian nel 2011.

Nel 2014 questo è stato il caso di un musicista di orchestra turca, Rafer Noyan, che aveva un cognome simile ad un armeno. Nel 2016 è successo con una bambina di otto anni Luka Vardanian e nel 2018 con una pensionata di ottant’anni dalla Russia Olga Barseghian.

Nel 2017, una donna di origine armena con il suo bambino di 4 anni è stata trattenuta nell’aeroporto di Baku per tre ore e poi deportata. Questo elenco può essere continuato.

Ma probabilmente il caso più noto è accaduto con il giocatore dell’Arsenal Henrikh Mkhitaryan, che ha perso la partita finale della Lega Europea a Baku, capitale dell’Azerbaigian, pochi mesi fa. Le autorità azere hanno addirittura vietato le magliette con il nome di Mkhitaryan. E le persone che li indossavano sono state fermate dalla polizia nelle strade di Baku.

Questa politica a volte ha anche manifestazioni ridicole. Solo pochi giorni fa, un autista è stato arrestato a Baku solo per aver ascoltato una canzone pop armena.

Ma il caso più tragico e cinico è stato quello con Ramil Safarov che ha ucciso con un’ascia il suo compagno di classe armeno di un seminario NATO a Budapest. Safarov ha ucciso il suo compagno di classe armeno mentre dormiva. Safarov è stato condannato all’ergastolo, poi estradato in Azerbaigian dalle autorità ungheresi, salutato come eroe nazionale dell’Azerbaigian, graziato dal presidente Ilham Aliyev e rilasciato, promosso in rango militare e dotato di un appartamento.

Nonostante tutte queste circostanze, nonostante la politica anti-armena delle autorità azere, l’Armenia sta compiendo passi concreti per trovare una soluzione reciprocamente accettabile al conflitto. A tal fine, circa un anno fa ho dichiarato pubblicamente che qualsiasi soluzione al conflitto del Nagorno Karabakh deve essere accettabile per il popolo dell’Armenia, del Nagorno Karabakh e del popolo dell’Azerbaigian.

Sono stato il primo leader armeno a dare voce a tale posizione. Sono stato fortemente criticato nel mio Paese per una formula del genere che pone le tre parti in conflitto su un piano di parità. Tuttavia, credo fermamente che questo sia l’unico modo per una soluzione pacifica e duratura del conflitto, perché offre una possibilità di compromesso, rispetto reciproco ed equilibrio.

Per andare avanti, mi aspettavo una dichiarazione simile dall’Azerbaigian. Se dovessimo ascoltare una simile dichiarazione del presidente Aliyev, questa sarebbe una vera svolta nel processo di negoziazione.

Tuttavia, le più alte autorità dell’Azerbaigian rimangono nella loro posizione, il che mira a una soluzione del conflitto accettabile solo per il popolo dell’Azerbaigian. Mi dà un ulteriore motivo per credere che l’Azerbaigian stia nutrendo speranze di risolvere il conflitto con mezzi militari e non vuole trovare una soluzione al tavolo dei negoziati.

Tuttavia, le autorità azere dovrebbero comprendere che non esistono alternative ai colloqui di pace e alla soluzione pacifica del problema.

Prima di tutto, è assolutamente inutile parlare con Artsakh, con Nagorno Karabakh e Armenia in una lingua di minaccia. È un percorso verso il nulla. L’Azerbaijan una volta ha cercato di parlare la lingua della forza violenta con il popolo del Nagorno Karabakh e ha affrontato gravi conseguenze nonostante la sua enorme superiorità sul Nagorno Karabakh in termini sia di popolazione che di armamento. I tentativi di vendicare questo fallimento militare non porteranno a nulla di buono.

Un’escalation militare nella nostra regione avrà conseguenze disastrose anche con un impatto globale. Apparentemente, l’Azerbaigian, essendo impegnato in ostilità, potrebbe fornire un terreno fertile per quei terroristi che hanno perso terreno in Siria e Iraq e ora sono alla ricerca di nuovi territori per avviare le loro operazioni. Geograficamente, l’Azerbaigian potrebbe diventare una base perfetta per loro di penetrare in tutte e quattro le direzioni verso sud, nord, est e ovest.

Il Nagorno Karabakh è una questione molto complicata e dolorosa per i popoli della regione. È impossibile risolverlo senza un lavoro duro e coerente, senza compromessi, rispetto reciproco ed equilibrio. Ma se ci assumiamo la responsabilità per il futuro dei nostri popoli, dobbiamo compiere sforzi per realizzare cambiamenti reali. Intendo il governo dell’Azerbaigian, il governo del Nagorno Karabakh e il governo dell’Armenia.

Siamo sinceri nella nostra aspirazione alla pace nella regione e siamo aperti a un dialogo per raggiungere una soluzione al conflitto, che sarà accettabile per i popoli dell’Armenia, del Nagorno Karabakh e dell’Azerbaigian. Questo è il nostro approccio e siamo pronti a negoziare sulla base di questo nuovo paradigma.

Concludendo il mio discorso, vorrei dirvi che prima di venire da voi ho visitato il sito web dell’istituto e uno dei titoli delle discussioni che ho trovato ha attirato la mia attenzione. Si legge come segue: «L’inchiostro è meglio del sangue». C’era abbastanza sangue in questo conflitto. Abbiamo bisogno di inchiostro e mani ferme per metter fine a questo e per portare la pace ai popoli della nostra regione.