Dopo mesi di relativa calma si rialza la tensione lungo la linea di contatto tra Artsakh (Nagorno Karabakh) e Azerbaigian. E gli azeri lasciano un caduto nella terra di nessuno.

L’Esercito di Difesa dell’Artsakh ha infatti respinto un tentativo di penetrazione in territorio armeno di soldati azeri. Ne dà notizia il ministero della Difesa che indica in un punto non precisato del settore sud orientale il luogo di azione nemica.

Il fatto, peraltro sembrerebbe documentato da telecamere di sorveglianza, è accaduto domenica 22 intorno alle 16,15 ora locale. Le forze azere sono state respinte indietro alle loro postazioni ma hanno lasciato in zona neutrale un caduto.

Il ministero della Difesa dell’Azerbaigian ha respinto le accuse armene circa un tentativo di penetrazione ma ha ammesso la perdita di un soldato, Ramin Abdulrahmanov. Questi si troverebbe in effetti nella terra di nessuno tra le opposte postazioni difensive al punto che gli azeri avrebbero chiesto l’intervento della Croce Rossa Internazionale per rimuovere il corpo. Nei suoi comunicati ufficiali Baku non ha fornito alcuna spiegazione riguardo la presenza del soldato in quella porzione di territorio neutrale.

Si tratta del primo grave episodio di violazione del regime di cessate-il-fuoco dopo mesi di relativa calma. Per la cronaca, nella giornata di lunedì 23 a New York, a margine dei lavori della Sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, si incontrano i ministri degli Affari esteri di Armenia e Azerbaigian.



Un rapporto nazionale volontario della Repubblica di Artsakh (Repubblica del Nagorno Karabakh) sull’attuazione degli Obiettivi di sviluppo sostenibile stabiliti nell’agenda delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile del 2030 è stato diffuso nell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) come documento ufficiale .

Il rapporto presenta la politica generale delle autorità di Artsakh riguardo alla costruzione di un Paese democratico e della garanzia dello sviluppo economico, sociale e culturale in virtù del diritto all’autodeterminazione del suo popolo.

Fornisce informazioni sui progressi compiuti nell’attuazione di obiettivi specifici nel campo dello sviluppo sostenibile, che sono stati raggiunti nonostante le gravi sfide alla sicurezza e le minacce all’esistenza fisica della sua popolazione proveniente dall’Azerbaigian.

Il rapporto nazionale è stato preparato su iniziativa del ministero degli Affari esteri della Repubblica di Artsakh e approvato dal Consiglio nazionale per lo sviluppo sostenibile di Artsakh.

La sua diffusione ufficiale in ambito delle Nazioni Unite (che ha provocato l’inevitabile forte protesta delle autorità dell’Azerbaigian) rappresenta un passaggio politico molto importante per l’Artsakh.

973 culle si sono riempite in Artsakh nei primi sei mesi dell’anno. Bilancio demografico positivo se si considera che nello stesso periodo i decessi sono stati 573 con un saldo di natalità di 400 nuovi cittadini della repubblica.

Il che significa che in proiezione annua la popolazione del Nagorno Karabakh dovrebbe aumentare di oltre 800 unità.

Piccoli Stati crescono… Anche se, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, i dati mostrano una leggera flessione: sono nati 146 bambini in meno (-13%) ma sono anche morte 82 persone in meno (-12,5%) con una crescita naturale (il saldo vivi/morti) che è diminuito di 64 unità (13,8%) pur rimanendo, come abbiamo visto, ampiamente positivo.

Nei primi sei mesi del 2019 ci sono stati 12 parti gemellari rispetto ai 24 dell’anno scorso, l’età media delle madri è stata di 27,8 anni con le primipare a 24,8 anni; tradotto, ci si pensa bene prima di fare un figlio.

La casistica dei nomi più gettonati vede per le femminucce vincere Maria, seguita da Mariam, Nare, Anna e Mari; le culle dei maschietti hanno visto invece prevalere David e poi Tigran, Gor, Mark e Arthur.

Detto dei vivi, parliamo purtroppo dei morti. Tra le cause di decesso, diminuiscono le malattie all’apparato circolatorio ma aumentano leggermente le neoplasie e le malattie respiratorie. Aumenta lievemente la percentuale di decessi sotto i 70 anni rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Ma, per fortuna, si tratta di numeri modesti, per cui bastano un paio di casi per modificare le statistiche.

L’importante è che l’Artsakh abbia una crescita demografica sana e costante, che si consolidi come Stato garantendo ai propri cittadini le migliori condizioni possibili anche da un punto di vista sanitario. Sotto questo aspetto il welfare e l’assistenza sanitaria sono enormemente migliorati negli ultimi anni e fanno ben sperare per il futuro.

Si sono aperti con una solenne e coreografica cerimonia inaugurale i giochi estivi pan-armeni giunti alla loro settima edizione.

Per la prima volta le competizioni – che vedono impegnati 5244 atleti provenienti da 35 diversi Paesi del mondo – sono ospitate anche nella repubblica di Artsakh.

Il primo ministro dell’Armenia Nikol Pashinyan ha dichiarato ufficialmente aperti i 7 ° Giochi estivi pan-armeni a Stepanakert.
Nel suo discorso Nikol Pashinyan ha osservato che oggi è una celebrazione nella nostra Patria, perché migliaia di bambini della nostra nazione provenienti da Europa, Asia, Australia, Nord e Sud America si sono riuniti nella roccaforte della dignità armena – l’Artsakh – e ci stiamo godendo la gioia di essere uniti, di stare insieme.

«Ci siamo riuniti in Artsakh per godere e sentire il potere dell’unità, per capire che siamo imbattibili quando stiamo insieme. Ci siamo riuniti per registrare che abbiamo una storia, che abbiamo identità, che abbiamo statalità e volontà di continuare la millenaria marcia trionfante della nostra Nazione per i nuovi millenni. Oggi, migliaia di rappresentanti dei settimi Giochi pan-armeni promuoveranno, rafforzeranno e svilupperanno la volontà e le capacità di vincere della nostra Nazione. Auguro la vittoria in concorrenza leale a tutti i partecipanti ai Giochi pan-armeni. Pertanto, dichiaro aperti i settimi Giochi pan-armeni» ha affermato il Primo Ministro armeno.

Il presidente della Repubblica Artsakh Bako Sahakyan ha tenuto un discorso di benvenuto durante la solenne cerimonia di apertura dei 7 ° Giochi estivi pan-armeni.
La decisione di fare di Artsakh un paese ospitante dei settimi Giochi pan-armeni è stata presa dopo la guerra di quattro giorni del aprile 2016, ha dichiarato il presidente Bako Sahakyan, sottolineando il significato simbolico della mossa.

In un discorso all’apertura dell’evento sportivo a livello nazionale, Sahakyan ha anche descritto la giornata come un momento straordinario in termini di unificazione dei connazionali nella patria ancestrale.
«Stepanakert ospita numerosi atleti e allenatori, fan e solo persone che amano gli sport da Madre Armenia, Artsakh e Diaspora. Non abbiamo ospiti qui; tutti sono a casa, nel loro focolare ancestrale. Benvenuti in Artsakh!
Il popolo armeno ha un atteggiamento enfatizzato verso lo sport. Nell’antichità, in Armenia si svolgevano partite a livello nazionale e atleti armeni partecipavano a vari tornei sportivi, tra cui i giochi olimpici antichi, come riportano i documenti conservati.
Per loro natura, i giochi pan-armeni sono un collegamento importante che collega il nostro passato sportivo, presente e futuro
», ha osservato il Capo dello Stato.
Sahakyan ha affermato di considerare l’idea di condurre i giochi anche nella seconda repubblica armena come una specie di risposta speciale all’aggressione e alla violenza dell’Azerbaigian. «Lo sport unisce forza, forza di volontà, organizzazione e unificazione, allo stesso tempo in netto contrasto con l’odio e l’ostilità. Lo sport non riconosce alcun confine», ha aggiunto il presidente.

L’evento è stato accompagnato da un programma di concerti. La cerimonia si è conclusa con uno spettacolo pirotecnico.

Secondo quanto riportato dal sito web ufficiale del Comitato Nazionale Armeno Americano (ANCA), l’amministrazione Trump sta prendendo di mira il programma di aiuti umanitari in Artsakh, tentando di porre fine ai finanziamenti statunitensi per il programma di sminamento di HALO Trust che ha salvato innumerevoli vite in tutta la Repubblica.

Due deputati degli Stati Uniti, Brad Sherman (D-CA) e TJ Cox (D-CA), stanno invero conducendo una campagna congressuale per incoraggiare il responsabile di USAID, Mark Green, a invertire tale rotta e a mantenere il programma di sminamento del Nagorno Karabakh. L’amministratore di USAID, Green, ha testimoniato davanti alla Commissione per gli Affari esteri il 9 aprile di quest’anno che USAID era impegnata a completare lo sminamento di mine antiuomo e ordigni inesplosi all’interno dei confini tradizionali del Nagorno Karabakh.

«Il presidente Trump ha torto a inchinarsi alla richiesta sconsiderata del dittatore azero Ilham Aliyev affinché l’America metta fine agli aiuti umanitari statunitensi all’Artsakh», ha dichiarato il direttore esecutivo dell’ANCA Aram Hamparian. «Una spesa modesta che rappresenta un investimento importante per la pace, questo è il programma di aiuti dall’anno fiscale 1998, che ha fornito una assolutamente necessaria assistenza sanitaria materna, portato alle famiglie acqua potabile pulita e liberato fattorie e villaggi da mine mortali. Ringraziamo tutti i legislatori statunitensi che stanno cercando di far avanzare gli interessi e i valori americani negli Stati Uniti continuando gli aiuti umanitari statunitensi all’Artsakh di fronte ai tentativi stranieri di intromettersi nel processo decisionale americano».

È evidente come tale politica statunitense nella regione, se confermata, creerebbe squilibri e darebbe un pessimo segnale alle parti coinvolte nel negoziato per la risoluzione del conflitto.

Qualche avvisaglia preoccupante circa i rapporti tra Trump e Aliyev si era invero già avuta in passato; e proprio di recente, il dittatore azero nel corso di un messaggio di felicitazioni al presidente americano in occasione della festa dell’indipendenza del 4 luglio non aveva mancato di dedicare buona parte della lettera al conflitto del Nagorno Karabakh ponendo l’accento sulla “aggressione armena”.

Non sappiamo se i timori sollevati dalla foltissima comunità armena negli Stati Uniti siano confermati o meno; di certo fra un paio d’anni ci sono le elezioni presidenziali USA e …

QUI L’ARTICOLO DELL’EX AMBASCIATORE EVANS RIGUARDO AI RAPPORTI TRA AMMINISTRAZIONE TRUMP E REPUBBLICA DEL NAGORNO KARABAKH

Prendono il via il primo giugno i campionati europei di calcio CONIFA, organismo che raggruppa le selezioni calcistiche di Stati, gruppi etnici e realtà regionali che non sono affiliati alla FIFA o alla UEFA.

Membro della CONIFA (Confederation of Independent Football Associations) è anche l’Artsakh che quest’anno ha l’onore di ospitare i campionati europei che dal primo al 9 giugno vedranno impegnate otto ‘nazionali’ che si contenderanno il titolo negli stadi di Stepanakert, Martakert e Askeran. Gran gala di apertura sabato 1 giugno con un concerto in piazza della Rinascita con artisti armeni e internazionali, poi via agli incontri (su questa pagina gli aggiornamenti del torneo).

Una piccola competizione tra squadre che hanno desiderio di giocare al calcio, superare barriere e divisioni. Un calcio che unisce.

Quale contrasto con la ben più prestigiosa finale di Europa League organizzata in Azerbaigian e caratterizzata dall’ossessione armenofoba delle autorità di Baku. La presenza nelle file dell’Arsenal del centrocampista armeno Henrikh Mkhitaryan ha evidenziato ancora una volta l’odio etnico degli azeri. Il nazionale armeno è rimasto a casa per ragioni di sicurezza, tifosi inglesi con la sua maglietta sono stati fermati dalla solerte polizia azera ed è stato negato il visto di ingresso a tutti coloro che disgraziatamente avevano un cognome con suffisso -ian o -yan (terribilmente simile a quello dei cognomi armeni e quindi da perseguitare con ogni mezzo…).

In Artsakh la coppa CONIFA è occasione per unire gli appassionati di calcio sia pure di piccole realtà; oltre confine, in Azerbaigian, il calcio diviene l’ennesimo strumento di odio contro gli armeni.

E ancora una volta, caso mai non fosse sufficientemente chiaro, si dimostra che mai il popolo armeno del Nagorno Karabakh-Artsakh potrà essere sottomesso al giogo azero.

Non ci resta che seguire le gesta calcistiche della nostra squadra e gridare con forza, anche da quaggiù, FORZA ARTSAKH!

RISULTATI INCONTRI

Prima giornata (2 giugno): ARTSAKH- Lapponia 3-2, Abcasia – Ciamuria 3-1 per il girone A. Per il girone B Padania – Terra dei Siculi 4-0, Armenia Occidentale – Ossezia del sud 1-2

L’intervento del Primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, in occasione dell’anniversario dell’entrata in vigore dell’accordo trilaterale di cessazione delle ostilità nel conflitto del Nagorno Karabakh.

« Il 12 maggio 2019 segna il 25° anniversario dell’entrata in vigore dell’accordo di cessate-il-fuoco in Karabakh. Un documento importante sulla risoluzione del conflitto è stato firmato dal Ministro della Difesa dell’Azerbaigian Mamedrafi Mamedov il 9 maggio 1994, dal Ministro della Difesa armeno Serzh Sargsyan il 10 maggio e dal Comandante dell’esercito di difesa del Nagorno Karabakh Samvel Babayan l’11 maggio.

L’accordo scritto di cessate il fuoco è entrato in vigore a mezzanotte del 12 maggio 1994. Durante questi anni, la parte armena è sempre stata impegnata e continuerà ad aderire all’attuazione di questo importante accordo.

Da allora è trascorso un quarto di secolo, ma sfortunatamente non si è mai trasformato in una pace duratura. Sottolineando l’importanza di preparare i nostri popoli a una soluzione pacifica del conflitto, desidero rimarcare ancora una volta che lo scenario di risoluzione [del conflitto, NdR] dovrebbe essere accettabile per tutte e tre le parti – i popoli di Armenia, Artsakh e Azerbaigian.

Negoziati e risultati oggettivi sono possibili solo se Artsakh è impegnata nel processo che determinerà in definitiva il suo status e fornirà garanzie di sicurezza per le persone che vivono lì.

Siamo convinti che un accordo trilaterale sia la sola base reale su cui costruire una pace e una cooperazione durature.

Vorrei sottolineare che, in qualità di Primo Ministro della Repubblica di Armenia, sono pronto a garantire che l’Armenia continui ad applicare l’accordo di cessate il fuoco e ad adoperarsi per risolvere il problema e raggiungere la pace nella regione e continuare ad essere il garante di sicurezza del Nagorno Karabakh.

La continua osservanza del cessate il fuoco e del dialogo sono probabilmente gli strumenti più importanti per risolvere il problema. È necessario astenersi da passi che possano favorire l’incitamento all’odio, l’intolleranza e le tensioni.

Non c’è nazione al mondo riluttante alla pace; non esiste un genitore che non desideri cieli limpidi e senza nuvole per il suo bambino in piedi sul confine.

Convinti che le popolazioni armena e azera meritino pace e progresso, con la presente esortiamo tutti noi a contribuire a questi obiettivi».

Il 5 maggio 1994, a Bishkek capitale del Kirghizistan, venne firmato l’omonimo accordo di cessate il fuoco a conclusione delle ostilità nel Nagorno Karabakh.

Dopo due anni di guerra, 30.000 morti, almeno 50.000 feriti e centinaia di sfollati, le parti in causa convennero di cessare lo scontro armato.

Non fu un trattato di pace ma solo un patto di cessazione degli scontri (con efficacia a partire dal 12 maggio).

Venticinque anni dopo la repubblica del Nagorno Karabakh, nel frattempo divenuta repubblica di Artsakh attende di poter porre la parola fine alla guerra definita silenziosa, congelata ma che negli ultimi cinque lustri ha mietuto centinaia di vittime e conosciuto momenti di recrudescenza come nell’aprile del 2016 allorché le forze armate azere attaccarono le postazioni di difesa armene tentando in penetrare nel territorio dello Stato.

L’Azerbaigian persevera con una retorica improntata alla militarizzazione dello scontro, continua ad armarsi sempre di più e – nonostante il paziente lavoro diplomatico del Gruppo di Minsk dell’Osce – non sembra aver abbandonato l’idea di una soluzione finale di stampo bellico.

La piccola repubblica armena dell’Artsakh costruisce giorno dopo giorno la propria indipendenza statuale e mai e poi mai potrà essere amministrata da un governo azero.

L’unica soluzione è un riconoscimento formale!

Ci pare altresì doveroso ricordare come l’accordo di Bishkek venne firmato tra gli altri anche da Karen Baburyan, all’epoca presidente del Soviet del Nagorno Karabakh e per tale carica considerato il terzo Presidente della neonata repubblica. Quando oggi gli azeri dichiarano di non voler modificare il format negoziale e di non volere al tavolo delle trattative rappresentanti del governo di Stepanakert, dimenticano che proprio quell’accordo fu firmato da Armenia, Azerbaigian e Nagorno Karabakh.

Nessun cambio di format negoziale dunque! Ma solo la necessità di far decidere del suo futuro il popolo che più di ogni altro è interessato al negoziato.

La repubblica del Nagorno Karabakh (Artsakh) è dal 2018 indipendente dal punto di vista energetico. Lo scorso anno, infatti, sono stati prodotti 388 milioni di KWh a fronte di un consumo di 385 milioni di KWH. Lo ha dichiarato nei giorni scorsi l’ex Primo ministro e Ministro di Stato Arayik Harutyunyan nel corso di una conferenza al dipartimento Tecnologia dell’Università di Shushi.

Si tratta di un risultato molto importante anche dal punto di vista politico e che attesta la validità e il successo del piano di sviluppo energetico varato a sostegno della repubblica.

Basti pensare che tra il 2000 e il 2007 l’Artsakh produceva solo 90 milioni annui di Kilovattora a fronte di un consumo medio intorno ai 200 milioni di KWh. Con l’avvio del programma di sviluppo dell’energia idroelettrica e la costruzione dei primi piccoli impianti la produzione di energia elettrica è andata esponenzialmente crescendo fino a superare lo scorso anno il fabbisogno nazionale.

Per il 2019 si prevede una produzione di 522 milioni di KWh e un consumo di 385 milioni; per il 2023 il programma energetico prevede un ricavo di un miliardo di kilovattora a fronte di un consumo di circa 500 milioni di KWH: in pratica si produrrà il doppio dell’energia effettivamente consumata con un evidente beneficio anche sui conti pubblici dello Stato giacché il surplus potrà essere rivenduto (presumibilmente all’Armenia o via Armenia) e quindi generare ricchezza.

L’Artsakh ha raggiunto dunque il traguardo dell’autosufficienza energetica utilizzando quasi esclusivamente impianti idroelettrici di piccola e media portata ma diffusi capillarmente su tutto il territorio. Niente energia da carbon fossile o da nucleare.

Lo scorso anno inoltre sono state avviate le prime installazioni sperimentali in alcuni villaggi di pannelli fotovoltaici per la produzione di acqua calda.

In un’intervista al quotidiano “Free Artsakh” il ministro degli Affari esteri Masis Mayilian fa il punto sull’attuale situazione dei 400.000 profughi armeni scappati dall’Azerbaigian negli anni del conflitto e abbandonati dalla comunità internazionale.

Signor Mayilian, l’Azerbaigian ha sempre usato la questione dei rifugiati come strumento di pressione politica. Baku continua a esagerare con ostinazione la questione dei territori “occupati” da armeni e  dei “milioni” di rifugiati. Nel corso degli anni ci sono state tendopoli a Imishli e Barda. Quali misure intraprendono le autorità dell’ Artsakh per risolvere il problema dei profughi armeni?

La questione dei rifugiati e degli sfollati interni (IDP) è uno dei problemi chiave nel processo di risoluzione del conflitto in Azerbaigian-Karabakh. Va notato che questo problema si è verificato in conseguenza della politica distruttiva dell’Azerbaigian diretta alla soppressione forzata della realizzazione del diritto all’autodeterminazione da parte della popolazione armena dell’Artsakh. Ciò è molto importante in considerazione sia della responsabilità per la situazione attuale sia della metodologia di risoluzione della questione dei rifugiati e degli sfollati. È ovvio che, in primo luogo, è necessario eliminare l’origine del conflitto e solo dopo questo per iniziare ad eliminare le sue conseguenze.

Le autorità di Artsakh e Azerbaigian hanno approcci radicalmente opposti alla questione dei rifugiati e degli sfollati. Mentre Baku considerava la questione dei rifugiati e degli sfollati principalmente come uno strumento per ottenere dividendi politici o di propaganda, l’Artsakh percepiva il problema dei rifugiati come umanitario e tentava di alleviare la situazione dei rifugiati e degli sfollati durante tutto il conflitto. A differenza dell’Azerbaigian ricco di petrolio, l’Artsakh non ha creato ostentate tendopoli per i rifugiati e non ha politicizzato la questione. L’Artsakh ha aiutato questa categoria di vittime del conflitto con condizioni di vita minime sotto un tetto. Ad oggi, il nostro Stato, senza alcun sostegno internazionale, continua a costruire case per i rifugiati e gli sfollati che sono tornati nei loro ex luoghi di residenza liberati dall’occupazione. In particolare, una delle questioni prioritarie nel programma del Presidente della Repubblica dell’Artsakh Bako Sahakyan per il periodo 2017-2020 sta risolvendo i problemi sociali dei rifugiati armeni dall’Azerbaigian che hanno trovato rifugio in Artsakh.

La questione dei profughi armeni dall’Azerbaigian è costantemente al centro dell’attenzione delle autorità della Repubblica di Artsakh. Inoltre, la protezione dei loro diritti e interessi è sancita nei programmi annuali del governo della Repubblica di Artsakh come una delle direzioni importanti della politica estera della Repubblica.

Ha sottolineato esattamente “senza alcun sostegno internazionale”. I profughi armeni dell’Azerbaigian non hanno uno status internazionale e non beneficiano di alcun programma internazionale, a differenza dei rifugiati azerbaigiani. I diritti dei rifugiati armeni dall’Azerbaigian sono completamente ignorati dalle strutture internazionali. Ciò è motivato a causa dello status non riconosciuto della Repubblica di Artsakh. Ma qual è la differenza per i rifugiati di vivere in un Paese riconosciuto o non riconosciuto? Il fatto è che esistono, e il fatto è che i loro diritti sono stati gravemente violati dall’Azerbaigian: sono stati perseguitati per motivi etnici e religiosi e le loro vite erano a rischio …

Sicuramente, la situazione in cui i profughi e gli sfollati che vivono in Artsakh sono completamente dimenticati dalle organizzazioni internazionali specializzate è estremamente anormale e oltraggiosa. Crediamo che privare queste persone di protezione e supporto internazionali sia una violazione dei loro diritti fondamentali. Abbiamo ripetutamente portato questa posizione all’attenzione dei rappresentanti di organizzazioni internazionali.

Nel recente incontro con il Presidente in carica dell’OSCE, il ministro degli Esteri slovacco Miroslav Lajcak, ho notato che, nel caso dell’Artsakh, l’OSCE non dovrebbe limitarsi unicamente al processo di risoluzione, lasciando la dimensione umana senza un’adeguata attenzione. In particolare, durante la riunione ho sottolineato che il processo di risoluzione del conflitto dell’Azerbaigian-Karabakh dura da oltre 27 anni e questo fatto impone all’OSCE alcuni obblighi giacché, a causa del conflitto instabile e dei tentativi in ​​corso da parte di Baku di isolare l’Artsakh, le persone che vivono nella Repubblica, compresi rifugiati e sfollati interni, sono limitate nell’esercizio dei loro diritti e delle loro libertà fondamentali.

Ultimamente, sono stati compiuti alcuni progressi sulla questione dei rifugiati in Artsakh. Ad esempio, recentemente a Yerevan, il capo dell’Artsakh Union of Armenian Refugees dall’Azerbaigian ha avuto l’opportunità di informare il Presidente in carica dell’OSCE sui problemi di questa categoria di persone. So che questa è la Sua iniziativa. Può raccontarci brevemente l’essenza dell’incontro.

Sarasar Saryan ha informato il Presidente in carica dell’OSCE Miroslav Lajchak sulla situazione dei rifugiati armeni in Artsakh. Ha notato che fino a 30mila rifugiati armeni vivono nella Repubblica di Artsakh, che essi sono privati ​​del sostegno e dell’assistenza internazionale anche a causa della posizione delle autorità dell’Azerbaigian che ostacolano la visita delle organizzazioni internazionali specializzate in Artsakh. Sarasar Saryan ha invitato il Presidente dell’OSCE in carica a visitare l’Artsakh per conoscere immediatamente la situazione dei profughi armeni in Artsakh.

Pensa che cambierà l’approccio delle strutture internazionali alla questione dei profughi armeni dall’Azerbaigian che vivono in Artsakh? Possiamo sperare che i nostri rifugiati acquisiscano uno status internazionale, potranno beneficiare di alcuni programmi umanitari internazionali e così via?

Non credo che ciò accadrà presto, ma il nostro Ministero sta facendo tutto per questo, e una vivida conferma di ciò è stato l’incontro avviato da noi tra il capo dell’Artsakh dell’Unione dei rifugiati armeni dell’Azerbaigian e il presidente dell’Osce in carica. Spero che la voce del rappresentante dei profughi armeni dall’Azerbaigian sia stata ascoltata.  Inoltre, abbiamo stabilito contatti con organizzazioni analoghe dell’Armenia.

Per quanto riguarda il processo di negoziazione sulla soluzione del conflitto Azerbaigian-Karabakh. Sappiamo che il Primo Ministro dell’Armenia Nikol Pashinyan ha proposto di riportare il Nagorno Karabakh al tavolo dei negoziati, che il Presidente dell’Azerbaigian categoricamente respinge o stabilisce le condizioni come quella che in questo caso anche la cosiddetta comunità azera del Nagorno-Karabakh dovrebbe partecipare …

Innanzi tutto, va notato che la questione del ripristino del formato trilaterale dei negoziati è l’indicatore più accurato del grado di preparazione del governo di Baku ai reali progressi nel processo di risoluzione pacifica del conflitto azerbaigiano-karabakhiano. Questa convinzione si basa sul fatto indiscutibile che il formato di negoziazione trilaterale era il più produttivo. Di conseguenza, l’opposizione al ripristino del formato più efficace dei negoziati, riteniamo, significa ritardare artificialmente il processo di risoluzione.

Sembra che le autorità di Baku cerchino di trasformare i negoziati in un processo senza fine, sperando che possa aiutare a rinviare l’inevitabile riconoscimento della Repubblica di Artsakh come Stato indipendente della comunità internazionale. A tal fine, le autorità azerbaigiane cercano di distorcere l’essenza del conflitto in ogni modo possibile e di presentarlo come territoriale o intercomunale. Di fatto, i rifugiati azerbaigiani dell’Artsakh sono diventati uno strumento per l’Azerbaigian per raggiungere i propri obiettivi di politica estera.

Il 16 dicembre 2005, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato i Principi di base e le linee guida sul diritto alla protezione legale e al rimborso delle vittime di gravi violazioni delle norme internazionali sui diritti umani e gravi violazioni del diritto internazionale umanitario.

La questione dei rifugiati e degli sfollati interni non avrà un contenuto specifico fino alla risposta alla domanda principale – sulla responsabilità delle parti di coloro che, a seguito del conflitto, hanno perso il diritto di vivere e svilupparsi liberamente nella loro patria – viene data.

La RSS azerbaigiana, in quanto promotrice dell’esodo forzato di massa dei suoi cittadini armeni, ha chiaramente dimostrato la sua posizione in relazione a questa categoria di persone. Né l’ex repubblica sovietica azera né l’attuale Repubblica azerbaigiana hanno preso provvedimenti per il riconoscimento dei loro obblighi politici e legali nei confronti dei loro ex cittadini o hanno assunto qualsiasi responsabilità morale o finanziaria per le loro azioni. Nessuno degli oltre 400mila profughi armeni dell’Azerbaigian, avendo lasciato questo paese sotto la minaccia diretta della propria vita, ha ricevuto un rimborso per le proprie perdite materiali, patrimoniali e morali.

Secondo i Principi e le linee guida di base sul diritto alla protezione legale e al rimborso delle vittime di gravi violazioni delle norme internazionali sui diritti umani e gravi violazioni del diritto internazionale umanitario, le vittime di tali violazioni dovrebbero ricevere un rimborso completo ed efficace, compresa la restituzione, il risarcimento , riabilitazione, soddisfazione e garanzie di non ripetizione di quanto accaduto. Il rimborso dovrebbe essere fornito per ogni danno economicamente valutabile nei modi prescritti e adeguatamente alla gravità della violazione.

[traduzione redazionale dall’inglese]