Fanno finta di protestare per l’ambiente ma in realtà da oltre tre mesi hanno isolato 120.000 armeni del Nagorno Karabakh (Artsakh). Un’azione politica ovviamente, che nulla ha a che fare con la protezione ambientale.
Ma che, ironia della sorte, sta avendo gravi ripercussioni negative proprio su tale tema.

Infatti, il blocco operato dagli azeri della linea ad alta tensione che porta elettricità dall’Armenia all’Artsakh sta costringendo le autorità di Stepanakert ad attingere risorse dal bacino idrico di Sarsang (capacità 600.000 mc) dove opera la maggiore centrale idroelettrica della regione.

Il livello dell’acqua scende al ritmo di 50 cm al giorno anche perché quando il livello dell’acqua è basso, come sta accadendo in questo periodo, è necessario un maggior consumo in conseguenza della diminuita pressione sulle turbine.

Questa significativa e inarrestabile diminuzione del bacino di Sarsang avrà disastrose conseguenze in primavera perché mancherà l’acqua per irrigare i campi. Non solo quelli armeni dell’Artsakh ma anche e soprattutto quelli in Azerbaigian. I 96.000 ettari di terreno agricolo nelle regioni azerbaigiane di Tartar, Aghdam, Bardi, Goranboy, Yevlakh e Akhjabad rischiano fortemente di rimanere a secco.

Con buona pace dei finti “attivisti per l’ambiente” mandati da Aliyev a lasciare senza cibo, medicine, gas e corrente elettrica un intero popolo.

Chissà se il presidente Sergio Mattarella prima di inviare un messaggio di congratulazioni al Nizami Ganjavi International Center per l’apertura del Global Baku forum (“Posso confermare con grande piacere che ogni anno il lavoro svolto dal vostro Centro è volto a promuovere la cooperazione e il dialogo per una reciproca comprensione e la pace”) avrà dato un’occhiata al report 2023, appena uscito, di “Freedom House” che compara le libertà civili e politiche nel mondo.

Lui (e tutti i politici e giornalisti che trattano l’Azerbaigian come un Paese “normale” o un “partner affidabile”, cit. Von der Leyen) si sarebbero accorti della situazione del Paese che l’istituto colloca tra gli ultimi quindici in una classifica di 190 Stati (compresi quelli non riconosciuti): 2 punti 40 in termini di diritti politici, 7 su 60 per quelli civili per un aggregato di soli 9 punti in una scala di valori che va da 0 a 100 dove 100 rappresenta la massima espressione di libertà.

Nello stesso report al Nagorno Karabakh (Artsakh) viene dato un punteggio di 37 che non è poco considerato che parliamo di una entità in stato quasi permanente di conflitto.
Meglio di Turchia (32), Russia (16), Iran (12). L’Armenia registra 54 e la Georgia 58.

Ora, come potrebbe mai essere tollerabile che una popolazione di 120.000 abitanti, oltretutto odiata e combattuta dalla leadership azera, che vive oggi in condizioni di quasi libertà, possa essere costretta a essere suddita in un regime tra i peggiori al mondo?

Cosa ne pensano certi “difensori dei diritti umani” che anche in Italia non disdegnano mai di partecipare a eventi organizzati dall’ambasciata azera in Italia, per nulla scandalizzati di comparire a fianco dei rappresentanti di un regime tra i peggiori al mondo?

Cosa ne pensano quei giornalisti e politici nostrani che vanno parlando di “integrazione”, di “modello Alto Adige”, di “pace e convivenza” ignorando i diritti di un popolo?

Noi italiani da quale parte vogliamo stare? Tra quelli che difendono i diritti e le libertà a prescindere o tra coloro che ritengono che gli affari energetici siano più importanti di ogni valore?

Chiediamo solidarietà!

GLI ARMENI DEL NAGORNO KARABAKH-ARTSAKH HANNO DIRITTO DI VIVERE LIBERI E IN DEMOCRAZIA NELLA LORO PATRIA!

Introduzione

Nel periodo successivo alla Dichiarazione trilaterale sul cessate il fuoco, firmata dai leader di Armenia, Azerbaigian e Federazione Russa il 9 novembre 2020, la parte azera ha ripetutamente gravemente violato le disposizioni della Dichiarazione, ricorrendo all’escalation militare, interrompendo il normale la vita e l’attività della popolazione civile dell’Artsakh (Nagorno Karabakh), scatenando attacchi fisici e psicologici e violenze contro la popolazione, interrompendo le infrastrutture vitali e i lavori agricoli.

Nel periodo successivo all’istituzione del cessate il fuoco, sono stati registrati più di 150 casi di atti criminali contro il popolo dell’Artsakh (Nagorno Karabakh) da parte delle forze armate azere, a seguito dei quali sono state uccise 21 persone (6 civili, 15 militari), 166 persone sono state sottoposte a tentato omicidio (79 civili, 87 militari), 71 persone (20 civili) sono rimaste ferite e hanno subito violenze fisiche. Gli azeri hanno rubato veicoli, edifici residenziali sono stati esposti al fuoco diretto di diverse armi da fuoco, attrezzature agricole e veicoli sono stati danneggiati o distrutti, bestiame piccolo e grande è stato rubato alla popolazione civile e giardini sono stati dati alle fiamme.

Inoltre, per sopprimere, psicologicamente e fisicamente intimidire la popolazione dell’Artsakh (Nagorno Karabakh), dal 12 dicembre 2022, con il falso pretesto di proteggere l’ambiente, gli agenti del governo azero hanno bloccato la strada Goris-Stepanakert – l’unica arteria che collega l’Artsakh verso l’Armenia e il mondo esterno – che passa attraverso il corridoio di Lachin definito dalla Dichiarazione Trilaterale. Il blocco ha portato a gravi violazioni dei diritti umani fondamentali quali uno standard di vita adeguato, libertà di movimento, diritto all’assistenza sanitaria, all’istruzione e molti altri diritti.

Nelle condizioni di un blocco di 86 giorni [al 7 marzo, NdT], la parte azera ha iniziato a ricorrere regolarmente ad attacchi armati dalla fine di febbraio all’inizio di marzo.

Il 28 febbraio 2023, verso le 16:55, da postazioni di combattimento azere sono stati sparati colpi di fucili di vario calibro contro il 53enne A.Avanesyan del villaggio di Myurishen, regione di Martuni, impegnato in lavori agricoli con un trattore Jonder nella zona denominata “Asfalten tak” del distretto amministrativo del villaggio di Berdashen. Di conseguenza, il lavoro agricolo è stato interrotto.

Il 1° marzo 2023, nell’area chiamata “Davala” del villaggio di Berdashen, la parte azera ha aperto il fuoco con armi leggere contro il 59enne S. Vardanyan della comunità di Berdashen che stava svolgendo lavori agricoli su un trattore bielorusso. Il lavoro agricolo è stato costretto a fermarsi.

Il 5 marzo 2023 la parte azera ha fatto ricorso a un nuovo atto terroristico, in particolare un gruppo di agguato delle forze armate azere ha attraversato la linea di contatto definita dalla Dichiarazione trilaterale delle forze armate dell’Artsakh (Nagorno Karabakh) e dell’Azerbaigian e ha attaccato l’auto della Polizia del Ministero degli Affari Interni della Repubblica dell’Artsakh, che proveniva da Stepanakert lungo una strada a circa 1 km dalla linea di contatto.

Il difensore dei diritti umani della Repubblica dell’Artsakh ha costantemente e coerentemente informato i rappresentanti delle organizzazioni internazionali e della comunità dei diritti umani sui crimini regolarmente commessi dalla parte azera, chiedendo che siano prese le misure necessarie per valutare intenzionalmente la situazione e introdurre meccanismi reali per proteggere la popolazione dell’Artsakh (Nagorno-Karabakh). Tuttavia, nonostante tutti gli allarmi, la situazione rimane tesa, minacciando la vita, la salute, l’integrità fisica e psicologica e i diritti fondamentali di 120.000 persone dell’Artsakh.

Il blocco in corso dell’Azerbaigian, così come i regolari e costanti attacchi armati, mirano a sottoporre l’Artsakh alla pulizia etnica attraverso l’intimidazione fisica e psicologica, creando condizioni insopportabili e distruggendo la popolazione armena indigena dell’Artsakh.

Questo rapporto presenta i fatti e le informazioni raccolte dal personale del Difensore dei diritti umani della Repubblica dell’Artsakh presso le autorità competenti e fonti aperte in merito alle attività terroristiche svolte dal gruppo di agguato delle forze armate azere il 5 marzo 2023. I dettagli dell’incidente sono stati chiariti attraverso un’intervista all’unico sopravvissuto dell’auto, il ferito Davit Ashot Hovsepyan, nonché attraverso l’analisi dei video disponibili.

Fatti raccolti sull’atto terroristico commesso dal gruppo azerbaigiano di agguato il 5 marzo 2023

Il 5 marzo, intorno alle ore 10:00, nell’area “Khaipalu”  che è situata tra le città di Stepanakert e Shushi, un gruppo di agguato di 12-15 militari delle forze armate dell’Azerbaigian ha attraversato la linea di contatto tra l’Artsakh e l’Azerbaigian ed è entrato nel territorio sotto il controllo della repubblica di Artsakh e la responsabilità delle forze di pace russe, ha attaccato un veicolo “UAZ” che trasportava militari del Dipartimento di Polizia passaporti e visti del ministero dell’Interno della repubblica di Artsakh.

Sull’auto erano presenti quattro uomini: il tenente colonello Armen Maiory Babayan, il maggiore Davit Valery Danielyan, il tenente Ararat Telman Gasparyan e il tenente Davit Ashot Hovsepyan.

Armen Babayan era alla guida del veicolo, Davit Hovsepyan era vicino al conducente, gli altri due nel vano posteriore.

Gli ufficiali di polizia hanno lasciato Stepanakert introno alle 9,30 e si sono mossi al luogo del cambio [cambio turno, NdT] nell’area della comunità di Lisagor della regione di Shushi della repubblica di Artsakh dove è collocato il checkpoint (immagine1).

Il movimento del veicolo della Polizia dall’edificio della Polizia del ministero dell’Interno della repubblica di Artsakh per uscire dall’area amministrativa della città di Stepanakert è stato completamente filmato dagli apparati di video sorveglianza.

I fatti raccolti mostrano chiaramente che il veicolo si stava muovendo da Stepanakert, perciò le dichiarazioni della parte azerbaigiana secondo le quali il mezzo stava trasportando armi dalla repubblica di Armenia alla repubblica di Artsakh sono infondate e false. Nell’auto degli ufficiali di polizia c’erano solo documenti ufficiali e le loro armi di ordinanza (immagini 2 e 3).

Dopo circa 30-40 minuti di guida l’equipaggio dell’auto notò delle pietre allineate sulla strada che ostacolavano il transito. Il veicolo si fermò.

Cinque membri del gruppo d’assalto azerbaigiano, vestiti con abbigliamento militare, indossando maschere, armati di mitragliatori, vennero fuori da dietro i massi e puntarono le canne delle armi verso l’auto.

Il conducente del veicolo cercò di girare indietro il mezzo ma allo stesso tempo i cinque membri del gruppo di assalto azerbaigiano che si trovavano di fronte come pure gli altri membri del gruppo di assalto che stavano in attesa sul lato destro e su quello sinistro della strada cominciarono a sparare all’auto. La sparatoria è continuata per circa dieci minuti.

Una comparazione dei fatti disponibili dimostra che l’auto fu colpita dal gruppo dell’agguato con armi da fuoco. L’esame esterno del veicolo chiaramente attesta che centinaia di pallottole furono sparate sull’auto dal gruppo di sabotaggio azerbaigiano (immagine 4).

Dopo aver cessato il fuoco, tre membri del gruppo azerbaigiano si avvicinarono all’auto, presumibilmente lo ispezionarono, sparano un colpo di sicurezza al conducente e al passeggero che sedeva vicino a lui. Comunque, secondo la testimonianza dell’ufficiale che è sopravvissuto, gli azerbaigiani non aprirono le porte del compartimento posteriore del veicolo, presumibilmente non accorgendosi che c’erano passeggeri seduti nei sedili dietro (immagine 5). [Il comparto posteriore del mezzo è separato da quello anteriore, NdT]

Poi, i membri del gruppo di assalto azerbaigiano cominciarono a lasciare la scena del crimine alla volta delle loro basi situate sulla collina dirimpetto.

Durante la ritirata degli azerbaigiani, in conseguenza del fuoco di risposta dell’Esercito di Difesa dell’Artsakh da una postazione di combattimento vicina alla scena, ci furono morti e feriti fra i componenti del gruppo di assalto azerbaigiano.

Circa 30-40 minuti dopo l’attacco terroristico, rappresentanti delle forze di pace russe arrivarono sul luogo. Dopo il loro intervento il fuoco cessò (immagine 7).

Dopo l’intervento della parte russa, gli azerbaigiani hanno continuato a ritirarsi portando con loro i membri morti e feriti del gruppo di assalto azerbaigiano (immagine 8).

I militari russi della forza di pace hanno verificato che le persone sedute nella parte anteriore dell’auto erano già morte, ma A. Gasparyan e D. Hovsepyan che stavano nei sedili posteriori erano ancora vivi e a loro fu dato primo soccorso e furono portati in ospedale.

Come risultato dell’attacco azerbaigiano, il tenente colonnello Armena Babayan e il maggiore Davit Danielyan morirono sul posto, il tenente Ararat Gasparyan morì durante il trasporto in ospedale. Il tenente Davit Hovsepyan ricevette una ferita d’arma da fuoco al torace ed è ricoverato al Centro medico repubblicano [ospedale principale di Stepanakert, NdT]..

Secondo le informazioni ricevute dal Centro medico repubblicano, il poliziotto ferito Davit Hovsepyan è stato sottoposto a intervento chirurgico ed è in un’unità di terapia intensiva sotto controllo dei medici, la sua vita non è in pericolo (immagine 9).

Immagine 1 – Il veicolo è parcheggiato di fronte all’edificio amministrativo del ministero
dell’Interno della repubblica di Artsakh alle ore 9.
Immagine 2 – Il veicolo della polizia lascia Stepanakert. Il gruppo di assalto azerbaigiano
è penetrato dal lato destro della foto.
Immagine 3 – Le posizioni armate azerbaigiane (segnate in blu),
il luogo dell’atto terroristico (in rosso) e il percorso del veicolo (in giallo)
Immagine 4 – Il veicolo della polizia dell’Artsakh colpito
Immagine 5 – Il veicolo viene avvicinato da un membro del gruppo di assalto azerbaigiano
Immagine 6 – Membri del gruppo azerbaigiano si ritirano dopo l’agguato
Immagine 7 – Giungono le forze di pace russe
Immagine 8 – Membri del gruppo azerbaigiano si ritirano portando con loro morti e feriti
Immagine 9 – Il poliziotto ferito Davit Hovsepyan all’ospedale di Stepanakert

Fatti biografici dei poliziotti deceduti e prime analisi forensi

ARMEN MAIORY BABAYAN
Nato il 7 gennaio 1976 a Stepanakert. Negli anni 1993-1996 ha servito nell’Esercito di difesa dell’Artsakh. Laureato in legge alla università “Mesrop Mashtots” di Stepanakert nel 2007. Nel 1999 si è unito all’unità delle forze speciali del ministero dell’Interno della repubblica del Nagorno Karabakh. Nel 2018 è stato nominato Capo della divisione controllo passaporti e visti. Aveva il grado di tenente colonello. Sposato con due figli.

Risultati dei preliminari esami forensi
Durante gli esami preliminari sul corpo  sono state riscontrate le seguenti lesioni:  multiple ferite da pallottole a testa, collo e torace; estensive lesioni cranio-cerebrali, fratture multiple di sei-sette vertebre cerebrali, lesioni alla spina dorsale, frattura dell’omero sinistro, frattura della caviglia sinistra, (…). Riscontrati 18 fori di proiettile in entrata

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DAVIT VALERY DANIELYAN
Nato il 22 agosto 1980 nel villaggio di Azokh, regione di Hadrut, viveva nella città di Stepanakert. Nel 2002 è entrato nella facoltà di economia teorica dell’università dell’Artsakh, si è laureato in legge nel 2008. Dal 2010 ha servito nell’ufficio passaporti e visti della Polizia di Stato. Dal 2019 è diventato viceresponsabile di tale sezione con il grado di maggiore. Sposato con tre figli

Risultati dei preliminari esami forensi
Durante gli esami preliminari sul corpo sono state riscontrate le seguenti lesioni:  multiple ferite da pallottole a testa, cassa toracica, addome; lesioni agli organi interni. Almeno 28 fori di proiettile riscontrati sul corpo.

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ARARAT TELMANI GASPARYAN
Nel 2019 è entrato nel dipartimento Polizia del distretto di Shushi per poi servire, dopo la guerra del 2020, in quello di Askeran. Nel 2022 si è laureato alla “Università tecnica di Shushi”. Sempre nel 2022 è entrato nella divisione della Polizia stradale. Era sposato con un figlio.

Risultati dei preliminari esami forensi
Durante gli esami preliminari sul corpo sono state riscontrate le seguenti lesioni:  multiple ferite da pallottole a faccia, collo, cassa toracica, addome; lesioni agli organi interni. Almeno 13 fori di proiettile riscontrati sul corpo.

Traduzione italiana non ufficiale del rapporto redatto dall’Ufficio del Difensore dei diritti umani della repubblica di Artsakh (Stepanakert, marzo 2023)

Comunicato del ministero degli Affari esteri della repubblica di Artsakh (Nagorno Karabakh) a seguito dell’attacco azero odierno:

”L’infiltrazione del gruppo di sabotaggio azero nel territorio dell’Artsakh e l’attacco agli agenti di polizia dell’Artsakh è un’altra flagrante violazione della Dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020, che indica che la parte azera sta cercando di avviare un’escalation della tensione. In precedenza, il 2 e la notte tra il 2 e il 3 marzo, unità delle forze armate azere di stanza nei territori occupati delle regioni Askeran, Martakert e Martuni della Repubblica dell’Artsakh avevano violato anche il cessate il fuoco stabilito dalla Dichiarazione Trilaterale del 9 novembre 2020.

Il 5 marzo, verso le 10:00, un gruppo di sabotaggio delle forze armate azere ha attraversato la linea di contatto e ha attaccato un veicolo del dipartimento passaporti e visti della polizia della Repubblica dell’Artsakh. A seguito di questo attacco, tre agenti di polizia disarmati sono stati uccisi e un altro è rimasto ferito. Un’analisi preliminare delle circostanze dell’uccisione di agenti di polizia consente di considerare le azioni della parte azera come un crimine di guerra.

Va notato che questi attacchi sono stati effettuati immediatamente dopo i colloqui sullo sblocco del corridoio Lachin tenutisi il 1° marzo tra rappresentanti dell’Artsakh e dell’Azerbaigian. Attraverso le sue azioni, Baku dimostra apertamente il suo rifiuto dei negoziati come mezzo per trovare soluzioni a qualsiasi problema.

Sullo sfondo del blocco di oltre 80 giorni dell’Artsakh, volto a creare deliberatamente condizioni di vita insopportabili per la sua popolazione, una grave escalation della situazione, con conseguenti vittime, dimostra ancora una volta i veri obiettivi dell’Azerbaigian e la sua intenzione di completare il pulizia etnica dell’Artsakh. Apparentemente, la mancanza di misure adeguate da parte della comunità internazionale volte a fermare gli atti illeciti a livello internazionale dell’Azerbaigian è stata percepita dalle autorità di questo paese come una carta bianca per commettere nuove atrocità.

Chiediamo ancora una volta alla comunità internazionale nel suo insieme e alle parti coinvolte nella risoluzione del conflitto Azerbaigian-Karabakh in particolare di riconsiderare i loro approcci e adottare misure efficaci ai sensi del diritto internazionale per fermare la politica terroristica e genocida dell’Azerbaigian”

ATTACCO AZERO, TRE POLIZIOTTI ARMENI UCCISI

Gli azeri tornano a uccidere. Lo hanno fatto questa mattina colpendo un pulmino con a bordo quattro agenti della polizia doganale, uccidendone tre e ferendo il quarto.

Il piccolo veicolo percorreva una strada sterrata, in territorio della repubblica di Artsakh, sul fianco opposto della vallata dove corre la strada del corridoio di Lachin che è bloccata dal 12 dicembre scorso dall’Azerbaigian con il conseguente isolamento di 120.000 armeni della regione che non possono entrare o uscire dal Nagorno Karabakh.

Aliyev ha lanciato quindi un chiaro segnale: nessun percorso alternativo, neppure su una stretta strada sterrata di montagna, può essere utilizzato. Alla faccia della propaganda di regime che sostiene che non vi sia alcun blocco nel collegamento.

I soldati hanno invaso il corridoio di Lachin (che teoricamente dovrebbe essere sotto controllo delle sole forze di pace russe), sono entrati in Artsakh e hanno colpito il veicolo che lentamente procedeva verso un posto di controllo di frontiera. Il mezzo è stato crivellato di colpi.

Il ministero della Difesa dell’Azerbaigian si è immediatamente affrettato a spargere fake news sull’accaduto sostenendo che il mezzo trasportava armi e non si è fermato al loro alt. Le foto del piccolo veicolo smentiscono, non ne avevamo dubbi, la versione azera e confermano la tesi dell’agguato. Lo hanno osservato da lontano mentre percorreva lo sterrato, sono scesi rapidamente verso la strada e lo hanno selvaggiamente colpito. Il video, ripreso da telecamere di sorveglianza oppure da altre postazioni di controllo, mostra chiaramente la dinamica di quanto accaduto.

Nelle stesse ore si registrano nuove violazioni azere del cessate il fuoco nella regione di Martuni con una cinquantina di agricoltori armeni che sono stati costretti ad abbandonare il lavoro nei campi perchè presi di mira dal fuoco dei soldati nemici.

Questo “tiro al contadino”, cominciato da qualche giorno, non è casuale: con il blocco della strada (che continua nonostanbte la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia) gli azeri vogliono impedire agli armeni di coltivare nei campi proprio nel periodo post invernale quando ricominciano le attività agricole. Ennesimo segnale che l’Azerbaigian non vuole la pace ma solo la pulizia etnica della regione.

IL COMUNICATO DEL MINISTERO DEGLI ESTERI DELL’ARTSAKH

Da alcuni anni la diplomazia azera è particolarmente attiva nella sua propanda su Khojaly. Come abbiamo già evidenziato (LEGGI QUI) la grancassa mediatica (alla quale si prestano anche italici servi sciocchi o marchettari di basso lignaggio…) è servita e serve solo a coprire l’orrore del pogrom anti armeno di Sumgait.

I pogrom di armeni a Sumgait nel febbraio del 1988 hanno il dubbio onore di essere stati la prima pulizia etnica attuata in quello che era ancora spazio sovietico.

A una serie di dimostrazioni pacifiche di armeni che desideravano decidere le loro proprie vite, il proprio futuro, non nell’ambito della giurisdizione dell’Azerbaigian, il governo azero rispose con la violenza e la repressione

L’esempio più violento e più manifestatamente politico di questa risposta sono proprio i massacri che ebbero luogo per tre giorni nel febbraio del 1988 nella città di Sumgait, a molti chilometri di distanza dal territorio del Nagorno Karabakh.
La violenza contro gli armeni a Sumgait ha invero cambiato la natura del conflitto del Karabakh militarizzandolo.

Non c’era alcun rifugiato ed alcuna questione territoriale quando il popolo del Nagorno Karabakh intraprese tutte le necessarie azioni legali al fine di optare per l’auto-determinazione in conformità con la legislazione del tempo. La risposta fu un’aggressione militare. E’ molto significativo che un governo sovrano abbia risposto ad azioni democratiche dei propri cittadini con l’uso delle armi. Inoltre, la violenta risposta militare non fu nemmeno diretta contro la popolazione del Nagorno Karabakh, (almeno in un primo momento), ma contro gli armeni di Baku e Sumgait, chilometri lontano dal territorio e dalla popolazione del Nagorno Karabakh.

I massacri di armeni a Sumgait (una città situata a mezz’ora di auto dalla capitale dell’Azerbaigian, Baku) si svolsero in pieno giorno, testimoniati da numerosi attoniti passanti. Il picco delle atrocità commesse da azeri fu raggiunto il 27-29 febbraio 1988. Gli eventi furono preceduti da una ondata di dichiarazioni anti-armene e manifestazioni che attraversarono l’intero’Azerbaigian nel febbraio del 1988.

Il quotidiano “Izvestia Daily” (20 agosto 1988) cita il vice procuratore sovietico Katusev che ha detto che quasi tutta l’area di Sumgait, una città con popolazione di 250.000 abitanti, era diventato un luogo di libero pogrom di massa. Gli autori materiali che fecero irruzione nelle case degli armeni erano stati aiutati da liste preparate con i nomi dei residenti. Erano armati con sbarre di ferro, pietre, asce, coltelli, bottiglie e taniche piene di benzina. Secondo testimoni, alcuni appartamenti sono stati perquisiti da gruppi da 50 a 80 persone. Simili folle (fino a 100 persone) hanno preso d’assalto le strade.

Ci furono dozzine di incidenti e 53 assassinati – la maggior parte di quelli bruciati vivi dopo essere stato aggrediti e torturati. Centinaia di persone innocenti furono ferite e rese invalide. Molte donne, tra le ragazze adolescenti, furono violentate. Più di duecento appartamenti furono perquisiti, decine di auto bruciate, numerosi negozi e botteghe saccheggiate. I manifestanti scagliarono mobili, frigoriferi, televisori, letti dai balconi e poi li bruciarono. Il risultato diretto e indiretto di questi orrori furono decine di migliaia di profughi.

Queste furono le perdite umane. Politicamente, è stato più orribile e significativo che né la polizia né gli addetti alla pubblica emergenza interferirono. Il testimone S. Guliev descrisse gli eventi: “La polizia ha lasciato la città in balia della folla. Non era in nessun posto. Non ho visto alcun poliziotto in giro...” 
In tribunale, il testimone Arsen Arakelian raccontò la malizia dei medici dell’ambulanza che non vennero per aiutare la madre sofferente di una commozione cerebrale, con le ossa rotte, emorragie e bruciature, né lasciarono che venisse portata in ospedale.

L’esercito arrivò a Sumgait il 29 febbraio. Tuttavia, si è limitò a fare scudo contro i manifestanti che devastavano e lanciavano pietre contro i soldati e fece poco per proteggere gli Armeni.”Noi non abbiamo istruzioni per andare dentro”, fu ‘risposta dei soldati alle richieste di aiuto delle vittime, secondo la testimonianza di S. Guliev.

Quanto accaduto a Sumgait (e poi a Baku e Kirovabad) fa parte della storia e non può essere negato. Il regime azero cerca però di nascondere questo crimine e, negli anni, ma in particolare negli ultimi, ha montato controstorie che, grazie a generose prebende, riescono ad avere anche una qualche risonanza mediatica.

Ma l’orrore del febbraio 1988 non potrà certamente essere dimenticato!

PER SAPERNE DI PIU’:

S. Shahmuradian, “La tragedia di Sumgait” (Guerini e associti)

Sito in lingua italiana sul massacro di Sumgait

Ruben Vardanyan, che è stato dismesso oggi dalla carica di ministro di Stato dell’Artsakh, ha rilasciato una lunga lettera aperta nella quale parla, appassionatamente, dei 112 giorni del suo mandato. Con riconoscenza per l’incarico ricevuto quattro mesi fa, con grande amore per la patria ma anche con qualche stilettata per comportamenti che non giudica consoni alle circostanze in cui versa l’Artsakh a causa del blocco azero. Ecco il testo del suo intervento:

“Lavorerò qui, starò al tuo fianco. Grazie, signor Presidente, per tutto. Anche se abbiamo delle contraddizioni nei diversi approcci, l’idea generale è che abbiamo “linee rosse” che nessuno dovrebbe oltrepassare. Queste linee rosse sono molto importanti per la nostra dignità, al fine di mantenere Artsakh armeno, indipendente e dignitoso. Sono fiducioso che insieme supereremo questa strada”, ha detto.

Prima di tutto, vi ringrazio per il modo in cui siamo passati insieme e per la fiducia che il signor Presidente ha riposto in me. È stata una grande esperienza per me.

Sai che vengo in Artsakh da decenni, avevo ottimi contatti, ma all’inizio di settembre ho dichiarato di essere venuto perché sentivo che ci trovavamo sull’orlo di un precipizio, non pienamente consapevoli della situazione.

Per me era Sardarapat [battaglia fondamentale per la stessa esistenza del popolo armeno dopo il genocidio, NdR]

Quando dico Sardarapat, capisco la crisi, un’agenda diversa, e mi percepisco come un soldato che fa tutto il necessario per salvare la nostra patria. Quindi, quando ho ricevuto questo invito, è stato inaspettato per me, perché mi ero dato la mia parola che non sarei entrato nel governo, ma ho capito che se sono un uomo di parola, andando a difendere la mia patria, non posso non essere “voglio, non voglio, posso, non posso”. Se deve essere fatto, allora deve essere fatto.

È stata, ovviamente, una decisione difficile per me.

D’altra parte è stato facile, perché ho deciso da solo che ero qui, sarei rimasto, non sarei andato da nessuna parte, e se fossi stato necessario in questa direzione, allora avrei lavorato in questa direzione, se potessi essere utile in patria in un’altra direzione, lavorerei in un’altra direzione.

Da questo punto di vista, potrebbe essere più facile per me sia accettare la posizione sia rinunciarvi. Siamo in guerra e abbiamo dovuto lottare in quella direzione, spero che la mia lotta ci abbia in qualche modo aiutato a superare insieme queste difficoltà.

Devo rispondere ad alcuni punti di discussione.

Primo, perché non mi sono dimesso. Voglio essere chiaro: pensavo di essere un soldato, non posso dimettermi. Se necessario, il Comandante in Capo Supremo dovrebbe sollevarmi dal mio incarico.

In secondo luogo, sono sicuro che abbiamo svolto un lavoro molto importante in un periodo molto difficile, e voglio ringraziare tutte le persone che hanno lavorato in questa difficile crisi, dalle 7 del mattino alle 2 di notte, senza luce e gas, dimostrando che, come squadra, sono pronti a tutto. È stata un’esperienza molto importante per me, per la quale sono molto grato.

Terzo, c’era davvero molta pressione dall’esterno. Il signor Presidente ha più informazioni e comprende la situazione. Ma abbiamo un mondo esterno e un mondo interno. Mi è sembrato che la pressione dall’esterno non ci aiuti internamente ad avere una situazione tale da farci sentire in grado di combattere più duramente quella pressione. Ho presentato al signor Presidente il lavoro del Governo in 110 giorni, e sono pronto a presentarlo al pubblico in modo più dettagliato.

Per fare il lavoro, devi prima redigere un piano, avere uno schizzo, gettare le fondamenta, costruire i muri interni. Abbiamo compiuto passi in varie direzioni, che, ovviamente, in condizioni di crisi erano difficili, ma siamo felici di trasmettere i risultati del lavoro svolto al signor Nersisyan e speriamo che continui a lavorare su queste direzioni.

So che c’è una certa pressione su di me per rimanere in Artsakh, ma vorrei sottolineare che non solo non me ne andrò, ma non riesco a immaginarmi fuori dall’Artsakh. Sono felice di continuare il lavoro che ho fatto prima. La nostra fondazione, l’agenzia “We Are Our Mountains” ha già realizzato molti progetti. Vorrei dire che è stato un esempio molto importante di cooperazione tra Stato e settore privato, Armenia, Diaspora e ONG armene e non armene. Penso che sia molto importante perché se parliamo di futuro, è molto importante che questa cooperazione continui.

Continueremo i nostri sforzi e faremo un ottimo lavoro affinché quanti più armeni possibile vengano in Artsakh, in modo che non solo gli armeni in Artsakh non si sentano soli, ma anche coloro che hanno lasciato l’Artsakh in tempi diversi, durante questa crisi, tornino e rafforzare ancora di più la nostra Patria.

Come ho già accennato, abbiamo problemi finanziari e gestionali, oltre al problema della preparazione al prossimo inverno. Durante questo periodo abbiamo acquisito molta esperienza, abbiamo compreso le nostre carenze e abbiamo registrato le carenze in quali aree di lavoro sono state svolte. È molto importante trarre insegnamenti da tutto ciò e fare di tutto affinché queste carenze non si ripetano né in termini di cibo, né di carburante, né in termini di altri problemi. Abbiamo un’idea molto migliore della situazione ora rispetto a prima del blocco.

Più importante delle questioni finanziarie, gestionali e di altro tipo era il fatto che l’Azerbaigian, che sperava di metterci in ginocchio, di spezzarci, si sbagliava crudelmente. L’Azerbaigian ha visto che siamo diventati più uniti

E anche l’indifferenza è scomparsa. In effetti, è stato molto incoraggiante sentire persone in diverse comunità dire: siamo pronti a resistere senza gas e luce, solo non tradirci e continuiamo a combattere.

In effetti, la tua responsabilità di presidente, che è stato eletto quattro mesi prima della guerra, è molto pesante, ti trovi in una posizione molto difficile, avendo portato questo fardello per così tanto tempo.

Dico con sicurezza che per avere successo, l’approccio deve essere sistemico. Se non costruiamo un sistema, se non mettiamo in atto meccanismi trasparenti e coerenti, è molto difficile raggiungere il successo.

L’argomento della discussione è anche che nessun individuo è più importante della nostra patria.

Anche la fiducia è molto importante; Spero che la nostra parola, infatti, non abbia perso il suo valore. Ho rivisto i suoi discorsi prima della guerra: erano discorsi molto brillanti, profondi, signor Presidente. Sono sicuro che ti rifarai alle tue parole anche adesso. Vorrei solo che trasformassi le tue parole in fatti. È molto importante che le persone non perdano la fiducia in queste parole.

Mi dispiace, ma a volte non possiamo davvero dire quello che vogliamo dire, o dobbiamo ricorrere alle allegorie. Tuttavia, le persone devono credere alle nostre parole e alle nostre azioni.

Come qualcuno che non ha lavorato nel sistema governativo fino a questi 112 giorni, mi sono reso conto che la maggioranza in Artsakh sono dipendenti pubblici dedicati. In ogni caso, le sfide esistenti non possono essere superate solo dagli sforzi del governo.

I problemi che abbiamo nelle sfere finanziaria, della sicurezza e dell’identità richiedono una cooperazione molto seria; quindi, spero che ne capiremo l’importanza quando cercheremo di utilizzare il potenziale della diaspora.

Il campo politico ha le sue leggi ed è possibile che se non fossimo in un blocco, guarderemmo tutto questo in modo diverso.

La cosa più difficile per me è che non sono riuscito a dimostrare e spiegare due cose: che questa non è una situazione normale e che la crisi ha le sue leggi. Questa è stata probabilmente una delle mie più grandi omissioni.

L’altra difficoltà è stata che non sono riuscito a spiegare che la lotta significa che dobbiamo capire ogni giorno quali sono i nostri punti deboli e i nostri punti di forza, come dobbiamo rafforzare la nostra posizione, come dobbiamo essere in grado di utilizzare le nostre risorse limitate.

La nostra lotta è sia nell’economia che nel campo dell’informazione. Questi 112 giorni hanno portato cambiamenti, che inevitabilmente hanno mostrato una nuova situazione, un nuovo Artsakh.

Da una parte eravamo tutti sulla stessa barca, e quella barca ci univa tutti. Ma d’altra parte, abbiamo visto gli esempi inaccettabili di cui parlavo, che alcune persone non hanno questa comprensione dell’inaccettabile, quando, per esempio, in una situazione di crisi mandi frutta e verdura a funzionari di alto rango, essendo un tu stesso funzionario di alto rango… La questione non è che sia un male. Il problema è che di quelle poche decine di persone, solo poche persone lo hanno rispedito indietro, trovando il fenomeno in sé inaccettabile. Mi dispiace che portare ananas o rose durante un blocco sia considerato normale, ma ovviamente so che il numero di queste persone è piccolo. Non è quello che hanno fatto che mi preoccupa molto di più, è quello che pensiamo sia normale. In secondo luogo, non esisteva alcun meccanismo per punire. Il signor Nersisian e io abbiamo discusso ampiamente di questo problema: cosa dovrebbe essere punito in questa situazione e cosa no.

Il mio approccio può essere stato molto duro, ma non me ne pento. Di recente ho letto il libro di Nzhdeh: è stato interessante vedere che 100 anni fa Nzhdeh scriveva della stessa cosa. Vorrei leggere un piccolo estratto dalle sue memorie: “Il destino degli armeni sarebbe stato diverso se i loro capi, invece di divorarsi a vicenda, avessero dichiarato guerra alle loro mancanze”. Io stesso so che non ero un leader perfetto, ho commesso degli errori, ma ero sincero, ero un patriota, pretendevo di più da me stesso che dagli altri.

Signor Presidente, voglio dire che siamo felici qui perché abbiamo una nazione fantastica. Questa nazione ha dimostrato di poter sopportare qualsiasi cosa, è pronta a combattere, pronta a seguirci ed è davvero un grande onore che io abbia avuto l’opportunità e comunicando con queste persone ho capito quanto sono forti gli Artsakhi, ho capito la differenza tra gli artsakiani e gli armeni che vivono in altri luoghi. Questo è molto stimolante.

Sono fiducioso che possiamo superare la strategia del “salame” applicata dall’Azerbaigian, che è molto pericolosa. Sono sicuro che non solo una persona, o il Consiglio di sicurezza, o poche centinaia di persone dovrebbero avere il diritto di scegliere la strada, ma l’intero popolo dovrebbe prendere una decisione molto dura e responsabile, di cui abbiamo parlato prima del blocco, durante il blocco e durante la manifestazione.

Siamo tutti esseri umani che hanno i nostri difetti. Spero che se avrò offeso qualcuno senza rendermene conto sarò perdonato, se non ho fatto qualcosa o fatto qualcosa sono pronto ad ascoltare sia le critiche che i consigli, perché ho sempre imparato dagli altri”.

[Traduzione e grassetto redazionali]

Doppia sconfitta per l’Azerbaigian davanti alla Corte Internazionale di Giustizia (Tribunale internazionale dell’Aja, organo giudiziario delle Nazioni unite) che ha accolto il ricorso dell’Armenia e respinto quello di Baku contro Yerevan.

Nella prima sentenza, i giudici (tredici e due) hanno statuito che l’Azerbaigian adotti tutte le misure in suo possesso per consentire la libera circolazione di uomini e merci lungo la strada del corridoio di Lachin che gli azeri bloccano dallo scorso 12 dicembre isolando di fatto 120.000 armeni dell’Artsakh (Nagorno Karabakh).

L’istanza contraria sollevata dal procedimento azero contro l’Armenia è stata bocciata all’unanimità.

Di fronte a tale condanna ora tutti si interrogano se il regime di Aliyev ottemperà a quanto indicato dai giudici dell’Onu oppure farà spallucce disinteressandosi del provvedimento e proseguendo con il blocco criminale che sta portatndo la popolazione della regione in piena crisi umanitaria.

Il “partner affidabile” dell’Unione europea disarrenderà la sentenza o aprirà finalmente la strada ripristinando il diritto alla vita della popolazione?

IL TESTO DELLE DUE DECISIONI DELLA CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA

“L’AIA, 22 febbraio 2023.
La Corte internazionale di giustizia, organo giurisdizionale principale delle Nazioni Unite, ha emesso oggi il suo Ordine sulla Richiesta di indicazione di misure provvisorie adottate dalla Repubblica di Armenia nel caso relativo all’applicazione della Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (Armenia c. Azerbaigian).

Nella sua Ordinanza, che ha efficacia vincolante, la Corte indica il seguente provvedimento provvisorio:

Con tredici voti contro due,
la Repubblica dell’Azerbaigian, in attesa della decisione finale del caso e in conformità con i suoi obblighi ai sensi della Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di razzismo, discriminazione, adotti tutte le misure a sua disposizione per garantire la circolazione senza ostacoli di persone, veicoli e merci lungo il Corridoio Lachin in entrambe le direzioni.

FAVOREVOLI: Presidente Donoghue; Vicepresidente Gevorgian; Giudici Tomka, Abramo, Bennouna, Xue, Robinson, Salam, Iwasawa, Nolte, Charlesworth, Brant; Giudice ad hoc Daudet;

CONTRO: Giudice Yusuf; Giudice ad hoc Keith”z

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“L’AIA, 22 febbraio 2023.
La Corte internazionale di giustizia, organo giurisdizionale principale delle Nazioni Unite, ha emesso oggi il suo Ordine sulla Richiesta di indicazione di misure provvisorie adottate dalla Repubblica dell’Azerbaigian nel caso relativo all’applicazione della Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (Azerbaigian c. Armenia).

Nella sua ordinanza, che ha efficacia vincolante, la Corte:

All’unanimità,
respinge la richiesta di indicazione di misure cautelari presentata dalla Repubblica di Azerbaigian il 4 gennaio 2023″

Il ministero degli Affari esteri della repubblica di Artsakh (Nagorno Karabakh) ha rilasciato un comunicato in occasione del 35° anniversario dell’inizio della lotta di liberazione. Questo il testo:

La Repubblica dell’Artsakh (Repubblica del Nagorno Karabakh) celebra oggi il 35° anniversario dell’attuale fase della lotta di liberazione nazionale degli armeni dell’Artsakh – Movimento del Karabakh, una lotta che incarnava l’aspirazione collettiva del popolo a ripristinare la giustizia storica, preservare l’identità nazionale e dignità, e realizzano pienamente il loro inalienabile diritto di vivere liberamente e svilupparsi nella loro patria. In risposta alle decennali politiche discriminatorie dell’Azerbaigian, il popolo dell’Artsakh ha raccolto tutta la sua volontà e si è mobilitato per l’idea della rinascita dell’Artsakh e della riunificazione con l’Armenia.

35 anni fa, il 20 febbraio 1988, si tenne una sessione straordinaria del Consiglio dei deputati del popolo dell’NKAO, che decise di presentare una petizione ai Soviet Supremi della SSR dell’Azerbaigian e della SSR armena per trasferire la regione autonoma dall’Azerbaigian all’Armenia. La questione del trasferimento del Nagorno Karabakh all’Armenia è stata sollevata in modo democratico, parlamentare, sulla base della volontà del popolo, in stretta conformità con la legislazione sovietica allora in vigore e con le norme generalmente riconosciute del diritto internazionale.

La decisione della sessione, che ha confermato il diritto del popolo dell’Artsakh a decidere del proprio destino, ha segnato la fase attuale del Movimento del Karabakh e ha predeterminato le prospettive di sviluppo socio-politico del Nagorno Karabakh. Essa, infatti, è diventata l’antesignana della Dichiarazione di Indipendenza della Repubblica del Nagorno Karabakh, adottata il 2 settembre 1991, sotto le nuove realtà storiche e politiche create dal crollo dell’Unione Sovietica, e ha segnato l’inizio del percorso verso la indipendenza statale dell’Artsakh.

Questo atto di espressione di volontà a livello nazionale da parte del popolo dell’Artsakh è stato giustamente considerato una garanzia affidabile contro la politica di discriminazione della popolazione etnica armena perseguita per decenni dall’Azerbaigian, che alla fine avrebbe dovuto portare alla sua completa distruzione. Gli eventi successivi hanno confermato la legittimità e la correttezza della scelta storica del popolo dell’Artsakh. Solo una settimana dopo la sessione del Consiglio regionale, le autorità azere hanno organizzato brutali pogrom e omicidi di armeni a Sumgait e in altre città dell’Azerbaigian e, con il crollo dell’Unione Sovietica, hanno scatenato una guerra su vasta scala contro l’Artsakh. La politica criminale delle autorità di Baku, finalizzata alla distruzione del popolo dell’Artsakh, non è cambiata nemmeno decenni dopo. Ciò è dimostrato dalle aggressioni militari del 2016 e del 2020, dal terrorismo di stato in corso contro il popolo dell’Artsakh, nonché dal blocco dei trasporti e dell’energia della Repubblica che dura già da tre mesi.

Nonostante le incredibili difficoltà e prove, il popolo dell’Artsakh continua la lotta per la propria esistenza libera e indipendente nella patria storica, realizzando così il diritto dei popoli all’autodeterminazione, sancito dal diritto internazionale, inclusa la Carta delle Nazioni Unite. Gli ultimi 35 anni hanno chiaramente dimostrato che il prerequisito più importante per risolvere i problemi nazionali è l’unità nazionale, il consolidamento delle forze morali e spirituali dell’Armenia, dell’Artsakh e della Diaspora, che rende possibile affrontare le sfide più gravi del tempo.

Attraverso molti anni di lotta per la dignità nazionale e il diritto di decidere liberamente il proprio destino nella propria patria storica, nonché la creazione di uno stato democratico e vitale, il popolo dell’Artsakh ha dimostrato di meritare il riconoscimento della propria indipendenza da parte della comunità internazionale .

In questo giorno memorabile, onoriamo la memoria di tutti coloro che hanno dato la vita per la libertà e l’indipendenza dell’Artsakh e per ideali e valori universali.

[traduzione e grassetto redazionale]

Da due mesi l’Azerbaigian, ricorrendo ad azioni criminali e terroristiche, tiene sotto blocco circa 120.000 persone dell’Artsakh (Nagorno-Karabakh), con l’obiettivo di attuare la pulizia etnica nell’Artsakh. Il presidente di quest’ultimo, Arayik Harutyunyan, ha rilasciato un commento al riguardo.

“Questo blocco illegale contraddice tutte le norme del diritto internazionale e gli obblighi assunti dall’Azerbaigian, compresi quelli nell’ambito della dichiarazione tripartita del 9 novembre 2020.

Il blocco, basato sulla politica statale azera di odio razziale contro gli armeni, è onnicomprensivo: priva 120.000 cittadini dell’Artsakh dell’accesso naturale a cibo, energia, assistenza sanitaria e altri beni e servizi vitali, ed è, quindi, un grave, attacco deliberato e massiccio al diritto alla vita e ad altri diritti dei nostri compatrioti.

Dal 20 gennaio, per risolvere la grave carenza di cibo causata dal blocco, il governo dell’Artsakh è stato costretto a limitare l’accesso al cibo introducendo buoni: un chilogrammo di riso, grano saraceno, pasta, zucchero e olio vegetale a persona al mese, la cui portata sarà ampliata nel prossimo futuro.

L’Azerbaigian ha esacerbato la crisi umanitaria nell’Artsakh interrompendo le forniture di elettricità e gas in condizioni invernali rigide.
A causa di problemi con il riscaldamento e l’alimentazione, tutti gli asili, le scuole primarie e secondarie del Paese sono stati chiusi, privando circa 20.000 bambini e adolescenti del Paese dell’opportunità di ricevere un’istruzione. Anche il lavoro di molte imprese economiche è stato sospeso, lasciando disoccupati migliaia di cittadini.
La costruzione di circa 3.700 appartamenti e case destinati a persone sfollate con la forza dai territori occupati dall’Azerbaigian, così come altri lavori di costruzione, è stata interrotta.
Gli interventi chirurgici programmati nelle istituzioni mediche sono stati annullati, mettendo a repentaglio la salute e la vita di circa 600 cittadini.

Siamo grati al Comitato internazionale della Croce Rossa e alla missione di mantenimento della pace della Federazione Russa per i loro sforzi per garantire il trasferimento di circa 90 persone in condizioni di salute critiche in Armenia, per riunire decine di famiglie separate e per trasportare la quantità minima di cibo in Artsakh che ci permette di prevenire la carestia nel paese. Tuttavia, la situazione rimane insopportabile tra la grave carenza di cibo, medicine e altri beni di prima necessità, la continua interruzione delle forniture di gas ed elettricità, la separazione di migliaia di famiglie, il collasso dell’economia e altre condizioni di crisi.

Accogliamo con favore i chiari appelli delle autorità esecutive e legislative di molti Paesi, nonché delle organizzazioni internazionali, all’Azerbaigian affinché revochi immediatamente e incondizionatamente il blocco. Tali richieste e posizioni, tuttavia, sono inefficaci nelle condizioni di fanatica e odiosa intransigenza dell’Azerbaigian.

Questo è il motivo per cui la comunità internazionale deve agire, come ha fatto in altre regioni quando ci sono segnali premonitori di genocidio.

Facciamo appello principalmente alla Russia, agli Stati Uniti e alla Francia, che co-presiedono il Gruppo di Minsk dell’OSCE, nonché a tutti i membri della comunità internazionale, affinché adottino congiuntamente o individualmente misure efficaci per aprire la strada della vita dell’Artsakh e prevenire nuovi crimini.

In tale contesto, li esortiamo a imporre sanzioni contro tutti gli autori e sostenitori di crimini contro il popolo dell’Artsakh e lo stato dell’Azerbaigian, tra le altre sanzioni, vietando loro di entrare nei loro territori e congelando i loro beni mobili e immobili nelle loro Paesi.

Il tentativo di pulizia etnica da parte dell’Azerbaigian del popolo dell’Artsakh è conforme al concetto legale di crimini contro l’umanità (erga omnes). La sua prevenzione è un obbligo morale, legale e politico vincolante per tutti i firmatari della Carta delle Nazioni Unite.

Pertanto, è dovere di ogni membro della comunità internazionale fare del proprio meglio per proteggere il popolo dell’Artsakh e la sua vita dignitosa nella propria patria“.