Non deve essere difficile in Azerbaigian costruire fake news. Ne sanno qualcosa gli attivisti per i diritti umani, i giornalisti, gli oppositori al regime di Aliyev che vengono incarcerati con le scuse più banali: le più ricorrenti sono il “possesso di droga” o la “collusione con il nemico”.

Nessuno si è quindi sorpreso della reale natura dei “manifestanti per l’ambiente” che dal 12 dicembre hanno bloccato la strada che passa per il corridoio di Lachin e unisce il Nagorno Karabakh (Artsakh) all’Armenia. Due mesi di blocco, crisi umanitaria in corso e tentativo di pulizia etnica. Una “protesta” organizzata dal governo dell’Azerbaigian come peraltro ammesso anche dal suo stesso presidente.

La scusa iniziale erano le miniere (un paio) che all’improvviso sono diventate un problema per gli azeri: sfruttamento illegale (considerano l’Artsakh territorio loro) e inquinamento ambientale (chiudendo due occhi su quello vero sulle sponde del Caspio dove non si può protestare altrimenti si finisce in prigione).

A fine dicembre Stepanakert annuncia l’interruzione dell’attività di scavo nelle miniere. Fine della protesta? No, ovviamente, perché dalle miniere si passa alle mine (coincidenza, in inglese è la stessa parola, mine) che gli armeni avrebbero disseminato nel territorio, di qui la necessità di ispezionare tutti i carichi in transito sulla strada.

A giustificazione delle loro rivendicazioni, ecco produrre foto di mine made in Armenia e datate 2021. La prova certa della colpevolezza armena!

Peccato che quegli ordigni siano stati prelevati dagli azeri nel corso delle loro invasioni (da maggio 2021, fino all’ultima grave aggressione del settembre 2022) nel territorio sovrano della repubblica di Armenia. La difesa di Yerevan le aveva collocate lungo il confine con l’Azerbaigian (i territori ora occupati dagli azeri dell’Artsakh, Kashatagh e Karvachar) nel disperato (e vano) tentativo di arginare le incursioni del nemico.
Il quale, evitato l’ostacolo, ha utilizzato le mine per giustificare il blocco della strada e il suo tentativo di pulizia etnica.

Dalle miniere alle mine, il passaggio ortografico è breve ma il risultato è sempre lo stesso: fake!

Per Andranik Khachatryan, direttore della società “ArtsakhEnergo” che distribuisce energia elettrica in Artsakh (Nagorno Karabakh), sono settimane ancor più frenetiche del solito.
Ogni giorno deve cercare di far quadrare i conti, ovvero rifornire di elettricità i 120.000 armeni che popolanbo la regione.

Sono trascorsi infatti più di 20 giorni dal guasto (o più probabilmente, sabotaggio) dell’unica linea elettrica aerea ad alta tensione (110 kV) che alimenta l’Artsakh (Nagorno-Karabakh) dall’Armenia. E gli azeri impediscono qualsiasi intervento di riparazione.

L’incidente dell’elettrodotto in ingresso ad Artsakh dall’Armenia è avvenuto il 9 gennaio, nella seconda metà della giornata, secondo i dati registrati dalle relative apparecchiature di ArtsakhEnergo, nella tratta Berdzor-Aghavno, al 30° km del linea aerea. Quella sezione è completamente sotto il controllo degli azeri; cioè, anche se il corridoio di Lachin venisse riaperto, gli specialisti armeni non possono avvicinarsi al luogo dell’incidente senza il permesso degli azeri.

Se gli azeri consentono agli specialisti armeni di avvicinarsi all’area, è possibile riparare i danni in poche ore.

Si capisce ora per quale motivo nello scorso agosto l’Azerbaigian impose – in violazione dell’accordo di tregua del novembre 2020 – lo slittamento più a sud del corridoio di Lachin: non solo per occupare Berdzor, Aghavno e Sos ma anche per avere pieno controllo sulla linea elettrica che arriva dall’Armenia. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.

È difficile dire inequivocabilmente se l’incidente sia tecnico o il risultato di un intervento collaterale. Tenendo conto che gli azeri non ci hanno dato l’opportunità di eseguire lavori di riparazione dell’incidente per quasi un mese, ciò fa sospettare che ci è stato un intervento artificiale. Inoltre, l’incidente non ha avuto gravi conseguenze e può essere ripristinato in poche ore“, dice Andranik Khachatryan alla stampa.

Al momento l’elettricità viene fornita in Artsakh dalla centrale idroelettrica di Sarsang, ma la sua capacità è limitata, e se questa situazione persiste, sorgeranno seri problemi perchè il bacino idrico si svuoterà rapidamente e non vi sarà acqua per irrigare i campi in primavera (compresi quelli azeri…)

Per sopperire alla mancanza di corrente è stato fatto un programma di interruzioni di corrente: prima due ore al giorno, poi 4 ore, poi 6 ore salvo ulteriori incrementi se necessario.

E’ stata interrotta l’erogazione alle grandi aziende energivore e questo ha inevitabilmente una ricaduta sull’economia di tutto il Paese sia in termini economici che sociali; anche per le contemporanee interruzioni – sempre per sabotaggio azero – della fornitura del gas.

Ma questo è esattemente quello che il dittatore azero Aliyev vuole.

ARTSAKH RESISTI!

Ufficialmente sono 33 i prigionieri di guerra armeni detenuti illegalmente nelle carceri dell’Azerbaigian oltre due anni dopo la fine del conflitto.

Per il regime di Baku sono “terroristi“. Poichè i soldati armeni furono catturati alcune settimane dopo la fine della guerra in una vallata dell’Artsakh rimasta sotto il loro controllo e sfuggita all’operazione militare azera non vi è altro termine per l’Azerbaigian di definirli.
Altrimenti Baku dovrebbe ammettere un’operazione militare avvenuta dopo l’accordo di tregua del 9 novembre 2020 e restituire al controllo armeno il territorio nel quale si trovavano i soldati così come previsto dalle condizioni del suddetto accordo.
Quindi, le corti azere hanno processato questi soldati e condannati a pene detentive molto alte in palese, criminale, violazione delle convenzioni internazionali e del documento che ha posto fine alla guerra del 2020.

Ma oltre a questi ci sarebbero un’ottantina di soldati armeni mancanti, missing in action, di cui non si hanno più notizie.

Potrebbero essere stati uccisi in battaglia o anche dopo e i loro corpi mai restituiti; oppure potrebbero essere imprigionati da qualche parte, al di fuori dei procedimenti “legali”.

Oltre un centinaio di soldati che ventisette mesi dopo la fine del conflitto ancora non possono tornare a riabbracciare le famiglie, ammesso che siano ancora vivi.

Le istituzioni internazionali hanno ripetutamente invitato l’Azerbaigian a restituire i prigionieri di guerra ma senza ricevere alcun riscontro dal regime di Aliyev che l’altro giorno ha riconsegnato il corpo di un soldato armeno ucciso nell’attacco all’Armenia del 13 settembre: oltre quattro mesi dopo…

INTRODUZIONE

“Lo sterminio include l’inflizione intenzionale di condizioni di vita, tra l’altro la privazione di l’accesso al cibo e alle medicine, calcolato per provocare la distruzione di una parte della popolazione”.
(Statuto della Corte penale internazionale, articolo 7)

A partire dal 12 dicembre 2022, intorno alle 10:30, agenti del governo azero in borghese che si spacciavano per attori indipendenti, bloccavano l’unica strada che collega l’Artsakh (Nagorno Karabakh) all’Armenia e al mondo esterno – la statale Goris-Stepanakert – che attraversa il “corridoio di Lachin (Berdzor)” citato nella Dichiarazione trilaterale di cessate il fuoco del 9 novembre 2020.

Con questo atto, l’Azerbaigian ha violato una delle disposizioni della citata dichiarazione firmata dai leader di Armenia, Azerbaigian e Russia, vale a dire il Punto 6: (…) “Il corridoio di Lachin (5 km di larghezza) che assicurerà la comunicazione tra il Nagorno-Karabakh (NK)/Artsakh e Armenia e allo stesso tempo aggirerà la città di Shushi, rimarrà sotto il controllo del contingente di mantenimento della pace della Federazione Russa

Sostenendo il blocco del corridoio Lachin, l’Azerbaigian continua a violare i propri obblighi internazionali assunti ai sensi della Dichiarazione del 9 novembre 2020, che prevedono inoltre, senza mezzi termini, che “l’Azerbaigian deve garantire la sicurezza di persone, veicoli e merci che si muovono lungo il corridoio di Lachin in entrambe le direzioni”.

Come risultato dell’ostruzione fisica dell’unica strada, insieme all’interruzione deliberata da parte dell’Azerbaigian della connessione Internet e delle forniture di gas ed elettricità dall’Armenia all’Artsakh 120.000 persone sono state effettivamente poste sotto un blocco completo senza accesso a beni e servizi essenziali, compresi farmaci, cibo, carburante e prodotti per l’igiene, da più di 40 giorni. Inoltre, quattro comunità della regione di Shushi – Lisagor, Mets Shen, Hin Shen e Eghtsahogh – si sono ritrovate in completo isolamento sia dall’Artsakh che dall’Armenia. In questo contesto, colpire e attaccare intenzionalmente l’infrastruttura critica dell’Artsakh da parte dell’Azerbaigian non fa che aggravare la già terribile situazione umanitaria che colpisce la popolazione civile dell’Artsakh sotto blocco.

Questa è la seconda volta che l’Azerbaigian ha bloccato il corridoio di Lachin nel periodo post-bellico del 2020. In precedenza, il 3 dicembre 2022, un gruppo di azeri aveva bloccato la strada per false preoccupazioni ecologiche sull’estrazione di risorse naturali dell’Artsakh. A seguito di trattative di tre ore, sotto la mediazione del Contingente di pace russo, la strada fu riaperta.

Aggravando ulteriormente la situazione, e con l’intenzione di provocare una catastrofe umanitaria, le autorità azere hanno tagliato la fornitura di gas naturale all’Artsakh pochi giorni dopo. Dal 13 al 16 dicembre 2022, nelle rigide condizioni invernali, le autorità azere hanno interrotto la fornitura di gas naturale dall’Armenia all’Artsakh, privando la popolazione civile dell’Artsakh delle necessità di base indispensabili per salvaguardarne il sostentamento. La fornitura di gas all’intero territorio dell’Artsakh è stata interrotta nuovamente dall’Azerbaigian il 18 gennaio 2023, intorno alle 13:00, lasciando la maggioranza delle famiglie dell’Artsakh ancora senza accesso al riscaldamento e all’acqua calda in pieno inverno.

La natura deliberata di queste interruzioni è chiaramente evidenziata. Nel marzo 2022, l’Azerbaigian ha interrotto la fornitura di gas naturale attraverso l’unico gasdotto dall’Armenia all’Artsakh (attualmente attraversa i territori occupati dall’Azerbaigian durante la guerra dei 44 giorni del 2020) per più di 20 giorni sabotandolo in un punto critico. Dopo aver fatto saltare l’oleodotto, l’Azerbaigian ha installato una valvola sull’oleodotto stesso, permettendogli così di stabilire un controllo arbitrario sulla fornitura di gas all’Artsakh. Le conseguenze umanitarie di questo atto criminale dell’Azerbaigian sono state discusse in dettaglio nel rapporto “Sulle violazioni dei diritti del popolo Artsakh da parte dell’Azerbaigian a febbraio-marzo 2022” del Difensore civico della Repubblica dell’Artsakh.

Inoltre, il 9 gennaio 2023, l’unica linea ad alta tensione che fornisce elettricità all’Artsakh dall’Armenia, è stato danneggiata nella sezione Aghavno-Berdzor (corridoio di Lachin) sotto il controllo azero. Le autorità azere non hanno permesso che venissero condotti dagli specialisti dell’Artsakh i lavori di riparazione sulla sezione danneggiata e, di conseguenza, l’elettricità è ora fornita esclusivamente da centrali idroelettriche locali. Così, il governo dell’Artsakh è stato obbligato a programmare blackout continui e altre restrizioni in tutto l’Artsakh per risparmiare le risorse idriche nel bacino idrico di Sarsang nel tentativo di garantire ed estendere la produzione di elettricità per la popolazione civile. Tuttavia, i bacini essenziali per generare energia idroelettrica dispongono di risorse molto limitate.

Il 12 gennaio 2023, l’unico cavo in fibra ottica che fornisce la connessione Internet all’Artsakh dall’Armenia è stato danneggiato nel tratto della strada Stepanakert-Goris dove gli azeri hanno istituito il blocco dal 12 dicembre 2022. In conseguenza di ciò, l’intero Artsakh è stato privato dei servizi Internet per due giorni, con conseguente isolamento totale delle informazioni. Il 14 gennaio 2023 la connessione è stata ripristinata, ma persistono ricorrenti interruzioni della connessione Internet. Dopo lo stabilimento del cessate-il-fuoco del 2020, la parte azera ha costantemente interrotto le comunicazioni mobili e accesso a Internet in tutto l’Artsakh, utilizzando vari tipi di disturbatori e silenziatori.

Nel mezzo di questa crisi umanitaria in rapida evoluzione nell’Artsakh, l’Azerbaigian usa la vulnerabilità delle infrastrutture critiche per terrorizzare e intimidire la pacifica popolazione civile dell’Artsakh, infliggendo ulteriori sofferenze al popolo dell’Artsakh sotto blocco, con l’obiettivo della loro totale distruzione ed espulsione dalla loro terra nativa – obiettivo finale della decennale politica sistematica e coerente di armenofobia, pulizia etnica e genocidio guidati dall’Azerbaigian.

Lo scopo di questo rapporto è quello di illustrare le violazioni in corso dei più diritti fondamentali del popolo dell’Artsakh causati dall’interruzione del funzionamento delle infrastrutture critiche dell’Artsakh durante il blocco di oltre un mese da parte dell’Azerbaigian.

1 – CONSEGUENZE UMANITARIE DELLA ROTTURA DELLE INFRASTRUTTURE CRITICHE

Gli attacchi deliberati all’infrastruttura critica dell’Artsakh sono un metodo di guerra e una pulizia etnica che l’Azerbaigian ha ripetutamente attuato contro la pacifica popolazione civile dell’Artsakh dalla guerra del 2020. Lo scopo principale di queste azioni criminali è terrorizzare la pacifica popolazione dell’Artsakh e creare così condizioni di vita disumana affinché la popolazione sia costretta a lasciare la propria terra natale.

  1. – Interruzione della fornitura di gas

La crisi umanitaria in corso è stata gravemente aggravata da parte dell’Azerbaigian dalla interruzione della fornitura di gas naturale dall’Armenia all’Artsakh attraverso l’unico gasdotto che attraversa i territori attualmente sotto il controllo dell’Azerbaigian. Dall’inizio del blocco il 12 dicembre, la parte azera ha deliberatamente interrotto la fornitura di gas quattro volte: il 13 dicembre (per 3 giorni), il 17 gennaio (per 1 giorno), il 18 gennaio (per 3 giorni), di nuovo il 21 gennaio. Dal 21 gennaio, intorno alle 21:00, la fornitura di gas metano a tutto il territorio dell’Artsakh attraverso l’unico gasdotto proveniente dall’Armenia all’Artsakh è stata tagliata ancora una volta dall’Azerbaigian. L’interruzione ha interessato la maggior parte delle famiglie dell’Artsakh, oltre a istituzioni che prestano cure mediche, sociali ed educative rimaste prive di accesso al riscaldamento e all’acqua calda durante il rigido inverno. L’attacco all’infrastruttura del gas dell’Artsakh da parte dell’Azerbaigian ha causato molteplici violazioni dei diritti umani fondamentali della popolazione dell’Artsakh.

Circa l’80% delle circa 120.000 persone che attualmente vivono in Artsakh ha le proprie abitazioni rifornite di gas. Il gas è ampiamente utilizzato dalla gente dell’Artsakh: per il riscaldamento di abitazioni, da parte di enti pubbliche e private, organizzazioni educative, sociali e sanitarie; per la fornitura di acqua calda; per la produzione alimentare; e per una moltitudine di altre attività economiche. Pertanto, a causa dell’interruzione della fornitura di gas, le ricadute sul piano umanitario si sono solo intensificate in modo critico nell’Artsakh bloccato.

Durante la precedente interruzione della fornitura di gas da parte dell’Azerbaigian nel marzo 2022, le persone hanno superato le difficoltà umanitarie utilizzando l’elettricità. Tuttavia, ora, anche la sola linea elettrica dall’Armenia all’Artsakh è stata interrotta dall’Azerbaigian, lasciando 120.000 persone in completo isolamento energetico. Dal governo dell’Artsakh è stata adottata una misura tampone programmando blackout continui per prevenire il sovraccarico e il guasto totale del sistema interno di approvvigionamento elettrico, mitigare la crisi energetica e risparmiare energia. Pertanto, l’intera popolazione dell’Artsakh è attualmente priva di elettricità per 6 ore al giorno, che, insieme all’interruzione della fornitura di gas, significa che le persone hanno risorse palesemente insufficienti per sostenere i propri mezzi di sussistenza.

  1. – Interruzione della fornitura di elettricità

Il 9 gennaio 2023, l’unica linea ad alta tensione che fornisce elettricità dall’Armenia all’Artsakh è stata danneggiata nella sezione Aghavno-Berdzor (Lachin), che è sotto controllo azero. Le autorità azere si rifiutano di consentire i lavori di riparazione della rete sul luogo dell’incidente. Di conseguenza, il governo dell’Artsakh è stato obbligato a organizzare la fornitura di energia elettrica attraverso le centrali idroelettriche locali con restrizioni sempre maggiori. A partire dal 10 gennaio è iniziata la fornitura di elettricità alla popolazione di Artsakh a determinati intervalli, con interruzioni intermittenti.

Poiché Artsakh produce solo il 57% del suo consumo di elettricità, un programmato blackout continuo di 4 ore è stato introdotto dal governo dell’Artsakh per diversi giorni per gestire la crisi elettrica in Artsakh. Le autorità azere continuano a non consentire lavori di riparazione dagli specialisti dell’Artsakh sulla linea elettrica principale dell’Artsakh, danneggiata dal 9 gennaio 2023. Di conseguenza, e a partire dal 21 gennaio 2023, è stato introdotto un programma di blackout continui di 6 ore stato implementato. In particolare, la produzione locale di energia elettrica viene effettuata principalmente attraverso la centrale idroelettrica di Sarsang, dove viene utilizzata l’acqua del bacino di Sarsang in grandi volumi per generare elettricità. Proseguire l’utilizzo della risorsa idrica in questi volumi esaurirà rapidamente la capacità e dovranno essere imposti blackout più lunghi.

Questa circostanza determina un problema particolarmente critico per coloro che riscaldano le proprie

case con elettricità in inverno e per chi usa l’elettricità come impianto di energia alternativa per il riscaldamento in assenza di forniture di gas. In condizioni invernali fredde e con forti nevicate, l’Artsakh sta affrontando un’allarmante crisi energetica, che aggrava la situazione della già terribile crisi umanitaria, poiché le persone sono ora private di qualsiasi tipo di riscaldamento per almeno 6 ore al giorno.

  1. – Interruzione della connessione internet

Il 12 gennaio 2023, la connessione Internet in Artsakh è stata interrotta a causa di un danneggiamento all’unico cavo in fibra ottica che fornisce servizi Internet all’Artsakh dall’Armenia. Secondo il provider Internet locale in Artsakh, il danno del cavo ha avuto luogo esattamente nel punto in cui gli azeri hanno bloccato la strada.

Secondo le attività conoscitive dell’Ufficio del difensore civico per i diritti umani dell’Artsakh, l’Azerbaigian ha danneggiato intenzionalmente l’unico cavo che fornisce Internet collegamento con Artsakh dall’Armenia per causare ulteriori sofferenze alla popolazione dell’Artsakh, oltre a creare un’atmosfera di intimidazione, paura e incertezza. Al momento della stesura del Rapporto, l’accesso a Internet è stato ripristinato, ma – tenendo conto del fatto che la parte azera ha costantemente interrotto l’accesso alle telecomunicazioni nel

intero territorio dell’Artsakh dall’istituzione del cessate il fuoco nel novembre 2020 – il difensore dei diritti umani si aspetta che l’Azerbaigian intraprenda misure simili in futuro.

2 – VIOLAZIONE DEI DIRITTI UMANI ALLA LUCE DELLA ROTTURA DELLE INFRASTRUTTURTE CRITICHE

In tempi di crisi umanitarie, in particolare quelle guidate da una pericolosa e simultanea convergenza di molteplici cause, come nel caso dell’Artsakh i diritti umani sono sempre in gioco, soprattutto nei gruppi più vulnerabili della società quali bambini, anziani, donne e persone con disabilità. Quindi, questi diritti e gruppi

richiedono attenzione e protezione specifiche.

  • Diritto a mezzi di sussistenza adeguati (riscaldamento, acqua calda, produzione alimentare)

In pieno inverno, la temperatura media nel territorio dell’Artsakh oscilla intorno a -2 e +2 gradi Celsius e spesso può precipitare fino a -5 gradi Celsius. Nevica e gela per giorni. In queste pericolose condizioni invernali, case residenziali, residenze temporanee di sfollati, una miriade di istituzioni di istruzione e salute, aziende private e le istituzioni statali restano prive di uno stabile e sufficiente riscaldamento a causa dell’attacco intenzionale dell’Azerbaigian alle infrastrutture dell’Artsakh.

Circa l’80% delle circa 120.000 persone che attualmente vivono in Artsakh ha le proprie abitazioni rifornite di gas. La principale fonte di riscaldamento per la stragrande maggioranza della popolazione dell’Artsakh è ostacolata.

Il gas viene utilizzato anche nelle famiglie dell’Artsakh per preparare il cibo; quindi, la sua assenza direttamente influisce sulla normale organizzazione della nutrizione della popolazione. Il pericolo è composto qui, dove sia il gas che l’elettricità non vengono forniti ad Artsakh; le persone sono private delle necessità vitali ovvero il riscaldamento per il caldo fisico, acqua calda per lavarsi e per cucinare il cibo, senza alcuna fonte alternativa di energia.

  • Diritto all’educazione

A causa del blocco dell’Artsakh e dell’interruzione delle sue infrastrutture vitali da parte dell’Azerbaigian, i diritti dei bambini sono stati violati, in primo luogo il diritto all’istruzione. Il problema del riscaldamento ha sostanzialmente sconvolto il normale funzionamento del processo educativo in Artsakh, poiché un gran numero di istituzioni educative sono riscaldate a gas, inclusi asili, scuole, istituti di istruzione secondaria professionale e superiore. Così, il diritto all’istruzione dei bambini dell’Artsakh è stato chiaramente interrotto dal 14 al 16 dicembre 2022, quando l’Azerbaigian ha interrotto per la prima volta la fornitura di gas durante il blocco dell’Artsakh.Dal 18 gennaio 2023, con la seconda serie di interruzioni azere alla fornitura di gas dall’Armenia all’Artsakh, il diritto all’istruzione dei bambini dell’Artsakh è stato calpestato, ancora una volta.

Nella situazione attuale, è impossibile gestire efficacemente l’istruzione in Artsakh. Il 65% delle scuole del Paese sono riscaldate solo a gas; importante, il 60% degli studenti dell’Artsakh riceve un’istruzione in tali scuole riscaldate a gas. A causa dell’impossibilità di fornire un adeguato riscaldamento, il governo dell’Artsakh è stato obbligato a sospendere le lezioni scolastiche fino a nuovo avviso.

Oltre al problema del riscaldamento, il blocco ha ostacolato il processo di approvvigionamento, organizzazione e consegna del cibo alle istituzioni educative frequentate dai gruppi di bambini più vulnerabili (dai 2 ai 6 anni), quali asili, scuole materne, gruppi di- scuole primarie e scuole che lavorano con orario prolungato. Così, 117 scuole (41 asili nido, 56 scuole materne e 20 istituti di istruzione a tempo pieno) sono stati costretti a chiudere a causa della combinazione del problema del riscaldamento e della crisi alimentare che si è verificata per il blocco. Di conseguenza, più di 20.000 bambini sono attualmente privati della possibilità di ricevere assistenza e istruzione. Dal momento che queste istituzioni operavano senza scorte di cibo e ora è diventato impossibile fornire cibo ai bambini, queste istituzioni educative hanno sospeso le attività a partire dal 9 gennaio 2023. Negli ultimi giorni di dicembre 2022, le attività di 31 pubbliche, 7 benefiche e 3 private, gli asili e 56 gruppi prescolari di 30 scuole pubbliche erano già completamente sospese.

Per quanto riguarda gli istituti di istruzione superiore, il 100% delle università pubbliche e private sono riscaldate a gas. Sebbene alcune lezioni possano essere condotte a distanza, il generale processo educativo è ostacolato in Artsakh a causa delle azioni criminali in corso da parte dell’Azerbaigian.

Il 90% delle altre istituzioni educative, come scuole professionali secondarie, scuole d’arte, anche i collegi di medicina e musica e i centri creativi per giovani sono riscaldati a gas. A causa di mancanza di fornitura di gas, anche queste hanno dovuto cessare completamente la loro attività.

  • Diritto alla salute

L’interruzione repentina da parte dell’Azerbaigian del funzionamento delle infrastrutture critiche nell’Artsakh incide sul normale funzionamento del sistema sanitario, generando complessi e

persistenti problemi per la salute pubblica. L’interruzione dei rifornimenti di gas ed elettricità in Artsakh da parte dell’Azerbaigian, in particolare durante gli oltre 40 giorni di blocco dell’unica strada che collega l’Artsakh con l’Armenia e il mondo esterno, ha ostacolato la realizzazione del diritto all’assistenza sanitaria del popolo dell’Artsakh. Le persone sono ora private del corretto accesso a servizi salvavita, come trattamenti urgenti, interventi chirurgici programmati e operazioni, esami di laboratorio, esami periodici e regolari controlli sanitari, a causa della mancanza di riscaldamento adeguato, assenza di medicamenti, attrezzature e materiali medici necessari presso le istituzioni sanitarie.

Al 20 gennaio 2023, 113 persone sono in cura nelle istituzioni mediche della Repubblica dell’Artsakh, di cui 35 bambini. 8 bambini e 12 adulti sono in unità di terapia intensiva, mentre 4 di questi ultimi sono in condizioni critiche. Inoltre, 7 nuovi nati e 23 donne incinte sono attualmente in cura nell’ospedale di maternità.

Il 70% degli ospedali dell’Artsakh è riscaldato a gas. Durante la precedente interruzione nella fornitura del gas, alcune delle istituzioni mediche hanno avuto l’opportunità di passare ad alternativi impianti di riscaldamento a benzina, gasolio o elettricità. Tuttavia, nelle condizioni di interruzioni programmate e assenza di rifornimenti di gasolio, anche questi metodi alternativi di riscaldamento sono diventati inaccessibili e inaffidabili. Inoltre, il monitoraggio delle attività da parte dell’Artsakh Human Rights Defender hanno dimostrato che la richiesta temperatura (14-15 gradi Celsius) nei reparti non viene raggiunta, anche dove vengono utilizzate le fonti alternative. Inoltre, nota la direzione delle istituzioni sanitarie che a causa del passaggio all’energia alternativa, i costi operativi sono aumentati immediatamente, imponendo ulteriori pressioni sul normale funzionamento di tali istituzioni.

  • Impatto sull’attività economica e diritto al lavoro

A causa dell’interruzione dell’infrastruttura critica dell’Artsakh da parte delle azioni malvagie dell’Azerbaigian, sono sorti anche problemi in diversi settori dell’economia della Repubblica.

In particolare, l’approvvigionamento di gas nella capitale Stepanakert è necessario per la cottura del pane, per non parlare di altri alimenti. A causa dell’assenza sia di gas che di elettricità stabile, la produzione e la fornitura di pane ne ha risentito. A Stepanakert si sta già osservando una penuria di pane, un fondamentale segno di sopravvivenza.

In particolare, più del 50% della popolazione è concentrata a Stepanakert, compresa la maggior parte della popolazione sfollata con la forza a seguito del conflitto conseguente l’aggressione azera-turca del 2020 contro l’Artsakh.

L’interruzione della fornitura di gas all’Artsakh ha influito negativamente sul settore dei trasporti pubblici in tutto l’Artsakh. Tanti veicoli per uso personale, aziendale e pubblico funzionano  a gas.

Tuttavia, in assenza di gas, benzina e gasolio contemporaneamente, la popolazione dell’Artsakh è rimasta praticamente senza mezzi di trasporto, il che ha causato enormi problemi logistici e di costo per l’intera popolazione. Il collegamento tra Stepanakert e le regioni dell’Artsakh è ora molto limitato, cosicchè le persone non possono più fare il pendolare tra le loro destinazioni abituali per lavoro, affari o istruzione come prima.

Il settore dei servizi affronta la stessa situazione. Ad esempio, l’attività dei servizi di taxi nell’Artsakh è ora completamente interrotta, poiché non sono disponibili gas o benzina per rifornire le auto.

Tutte le stazioni di servizio e di benzina dell’Artsakh hanno cessato l’attività essenzialmente dall’inizio del blocco. Di conseguenza, i proprietari delle stazioni hanno subito, e continuano a subire, gravi perdite economiche, mentre centinaia di loro dipendenti sono ormai inattivi, privi del loro diritto fondamentale a un lavoro dignitoso.

Anche centinaia di imprenditori economici dell’Artsakh subiscono enormi perdite economiche e finanziarie a causa dell’interruzione della fornitura di gas. I magazzini, dove avviene la produzione e lo stoccaggio del cibo, sono tra i più colpiti perché funzionano a gas. Tuttavia, con il sistema di blackout continuo messo in atto, non possono nemmeno fare affidamento sui sistemi di alimentazione alternativa. Di conseguenza, le condizioni necessarie per la produzione e la conservazione degli alimenti non possono essere mantenute in modo coerente.

Infine, dal 19 gennaio 2023, le istituzioni statali della Repubblica dell’Artsakh hanno dovuto passare a una modalità operativa speciale, che richiede l’imposizione di alcune restrizioni e modifiche. Nella situazione di una crisi energetica in atto e nel tentativo di garantire il funzionamento ininterrotto di strutture e servizi vitali, nonché soddisfare il fabbisogno energetico di base della popolazione il più a lungo possibile, solo i dipendenti il cui lavoro richiede la loro presenza fisica sul posto di lavoro possono recarsi al lavoro; altri dovranno svolgere le proprie mansioni lavorative da remoto. È stata implementata una serie di altre modifiche, tra cui il raggruppamento dei dipendenti in una sola stanza e altre misure ancora, per utilizzare l’elettricità nel modo più efficiente possibile.

  • Impatto sull’ambiente e sulla raccolta dei rifiuti

In assenza di fornitura di gas, c’è un forte aumento dell’uso del legno da parte della popolazione per fornire riscaldamento e altre condizioni di vita alle case. Di conseguenza, la deforestazione è un rischio reale in quanto il ricorso al legno come fonte di riscaldamento probabilmente causerà un significativo impoverimento delle foreste, che avrà sicuramente un impatto sull’ambiente.

Secondo le informazioni ricevute dal comune di Stepanakert e dalle amministrazioni di tutte le regioni, ci sono problemi con la raccolta dei rifiuti nelle comunità. Le macchine e le attrezzature utilizzate per la raccolta dei rifiuti funzionano prevalentemente a gas e non è possibile passare ad altri combustibili.

Infine, sorgeranno gravi problemi ambientali dovuti al fatto che, in assenza di approvvigionamento di gas e di altre fonti energetiche, l’acqua del bacino di Sarsang viene necessariamente utilizzata oltre i suoi limiti naturali. Ciò significa che in primavera e in estate, quando l’acqua dell’invaso di Sarsang viene utilizzata per l’irrigazione, l’invaso si esaurirà pericolosamente e ci sarà un problema di approvvigionamento idrico. È interessante notare che l’acqua del bacino idrico di Sarsang viene utilizzata principalmente per l’irrigazione dei territori sotto il controllo dell’Azerbaigian e, con il blocco e l’interruzione delle infrastrutture per cacciare gli armeni indigeni dell’Artsakh, l’Azerbaigian non solo infligge danni agli armeni dell’Artsakh, ma rischia anche di danneggiare i propri cittadini.

OSSERVAZIONI E RACCOMANDAZIONI CONCLUSIVE

Alla luce del blocco di 42 giorni [al 23 gennaio, NdT] dell’Artsakh da parte dell’Azerbaigian – e come risultato dell’attacco alle infrastrutture vitali dell’Artsakh, come le sue forniture di gas ed elettricità e la sua connessione Internet – la Repubblica dell’Artsakh si è trovata in una situazione senza precedenti e in una crisi energetica pericolosa per la vita. Come risultato del taglio da parte dell’Azerbaigian dell’unico naturale gasdotto dall’Armenia all’Artsakh e dell’unica linea elettrica dall’Armenia all’Artsakh , le istituzioni mediche nell’Artsakh non sono in grado di fornire cure mediche di base, le attività delle istituzioni educative sono sospese e il lavoro degli enti e delle agenzie statali è interrotto. La mancanza di carburante ed energia per persone, istituzioni e veicoli sconvolge la vita della popolazione ed è progettata per generare un completo collasso del sostentamento, della sicurezza alimentare ed energetica e di tutta la logistica nel Paese.

La strada Stepanakert-Goris, l’unica strada che collega l’Artsakh con l’Armenia e il mondo esterno, è di grande importanza umanitaria. Il suo blocco sta causando, e causerà ulteriormente, gravi conseguenze umanitarie per l’intera popolazione dell’Artsakh. Inoltre, ostacola direttamente qualsiasi colloquio di pace e iniziativa pacificatrice nella regione e mina fondamentalmente la fiducia internazionale e regionale.

Sfortunatamente, il blocco dell’Artsakh non è un atto isolato; costituisce una parte di una politica pluridecennale, diffusa e sistematica dell’Azerbaigian volta alla pulizia etnica degli armeni dell’Artsakh e alla loro completa espulsione dalla loro terra natale. Dall’istituzione del cessate il fuoco garantito dalla Dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020, l’Ombudsman dell’Artsakh ha ripetutamente riferito del ripetersi di simili minacce e provocazioni da parte azera. Negli ultimi due anni, l’Azerbaigian, tra l’altro, ha:

(a) fatto ricorso all’aggressione militare, violando il cessate il fuoco stabilito dalla Dichiarazione trilaterale, ha ucciso 18 persone, di cui 3 civili, e ha sottoposto centinaia di persone a tentato omicidio;

(b) attaccato deliberatamente e in massa le infrastrutture dell’Artsakh allo scopo di terrorizzare e intimidire la popolazione dell’Artsakh;

(c) lasciato l’intera popolazione dell’Artsakh senza rifornimenti di acqua e gas per settimane;

(d) interrotto il lavoro agricolo stagionale prendendo di mira i pacifici abitanti dei villaggi;

(e) costantemente sottoposto le comunità armene nelle immediate vicinanze delle loro postazioni militari a pressioni psicologiche da parte di altoparlanti;

(f) diffuso disinformazione e panico tra le persone effettuando attacchi informatici ai media statali dell’Artsakh.

Data l’attuale situazione umanitaria nell’Artsakh, il Difensore civico della Repubblica dell’Artsakh invita la comunità internazionale e tutti i suoi attori che difendono i diritti umani ad agire con urgenza, in particolare:

(1) esortare l’Azerbaigian a rispettare e adempiere ai suoi obblighi internazionali assunti, oltre alle convenzioni internazionali, dalla Dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020, che implica la fornitura di garanzie di sicurezza alla popolazione dell’Artsakh e la salvaguardia dei loro mezzi di sussistenza;

(2) fare pressione sull’Azerbaigian con l’uso di tutti gli strumenti pratici per aprire immediatamente l’unica strada senza alcuna condizione preliminare, consentire la libera circolazione delle persone e l’accesso ininterrotto a beni e servizi essenziali attraverso il Corridoio, riconoscendone la natura principalmente umanitaria;

(3) avviare una missione conoscitiva internazionale nell’Artsakh per valutare la situazione umanitaria sul campo;

(4) concedere l’accesso senza ostacoli alle organizzazioni e alle missioni internazionali per i diritti umani per entrare nell’Artsakh, valutare la situazione e fornire i necessari aiuti umanitari in base ai bisogni della popolazione civile;

(5) esortare l’Azerbaigian ad astenersi dall’attaccare in futuro le infrastrutture critiche dell’Artsakh, nonché i suoi collegamenti di trasporto, energia e comunicazione con l’Armenia;

(6) condannare la retorica armenofoba e infiammatoria sponsorizzata dallo Stato dell’Azerbaigian tra la sua popolazione che chiede discriminazione e aggressione nei confronti degli armeni dell’Artsakh.

Pur accogliendo con favore tutte le dichiarazioni e le reazioni ricevute dalle organizzazioni internazionali e dalle controparti che si battono sinceramente per i diritti umani fondamentali del popolo dell’Artsakh, il Difensore civico della Repubblica dell’Artsakh ritiene che i governi e gli attori internazionali coinvolti nella risoluzione del conflitto dovrebbero utilizzare tutte le misure diplomatiche a loro disposizione per fermare il blocco dell’Artsakh, ripristinare la sua fornitura di beni di prima necessità, invitare le autorità azere a smettere di prendere di mira infrastrutture critiche (gas, elettricità, Internet, comunicazioni mobili, acqua), fermare l’imminente catastrofe umanitaria e proteggere i diritti umani fondamentali delle persone che vivono in Artsakh.

La comunità internazionale dovrebbe assumere urgentemente una posizione unanime e inequivocabile e intraprendere azioni mirate per condannare, punire e impedire che l’Azerbaigian continui ad agire con un senso di assoluta impunità.

La comunità internazionale deve impedire all’Azerbaigian di realizzare il suo ultimo obiettivo di genocidio: la pulizia etnica della popolazione indigena armena dell’Artsakh.

[Traduzione del rapporto in formato ridotto e senza note esplicative]

Il difensore dei diritti umani dell’Artsakh (Nagorno Karabakh) ha pubblicato un rapporto provvisorio “Sulle violazioni dei diritti umani del popolo dell’Artsakh a seguito della deliberata interruzione delle infrastrutture critiche nel mezzo del blocco dell’Artsakh da parte dell’Azerbaigian dal 12 dicembre 2022“.

Il rapporto ha presentato fatti relativi alle violazioni diffuse e su larga scala dei diritti del popolo dell’Artsakh a causa di interruzioni deliberate delle infrastrutture vitali dell’Artsakh da parte dell’Azerbaigian: gasdotto, linee elettriche, telecomunicazioni e cavi Internet, che nelle condizioni del blocco in corso mettono la popolazione civile sull’orlo di una catastrofe umanitaria.

In condizioni climatiche fredde, quando la temperatura media nel territorio dell’Artsakh oscilla tra -2 e +2 gradi Celsius, raggiungendo talvolta -5 gradi di freddo, case, luoghi di residenza temporanea di sfollati, tutti i tipi di istituzioni educative e sanitarie e le imprese private, le istituzioni statali usano il gas come principale mezzo di riscaldamento. Interruzioni deliberate nella fornitura di gas privano la popolazione della possibilità di riscaldamento a gas e acqua calda.

A seguito del danneggiamento delle linee ad alta tensione provenienti dall’Armenia verso l’Artsakh e del blocco dei loro lavori di ripristino da parte dell’Azerbaigian, dal 9 gennaio l’importazione di elettricità è stata sospesa.
I residenti ricevono elettricità prodotta localmente. A causa dei volumi insufficienti, la popolazione riceve elettricità con un programma di blackout continuativo di 6 ore, il che rende quasi impossibile sostituire il riscaldamento a gas con il riscaldamento elettrico.

Anche le interruzioni dell’approvvigionamento di gas e l’uso limitato di energia elettrica incidono direttamente sulla normale organizzazione del cibo nelle famiglie.

Per risparmiare elettricità, le istituzioni statali sono passate a un regime di lavoro breve dal 19 gennaio, il che ha un impatto negativo sul processo di fornitura dei servizi necessari al pubblico e sull’organizzazione della vita pubblica.

La situazione attuale ha fortemente influito sulla normale organizzazione del processo educativo in Artsakh, tutte le istituzioni educative della Repubblica sono chiuse a causa della mancanza di riscaldamento, che ha portato alla violazione del diritto all’istruzione di oltre 20.000 bambini.

La grave situazione umanitaria ha inciso anche sul normale funzionamento del sistema sanitario.
Il 70% delle strutture sanitarie e degli ospedali, riscaldati a gas, deve affrontare seri problemi di riscaldamento. Al momento, 156 pazienti, di cui 45 bambini, stanno ricevendo cure mediche ospedaliere.

Centinaia di imprese subiscono anche ingenti perdite a causa delle interruzioni della fornitura di gas.

Nelle condizioni di interruzione dell’approvvigionamento di gas e di limitata possibilità di elettricità, per fornire il riscaldamento delle case e altre condizioni di vita, c’è un aumento del volume di legno utilizzato dalla popolazione, il che significa che il già limitato fondo forestale subirà gravi perdite.

Nelle comunità si sono verificati problemi legati al buon funzionamento del trasporto pubblico e all’organizzazione della raccolta dei rifiuti, dovuti al fatto che le macchine e le attrezzature utilizzate per il trasporto pubblico e la raccolta dei rifiuti funzionano con l’utilizzo di gas, benzina e gasolio, e c’è anche una carenza di vettori energetici nelle condizioni del blocco.

In data odierna il presidente della repubblica Araiyk Harutyunyan ha convocato il Consiglio di sicurezza della repubblica di Artsakh al quale hanno partecipato alti funzionari dello Stato, rappresentanti di tutte le forze presenti in parlamento nonchè il Primate della diocesi dell’Artsakh della Chiesa apostolica armena.
Al termine della riunione è stato rilasciato il seguente comunicato:

Preoccupata per le gravi sfide causate dagli attuali sviluppi nel mondo e nella nostra regione, Riaffermando le posizioni dei rami del potere esecutivo e legislativo della Repubblica dell’Artsakh riguardo al futuro dell’Artsakh,
Facendo riferimento al discorso del 19 settembre del Presidente della Repubblica dell’Artsakh,
Considerando i nuovi sviluppi che ne sono seguiti, in particolare le nostre preoccupazioni riguardo ad alcuni pensieri e punti di vista espressi nell’intervista del Premier della Repubblica di Armenia rilasciata alla televisione pubblica armena il 30 settembre,

Noi, tutti i partecipanti alla seduta estesa del Consiglio di Sicurezza della Repubblica dell’Artsakh, dichiariamo:

Registriamo che, a seguito dell’aggressione turco-azerbaigiana del 2020 e dei successivi sviluppi politico-militari della durata di due anni, abbiamo effettivamente una situazione in cui l’Azerbaigian, con il sostegno incondizionato della Turchia, ha acquisito un’autorevole influenza e la sta utilizzando in modo aggressivo per realizzare il suo aspirazioni più ambiziose.
Le azioni dell’Azerbaigian sono accompagnate da un costante uso della forza e dalla minaccia della forza, da irritanti manifestazioni della politica dello Stato armenofobo e da altre gravi violazioni delle norme fondamentali del diritto internazionale.
Utilizzando tutte le leve, l’Azerbaigian si sforza di garantire la sua posizione oppressiva e dittatoriale non solo nei rapporti con la Repubblica di Armenia, ma anche per interrompere qualsiasi forma e sforzo per la risoluzione del conflitto del Karabakh, dichiarando di aver risolto il problema con la guerra. Contrariamente a ciò, i paesi co-presidenti del Gruppo OSCE di Minsk e altri attori internazionali hanno riaffermato con diverse formulazioni l’esistenza del conflitto e la necessità di una sua soluzione globale.

La posizione della Repubblica dell’Artsakh è sempre stata chiara: il conflitto del Karabakh dovrebbe essere risolto sulla base del pieno e non negoziabile riconoscimento del diritto del popolo dell’Artsakh all’autodeterminazione e ai risultati della sua realizzazione.

È innegabile che nel 1991 il popolo dell’Artsakh ha dichiarato l’indipendenza in conformità con le norme del diritto internazionale e della legislazione dell’URSS, e l’Artsakh non ha mai fatto parte dell’Azerbaigian indipendente.
Inoltre, il fatto che la Repubblica dell’Artsakh non sia riconosciuta a livello internazionale non significa che il popolo dell’Artsakh non abbia diritti naturali e che la Repubblica dell’Artsakh non esista. Nonostante tutte le difficoltà e le sfide, d’ora in poi continueremo il nostro percorso scelto per determinare e gestire il nostro destino nella nostra patria.
La sicurezza stabile e a lungo termine dell’Artsakh dovrebbe essere assicurata attraverso le nostre capacità di difesa, la missione senza termine delle forze di pace russe e tutti i possibili strumenti della Repubblica di Armenia.
Migliorare le nostre capacità di difesa è uno sforzo continuo ed è al centro della nostra attenzione. La missione russa di mantenimento della pace, nonostante le ulteriori sfide degli ultimi mesi, continua a essere la principale garanzia internazionale per la sicurezza del popolo dell’Artsakh. In questo contesto, consideriamo estremamente pericolosi i tentativi di peggiorare le relazioni tradizionali con gli alleati naturali.

La Repubblica dell’Artsakh e gli Armeni dell’Artsakh sostengono lo stato e il popolo di Madre Armenia nel superare tutte le sfide vitali, perché è stato sancito dai nostri valori e interessi nazionali.
Riteniamo che la possibile firma di un accordo interstatale che regoli le relazioni Armenia-Azerbaigian possa diventare una base importante per garantire il futuro sovrano e sicuro della Repubblica di Armenia, la stabilità regionale e la pace.
Tuttavia, tenendo conto dell’importanza degli interessi degli armeni dell’Artsakh, in quanto parte inseparabile del popolo armeno, in queste relazioni, sottolineiamo che qualsiasi documento che possa ignorare l’esistenza del conflitto del Karabakh, minare la prospettiva di una sua equa risoluzione, e limitare le possibilità di riconoscimento internazionale del diritto del popolo Artsakh all’autodeterminazione e i risultati della sua attuazione è per noi inaccettabile, compresa la falsa agenda della sua subordinazione al principio dell’integrità territoriale.

In questo contesto, si evidenziano le consultazioni periodiche tra le autorità della Repubblica dell’Artsakh e della Repubblica di Armenia sull’argomento, nell’ambito delle quali il Primo Ministro della Repubblica di Armenia presenta i dettagli dei negoziati internazionali al Presidente della Repubblica dell’Artsakh, e il Presidente, a sua volta, presenta le posizioni delle autorità della Repubblica dell’Artsakh, compresi i loro disaccordi.

Durante gli ultimi tre decenni, sia la logica che i passi pratici della lotta di liberazione nazionale del popolo armeno e del processo di costruzione dello stato si sono basati sul consolidamento del potenziale pan-armeno e sull’orientamento del sostegno politico dei nostri amici e alleati nella giusta direzione. Tenendo conto dell’esperienza positiva del passato, la migliore garanzia per superare queste difficili sfide affrontate dal popolo armeno è la manifestazione dell’unità nazionale.

Abbiamo sempre apprezzato il costante sostegno dell’intero popolo armeno e della Repubblica di Armenia alla Repubblica dell’Artsakh, senza il quale non avremmo potuto registrare numerosi e importanti successi nella nostra lotta.
In questo senso, semplicemente non c’è alternativa al mantenimento e al consolidamento della trinità Armenia-Artsakh-Diaspora.
I nostri valori e interessi nazionali implicano che, indipendentemente da qualsiasi cosa, Madre Armenia dovrebbe essere sempre accanto all’Artsakh in tutte le sfere, soprattutto in termini di garanzia della sicurezza del popolo di Artsakh e del riconoscimento internazionale del diritto all’autodeterminazione.

È innegabile che il beneficiario del futuro dell’Artsakh sia l’intero popolo armeno e gli interessi dell’Armenia e dell’Artsakh dovrebbero essere visti come un tutto unico.

Considerando in particolare il contesto e le sfide del dopoguerra, sottolineiamo che finché la Repubblica dell’Artsakh non è inclusa nel processo di risoluzione dei conflitti come membro a pieno titolo e nel quadro di un formato internazionale elevato, la Repubblica di Armenia è obbligata e autorizzato a rappresentare e proteggere i diritti e gli interessi del popolo di Artsakh su piattaforme internazionali. Tali obblighi e poteri sono fissati da una serie di documenti interni e internazionali, inclusi i documenti OSCE e la dichiarazione tripartita del 9 novembre 2020.

Pertanto, siamo pronti a condurre negoziati con l’Azerbaigian sulla risoluzione del conflitto, in caso di ripristino del formato dei negoziati a tutti gli effetti, in cui la Repubblica dell’Artsakh sia riconosciuta come parte a pieno titolo.
Le autorità della Repubblica dell’Artsakh continueranno a seguire gli sviluppi geopolitici e regionali, adottando misure adeguate per gestire i rischi derivanti dalla situazione”.

Il presidente della repubblica di Artsakh (Nagorno Karabakh), Araiyk Harutyunyan, è intervenuto con un video messaggio alla nazione nel corso del quale ha affrontato temi di politici interna ed estera.
Ha premesso che “il popolo armeno sta vivendo tempi fatali, a causa della grave crisi dell’ordine mondiale, dell’instabilità della regione, dell’aggressione turco-azerbaigiana e delle nuove minacce, delle conseguenze sulla sicurezza, umanitarie, socioeconomiche e psicologiche della guerra dei 44 giorni.”
Riportiamo di seguito alcuni passaggi significativi sulla situazione internazionale e la sicurezza dello Stato.

Non solo la Repubblica di Artsakh, ma anche la Repubblica di Armenia ha problemi di sicurezza sia a breve che a lungo termine, che è la sfida principale di oggi. Dobbiamo onestamente ammettere che lo Stato armeno si trova sulla soglia di una nuova e catastrofica guerra, che potrebbe portare a conseguenze non meno gravi della guerra di 44 giorni. E la prevenzione o la gestione di tale minaccia deve avvenire con strumenti sia di sicurezza che politici.

Considerato il pericolo di un disastro imminente, sono convinto che l’unica soluzione sia quella di unire gli sforzi di tutti i principali attori, in particolare della Repubblica di Armenia, sulla base dell’unità, del dialogo sincero e del buon senso. Indipendentemente dagli strumenti che possono essere utilizzati per prevenire i disastri, il consolidamento che ho menzionato deve aver luogo in modo da poter affrontare con onore questa sfida difficile e decisiva.

Nessuno può ancora darci garanzie di sicurezza a lungo termine. A causa della preoccupazione e della distrazione della Russia, le garanzie delle forze di pace russe hanno subito una certa violazione, di cui l’Azerbaigian sta approfittando.

Nonostante il riallineamento geopolitico e le sfide esistenti nel mondo e nella regione, la Federazione Russa continua a garantire la sicurezza della popolazione dell’Artsakh, sebbene sia fragile e relativamente stabile. Ci auguriamo che sia possibile aumentare l’efficacia della missione russa di mantenimento della pace e garantire la sua presenza indefinita nell’Artsakh come la più importante garanzia per la sicurezza del nostro popolo, indipendentemente dalla sua natura incompleta.

Vogliamo pace e stabilità nell’intera regione, tuttavia, tenendo conto delle minacce dell’Azerbaigian, abbiamo il diritto e siamo obbligati a pensare anche alle capacità e alle opportunità di autodifesa.

Dovremmo compiere tutti gli sforzi possibili per garantire una pace a lungo termine, che consentirà ad Artsakh di rimanere armeno ed entrare nella fase di crescita demografica stabile. Molte delle nostre azioni sono state mirate a quell’obiettivo, incluso il mio appello alla gente a tornare a vivere in Artsakh durante il dopoguerra. Non importa quante difficoltà e rischi per la sicurezza sorgono, l’unico modo per mantenere Artsakh armeno è vivere e creare in Artsakh, e oltre alle garanzie e agli sforzi internazionali e statali.

Il conflitto azero-Karabakh non è risolto e deve ancora essere risolto, principalmente sulla base del pieno e non negoziabile riconoscimento del diritto all’autodeterminazione del popolo di Artsakh e dei risultati della sua realizzazione. Il diritto all’autodeterminazione è conferito al popolo dell’Artsakh non solo dai famosi documenti di diritto internazionale, ma anche dai documenti dell’OSCE con mandato internazionale per la risoluzione del conflitto. Esorto ancora una volta gli attori della comunità internazionale ad adempiere ai propri obblighi e a riconoscere il diritto all’autodeterminazione del popolo dell’Artsakh e l’indipendenza della Repubblica dell’Artsakh.

Tuttavia, dovremmo tutti capire che una serie di condizioni sono necessarie per la risoluzione del conflitto e il riconoscimento internazionale dell’indipendenza: una situazione geopolitica favorevole, garanzie di sicurezza efficaci, volontà e comportamento internazionali per frenare la politica aggressiva e l’appetito dell’Azerbaigian. Dobbiamo armarci di pazienza e continuare il nostro percorso scelto con una lotta strategica, mantenendo chiare le linee rosse. Nel contesto del mantenimento di quelle linee rosse ci sono le nostre affermazioni secondo cui qualsiasi documento che possa considerare l’Artsakh come parte dell’Azerbaigian è per noi inaccettabile.

Vi assicuro ancora una volta che non accetteremo alcun documento che contraddica gli interessi del popolo di Artsakh, e lo annuncio ora al mondo intero.

[traduzione e grassetto redazionale. L’intero intervento in inglese e armeno a questo link]

L’aggressione dell’Azerbaigian all’Armenia, invasa e bombardata nel suo territorio sovrano, non è solo l’ennesima avventura bellica del guerrafondaio Aliyev.

Ormai la politica del dittatore azero, tanto caro all’Europa per via del suo gas, è quella della violenza, della minaccia e del ricatto: o accettate le mie richieste o vi anniento.
Su questa nuova provocazione, gravissima per il diritto internazionale perché a danno di uno Stato internazionalmente riconosciuto, si è già scritto molto ed è accertata anche dai commentatori più neutrali la responsabilità dell’Azerbaigian nell’attacco del 12 settembre.

Quel che merita attenzione, invero, non è solo la modalità dell’aggressione (bombardamenti su insediamenti civili a chilometri di distanza dal confine internazionalmente riconosciuto) ma anche i nuovi episodi di barbarie che hanno contraddistinto l’azione dei militari azeri.

Non una novità: già nel 2016 e nel 2020 in Nagorno Karabakh-Artsakh i soldati dell’Azerbaigian avevano compiuto atti orribili a danno di soldati e civili armeni.

Tuttavia, il video dei giorni scorsi girato dagli stessi aguzzini azeri mostra tra pile calpestate di cadaveri dei nemici anche il corpo orrendamente mutilato di una soldatessa armena, Anush Abetyan, 36 anni e tre figli, alla quale (speriamo ormai non più in vita) i soldati di Aliyev hanno amputato le gambe, cavato gli occhi e messa in posa degradante; e Dio sa cos’altro le avranno fatto…

Un video che forse non è neppure l’unico perché sembra che anche un’altra armena, l’infermiera Irina Gasparyan, abbia subìto un simile trattamento.

Ecco, il mondo deve sapere che questi orchi stanno minacciando non solo l’integrità fisica dello Stato armeno ma anche il suo popolo.

L’Europa, troppo attenta a dieci miliardi di metri cubi di gas da Baku, sembra disinteressata da quanto sta accadendo. L’orrore di questi orchi passa in secondo piano di fronte agli interessi economici. E poco importa se questa cecità spianerà a breve la strada al nuovo impero ottomano di Erdogan e Aliyev.

A quel punto spunteranno le lacrime di coccodrillo. Ma sarà troppo tardi.
L’invasione degli orchi sarà ormai inarrestabile.

Ancora una volta Aliyev ha disatteso tutti i buoni propositi di una soluzione pacifica del contenzioso nel Caucaso meridionale.

I pesanti bombardamenti, senza precedenti, contro città e villaggi della repubblica di Armenia dimostrano inequivocabilmente che l’unico linguaggio che il dittatore di Baku conosce è quello della violenza, della guerra, dell’offesa e della minaccia.

Eravamo stati facili profeti due giorni fa nel preannunciare l’ennesima azione di guerra degli azeri: invio massiccio di armi e uomini al confine con l’Armenia e ripetuti comunicati denuncianti fantomatiche “provocazioni armene”. Il solito cliché al quale siamo ormai abituati da molto tempo.

L’obiettivo di questo attacco è il medesimo che portato i soldati azeri a occupare dallo scorso anno svariati chilometri quadrati di territorio armeno: conquistare posizioni in altura lungo il confine tra i due Paesi, crearsi una fascia di protezione e soprattutto avere dall’alto un controllo di tutta la piana armena sottostante.

Prossimo obiettivo, ma bisognerà vedere se l’Iran glielo permetterà (segnalato invio truppe e mezzi al confine), sarà quello di garantirsi uno spazio nel Syunik o occuparlo tutto.

La minaccia di Aliyev è chiara: firmate un accordo di pace con noi e alle nostre condizioni, riconoscete l’#Artsakh come parte integrante dell’Azerbaigian, lasciateci il corridoio di transito del Syunik e allora smetteremo di bombardarvi.

Di fronte a tale scellerato e minaccioso comportamento non c’è gas che tenga. Aliyev e l’Azerbaigian vanno sanzionati dall’Unione europea che al tempo stesso deve aiutare l’Armenia a resistere.

È ora di mettere le cose in chiaro: gli azeri sono gli aggressori autocrati, gli armeni gli aggrediti democratici (e vanno sostenuti se ancora la parola “democrazia” ha un qualche valore nel nostro continente.

Purtroppo lo sconquasso della guerra in Ucraina non solo sta distogliendo l’attenzione dell’opinione pubblica, ma al tempo stesso crea alleanze e contro alleanze trasversali. La situazione dell’Armenia finisce con l’essere l’ultimo dei problemi…

Ora però l’Europa, come detto, è chiamata a una scelta: ci deve dire se (citazione di Ursula von der Leyen) Aliyev sia ancora un partner affidabile oppure sia arrivato il momento di imporgli uno stop. La questione della fornitura di gas non è rilevante: noi lo compriamo e lui lo vende, il vantaggio è per entrambi.

Ma se proprio dovesse tirar diritto con le sue provocazioni, vorrà dire che ci metteremo un maglione in più: in ballo c’è la credibilità dell’Europa, non una disputa di confine tra due Paesi.
Aliyev è un ingordo e prima o poi un boccono gli finirà di traverso…

Il rifiuto degli ambasciatori Usa e Francia a Baku di recarsi in visita nella città armena occupata di Shushi ha provocato l’irritazione del regime di Aliyev che tramite un suo portavoce ha detto che questa scelta è un insulto all’integrità territoriale dell’Azerbaigian.

Di contro, la decisione dei diplomtaici dei due Paesi co-presidenti del Gruppo di Minsk dell’Osce è stata accolta positivamente dall’Assemblea nazionale di Stepanakert.

Il ministro degli Esteri dell’Artsakh (Nagorno Karabakh) David Babayan a sua volta ha accolto con favore questa rinuncia (che peraltro non aveva fatto l’ambasciatore dell’altro Paese co-presidente, la Russia) e la considera un importante passo politico e umanitario sottolineando altresì il perdurante tentativo azero di distruggere l’azione del Gruppo di Minsk.

Tuttavia, le ragioni delle azioni dell’Azerbaigian per sciogliere il Gruppo di Minsk risiedono altrove. La ragione principale dell’interesse di Baku per il crollo del Gruppo di Minsk dell’Osce, e, in particolare, dell’istituzione della co-presidenza di questo gruppo, è che attraverso questo l’Azerbaigian sta cercando di distruggere lo status diplomatico internazionale de facto e de jure di Artsakh, che è una parte riconosciuta del conflitto azerbaigiano-karabako e del processo negoziale.
E la maggior parte dei documenti, delle dichiarazioni e degli altri atti politici e legali pertinenti rientrano nella sfera di attività del gruppo di Minsk e del processo di Minsk.
Lo scioglimento del Gruppo di Minsk e la co-presidenza di questo gruppo, secondo la logica di Baku, dovrebbe di fatto livellare lo status diplomatico internazionale de facto e de jure dell’Artsakh.

Qui Baku e Ankara agiscono insieme, facendo ogni possibile uso delle contraddizioni tra la Russia e l’Occidente, che tocca anche l’attività della co-presidenza del Gruppo di Minsk. Ma questo flirt emotivo, attraverso il quale l’alleanza azerbaigiana-turca sta cercando di ingannare la Russia, è naturalmente tattico e temporaneo nella sua natura.
È abbastanza ovvio che sia la Turchia che l’Azerbaigian stanno facendo tutto il possibile per minare la missione russa di mantenimento della pace nell’Artsakh, ben sapendo che con il ritiro della Russia, anche l’Artsakh sarà distrutto, la distruzione dell’Artsakh a sua volta porterà a cambiamenti geopolitici tettonici nel Transcaucaso e nei vasti spazi geopolitici adiacenti, che creerà minacce esistenziali per un certo numero di Paesi, in primo luogo per la Russia. Ciò rappresenta una minaccia, tra l’altro, anche per l’Occidente, solo a lungo termine.

È anche possibile che una tale politica massimalista di Baku miri anche a questo tipo di ricatto per ottenere l’inclusione della Turchia nei Paesi co-presidenti del gruppo di Minsk come una sorta di compensazione per Baku per ammorbidire la sua posizione dura.

Sono fiducioso che questa e molte altre cose siano ben comprese a Mosca, Washington e Parigi. È anche ovvio che il Gruppo di Minsk dell’Osce e la sua attuale co-presidenza non hanno ancora alternative” ha dichiarato Babayan.