Corpi morti e corpi vivi
A quasi settanta giorni dalla fine della guerra le squadre di ricerca del Servizio di emergenza dell’Artsakh, coadiuvate da militari russi e dalla Croce Rossa internazionale, stanno ancora recuperando corpi di soldati armeni caduti nelle zone ora sotto controllo dell’Azerbaigian. Il macabro conto viene aggiornato quasi tutti i giorni.
Spesso i cadaveri sono in avanzato stato di decomposizione ed è necessario un esame del dna per risalire all’identità.
Quasi tutti sono soldati, ma vengono rinvenuti anche civili vittime della pulizia etnica azera; l’ultimo caso è di una donna di 58 anni, parzialmente disabile, originaria del villaggio di Karin Tak ai piedi della città di Shushi. Non aveva voluto abbandonare la propria abitazione ed è stata ritrovata morta con orecchie e mani mutilate.
Hunan Tadevosyan è il capo del dipartimento per le informazioni e le pubbliche relazioni del Servizio statale Artsakh per le situazioni di emergenza e ogni mattina tiene una conferenza stampa per aggiornare la contabilità. Un atto dovuto sia per documentare l’attività di ricerca ma anche per fornire qualche speranza in più alle famiglie dei soldati dispersi.
Per questo, nonostante il tempo trascorso dalla firma della tregua il 9 novembre, le attività continuano.
Nel corso del suo briefing di domenica mattina, Tadevosyan ha precisato un particolare operativo importante: “Due squadre, ciascuna, lavoreranno; una cercherà i corpi dei morti, l’altra cercherà quelli che si sono nascosti“.
Si tratta di un’affermazione importante. Le autorità non perdono la speranza di ritrovare vivi altri soldati armeni che si sono nascosti nelle foreste dell’Artsakh per sfuggire al nemico.
Uscire allo scoperto significherebbe nella migliore delle ipotesi essere fatti prigionieri, nella peggiore venire ammazzati sul posto. D’altronde il presidente azero Aliyev li ha già etichettati come terroristi (per quanto non si sia mai registrato a oggi alcun atto sovversivo dietro la linea di contatto…) e come tali li ha esclusi dalle misure di tutela previste dalle convenzioni internazionali.
Non si esclude, dunque, che piccoli gruppi o uomini isolati abbiano sfidato le avverse condizioni meteo per sfuggire a una triste sorte e siano ancora vivi tra le montagne dell’Artsakh meridionale dove si è combattuto ferocemente fino a poco più di due mesi fa.