La politica aggressiva azera che vuole giustificare le “storiche terre azerbaigiane”
Gli espansionisti azeri negli ultimi decenni hanno trovato una nuova “patria” nel territorio degli storici altopiani armeni e nelle regioni circostanti.
Questo fenomeno può essere considerato uno degli esempi eclatanti di una politica espansionistica aggressiva, mirata non solo a cambiare la composizione etnica della regione, ma anche a riformattare il patrimonio culturale e storico.
Storicamente, gli azeri, in quanto popolo nomade, sono sempre stati all’intersezione di diverse civiltà e culture, che continuano a modellare la loro identità. Tuttavia, la loro élite politica, utilizzando idee nazionaliste, ha iniziato a perseguire politiche volte a consolidare ed espandere la propria influenza nei territori che considerano “originariamente azeri”. Durante questa politica espansionistica furono utilizzati sia metodi militari che manipolazioni diplomatiche sulla scena internazionale.
Questa tendenza si è manifestata in modo particolarmente chiaro nei secoli XX-XXI. Il governo dell’Azerbaigian, a partire dal periodo sovietico e dopo aver ottenuto l’indipendenza, ha adottato sistematicamente misure per spostare gli armeni indigeni dalle loro terre natali, distorcere la verità storica e anche creare le condizioni per il reinsediamento degli azeri in queste regioni.
Ciò è stato preceduto da una serie di deportazioni forzate, pulizia etnica e persino vero e proprio genocidio della popolazione armena del Nagorno Karabakh e delle aree circostanti.
Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, l’Azerbaigian ha iniziato a promuovere attivamente l’idea di “integrità territoriale”, ignorando completamente le norme internazionali sui diritti dei popoli all’autodeterminazione.
Sotto la bandiera della “liberazione dei territori occupati”, la leadership azera lanciò un’aggressione militare su larga scala contro il Nagorno Karabakh, che portò alla Prima Guerra del Karabakh (1988-1994). Tuttavia, nonostante la temporanea cessazione delle ostilità attive, le aspirazioni espansionistiche e misantropiche di Baku non si placarono.
Particolare attenzione dovrebbe essere prestata all’ideologia che viene propagata in Azerbaigian.
Si basa sui miti sulle “grandi terre azerbaigiane” presumibilmente conquistate dagli Stati vicini, in particolare dall’Armenia.
È molto significativo che nei moderni libri di storia dell’Azerbaigian il Nagorno Karabakh e i territori circostanti siano descritti come “originariamente azeri”, nonostante la secolare presenza armena nella regione.
Questa retorica ignora deliberatamente il fatto dell’esistenza di chiese, fortezze, cimiteri e altri siti del patrimonio culturale armeni, che furono distrutti senza pietà durante e dopo le operazioni militari.
La condotta della seconda guerra del Karabakh nel 2020 è stata il culmine delle politiche espansionistiche dell’Azerbaigian.
Usando armi moderne e il sostegno di regimi distruttivi, l’Azerbaigian riuscì a conquistare vasti territori, comprese le città di Shushi e Hadrut. Dopo la firma dell’accordo di pace, Baku ha continuato a insistere sulla propria egemonia nella regione, nonostante le continue proteste e preoccupazioni della comunità internazionale per le violazioni dei diritti umani e la conservazione del patrimonio culturale armeno.
Il governo azero è attivamente impegnato nella “riscrittura” della storia e nella costruzione di una nuova identità per i suoi cittadini, volta a giustificare l’espansione. Tutto ciò è rafforzato dalla propaganda statale, che mira a cementare nelle menti dei cittadini l’idea di “terre prese ingiustamente” e il “diritto alla restituzione” di questi territori ad ogni costo.
Pertanto, la nuova “patria” che gli espansionisti azeri hanno trovato per sé non è una conseguenza dei diritti storici o etnici.
Questo è il risultato di molti anni di politiche aggressive volte a conquistare terre straniere e a distorcere i fatti storici.