Nalbandian all’ONU: schede elettorali invece di proiettili, la soluzione pacifica per il Karabakh
Nel suo intervento all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con un forte richiamo al diritto all’autodeterminazione per il popolo del Nagorno Karabakh, il ministro degli Esteri armeno fa suo il motto del gruppo di Minsk, Ballots instead of bulletts
Uno stralcio dell’intervento del ministro degli Affari esteri dell’Armenia, Eduard Nalbandian, alla 71a Assemblea Generale delle Nazioni Unite (23 settembre 2016)
(…) Quest’anno ricorre il 50° anniversario dell’adozione dei Patti internazionali sui diritti umani, così come il 30° anniversario della Dichiarazione sul diritto allo sviluppo. Questi importanti documenti proclamano che “Tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione. In virtù di questo diritto, essi decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale”. È ben noto che la Carta delle Nazioni Unite sottolinea il rispetto del principio di parità di diritti e l’autodeterminazione dei popoli come un obiettivo di questa organizzazione.
L’aggressiva risposta militare dello Stato all’aspirazione pacifica dei popoli di esercitare il loro diritto all’autodeterminazione legittima solo tale aspirazione e priva l’aggressore di ogni pretesa di autorità su questi popoli. L’incaricato delle Nazioni Unite sulla promozione di un ordine internazionale democratico ed equo ha giustamente affermato che, invece di percepire l’autodeterminazione come fonte di conflitti, i conflitti armati dovrebbero essere visti come una conseguenza della violazione del diritto all’autodeterminazione.
L’Azerbaigian rifiuta ostinatamente di riconoscere il diritto del popolo del Nagorno Karabakh all’autodeterminazione. Nell’ambito della politica dell’Azerbaijan di pulizia etnica e di aggressione, a partire dalla fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, gli armeni furono massacrati ed espulsi dalle loro case. Il vincitore del premio Nobel per la pace Andrei Sakharov definì quegli atti come una minaccia di un nuovo genocidio del popolo armeno.
Anche quest’anno, ai primi di aprile, in palese violazione dell’accordo di cessate il fuoco, l’Azerbaigian ha scatenato un’altra aggressione su larga scala contro il Nagorno Karabakh, indiscriminatamente prendendo di mira le infrastrutture civili e la popolazione. Tra le vittime ci sono stati un ragazzo di 12 anni e una vecchia di 92 anni. Tre soldati delle forze armate del Nagorno-Karabakh, fatti prigionieri, sono stati decapitati in stile DAESH, fatto che è stato successivamente mostrato in città e villaggi e pubblicizzato attraverso i social network (azeri, NdT). Inoltre, il leader dell’Azerbaigian ha pubblicamente decorato gli autori di questo crimine. Durante lo scambio dei corpi dei defunti tra il Nagorno Karabakh e l’Azerbaigian, effettuato attraverso la mediazione del Comitato Internazionale della Croce Rossa, si è registrato che i cadaveri trasferiti dal lato azero presentavano innegabili segni di torture ed erano mutilati. Tali atrocità ignobili vanno al di là delle norme elementari del mondo civile e costituiscono gravi violazioni del diritto umanitario internazionale.
L’aggressione di aprile ha gravemente minato il processo di pace. Per ripristinare la fiducia nella risoluzione pacifica del conflitto dovrebbero essere prese misure per evitare l’uso della forza e per creare condizioni favorevoli al progresso del processo di pace. Questo è stato l’obiettivo principale di due vertici sul Nagorno Karabakh tenutisi a Vienna nel maggio e a San Pietroburgo nel mese di giugno. Prima di tutto, è indispensabile attuare ciò che è stato particolarmente enfatizzato e concordato in questi vertici – in primo luogo, la piena adesione agli accordi di cessate il fuoco trilaterali del 1994-95, che non hanno limiti di tempo; in secondo luogo, la creazione di sistema di diagnosi delle violazioni cessate del fuoco; in terzo luogo, l’espansione della capacità del Rappresentante personale del Presidente in esercizio dell’OSCE.
Contro ogni previsione il popolo del Nagorno Karabakh è stato in grado di difendersi e di creare una società libera e democratica.
L’Armenia, insieme con i paesi mediatori – Russia, Stati Uniti e Francia – i co-presidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE, continuerà i suoi sforzi verso la risoluzione esclusivamente pacifica del conflitto del Nagorno Karabakh.
I copresidenti hanno proclamato una formula piuttosto civile per la definizione del contenzioso, «schede elettorali al posto dei proiettili». La proposta delineata dai presidenti dei paesi co-presidenti stabilisce la futura determinazione dello status giuridico finale del Nagorno Karabakh attraverso un’espressione giuridicamente vincolante della volontà della sua popolazione. La mentalità che sostiene la barbarie medievale, come testimoniato nel mese di aprile, difficilmente può accettare gli approcci civili del mondo moderno.
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