Parla il presidente dell’Artsakh: lo Stato opera in esilio e il decreto di scioglimento fu annunciato per garantire una uscita sicura della popolazione
Il presidente dell’Artsakh Samvel Shahramanyan ha rilasciato un’intervista al quotidiano francese ‘Le Figaro’, dove ha fatto riferimento al documento di “scioglimento” dell’Artsakh, al ritorno dei cittadini dell’Artsakh in patria e ad altre questioni.
In particolare, ha notato che nell’Artsakh ci sono ancora 10-11 persone malate o disabili, che non possono muoversi liberamente e non vogliono lasciare le tombe dei loro parenti.
Dopo l’attacco di settembre, il numero dei rimasti è stato leggermente più alto (varie fonti parlavano di 50), ma la maggior parte di loro se n’è andata tramite la Croce Rossa.
Parlando dell’eventuale contatto con i prigionieri, il presidente dell’Artsakh ha osservato che oltre agli 8 leader dell’Artsakh, ci sono anche 7 militari catturati a settembre.
Secondo lui, al momento non esiste una data chiara per il cosiddetto processo giudiziario.
Ha anche fatto riferimento al tema della cosiddetta “intervista” dell’ex presidente Harutyunyan osservando che è stata fatta sotto coercizione.
Allo stesso tempo, il presidente dell’Artsakh ha chiesto alla Francia di esercitare pressioni sull’Azerbaigian, chiedendo il rilascio di tutti i prigionieri.
“Chiedo il loro rilascio immediato e incondizionato, così come il rilascio di tutti i detenuti armeni, arrestati arbitrariamente, ingiustamente imprigionati con accuse infondate. E chiedo alla Francia di fare pressione su Aliyev“, ha detto Shahramanyan.
Il presidente ha risposto alla domanda se esiste un collegamento tra l’elezione del quinto presidente dell’Artsakh e il successivo attacco.
Shahramanyan ha negato, ricordando che gli azeri avevano già accumulando truppe sulla linea di contatto.
“Era chiaro che dopo un assedio di nove mesi per indebolirci, avrebbero attaccato“.
Riferendosi al tema dello “scioglimento” dello Stato e al successivo decreto sulla cancellazione di quel “documento”, Shahramanyan ha dichiarato: “Il 19 settembre, fin dall’inizio dell’aggressione, abbiamo capito che saremmo stati soli a difenderci e che anche i russi presenti sul posto non sarebbero intervenuti. A causa dello squilibrio delle forze non abbiamo avuto la possibilità di opporre resistenza, per questo motivo abbiamo stabilito rapidamente un contatto con gli azeri, in modo che la popolazione civile fosse quanto più libera possibile dalle operazioni di combattimento. Dopo dodici ore di trattative abbiamo posto fine alle ostilità. Il giorno successivo, i cittadini dell’Artsakh hanno chiesto di evacuare in Armenia, temendo omicidi di massa da parte degli invasori. Quindi abbiamo avviato un secondo ciclo di trattative per rendere la loro evacuazione il più agevole possibile. Baku ci ha inviato un documento in cui l’Assemblea nazionale doveva dichiarare che “il popolo dell’Artsakh rinuncia ai propri diritti, alla propria sovranità, ai propri simboli”. Ma perché quel documento fosse valido, il parlamento doveva votare. Ho fatto una controproposta che il presidente, cioè io, annunciassi lo scioglimento dell’Artsakh il 1° gennaio. Era una garanzia di un’evacuazione relativamente sicura. Sapevo benissimo che quel documento era illegale e incostituzionale, perché doveva essere ratificato dalle strutture giuridiche della Repubblica dell’Artsakh, ma era l’unico modo per salvare i miei connazionali.”
Alla domanda di ‘Le Figaro’ se esista uno Stato e un governo in esilio, Shahramanyan ha dato una risposta positiva, dicendo: “Sì, nell’edificio in cui vi ospito a Yerevan si trovano l’ufficio del presidente dell’Artsakh e gli uffici delle strutture giudiziarie e legislative. I parlamentari possono riunirsi qui per votare. In ottobre ho firmato un decreto che prevede che tutti i ministri del governo rimangano al loro posto su base volontaria“.
Ha parlato anche del possibile ritorno dei cittadini dell’Artsakh. A questo proposito, ha detto Shahramanyan. “Nella situazione attuale, non è realistico pensare di tornare nel nostro territorio occupato dagli azeri. È necessario tenere conto delle realtà dei popoli dell’Azerbaigian e dell’Artsakh che si considerano nemici. A Baku, ai giovani azeri viene insegnato a scuola che gli armeni sono nemici. Ci vorranno anni perché la mentalità del popolo azerbaigiano cambi e la convivenza pacifica tra i vicini diventi possibile. E qui penso tanto agli armeni dell’Armenia quanto agli armeni dell’Artsakh. Come possono le autorità di Yerevan considerare sicuro il loro Paese, quando alcune parti del suo territorio sono già occupate dagli azeri, e i leader di Baku dichiarano pubblicamente i loro diritti sugli altri?“.