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Ilfattoquotidiano.it del 31.12.2019 di Pierfrancesco Curzi

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I massimi esperti di strategia militare e di geopolitica lo definirebbero un conflitto ‘a bassa intensità’, ma che si protrae nel tempo con periodiche violazioni del cessate-il-fuoco. L’autoproclamata Repubblica è oggi una lingua di terra in territorio azero, ma abitata da armeni, schiacciata, come Erevan, tra due potenze economiche cresciute enormemente negli ultimi decenni: Turchia e Azerbaigian

Il primo gennaio del 1990 era un lunedì. Per le strade di Baku, allora capoluogo della Repubblica Sovietica dell’Azerbaigian, una folla di alcune decine di migliaia di persone intonava canti anti-armeni: “Gloria agli eroi di Sumqait” e “Lunga vita a Baku senza gli armeni”. Era l’annuncio di ciò che sarebbe accaduto di lì a breve: era iniziato il Pogrom di Baku, la soluzione finale per liberare quel territorio dagli scomodi vicini. Soprattutto, era scattato quello che i testimoni del tempo chiamano “Il gennaio nero”.

Il grosso dei cittadini di origine armena residenti a Baku, circa 250mila, se n’era andato nei due anni precedenti, da quando, cioè, l’ideologia settaria aveva prodotto le violenze nella città di Sumqait, a nord dell’attuale capitale azera. In quel primo gennaio di trent’anni fa nella città appollaiata sulla sponda occidentale del mar Caspio rimanevano poche decine di migliaia di armeni, per la maggior parte persone vulnerabilivecchi e ammalati. Le modalità repressive sembravano prendere spunto dai blitz nazisti nei ghetti ebraici di mezzo secolo prima: “I vertici azeri avevano formato delle squadre il cui scopo era entrare nelle nostre case senza alcun rispetto, dandoci il tempo di raccattare le poche cose e andarcene, facendo firmare un documento in cui si concedeva la vendita dell’immobile. A questi funzionari la gente doveva consegnare tutti i soldi e i beni preziosi e ad ogni casa svuotata seguiva una sorta di marchio all’esterno con il termine ‘pulita’”.

Saro Saryan ha combattuto ed è rimasto ferito nel conflitto interregionale scoppiato nel 1988 tra Armenia e Azerbaigian per la contesa del Nagorno Karabakh. Prima di imbracciare il fucile, Saro ha vissuto sulla sua pelle il dolore dei pogrom e la fuga verso una nuova esistenza, scegliendo proprio il Nagorno Karabakh. Oggi vive con la sua famiglia a Shusha, secondo centro dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh, e accoglie gruppi di turisti che si spingono nel profondo sud dell’Armenia per conoscere la storia complessa ed affascinante di una terra non riconosciuta ufficialmente a livello internazionale: “Fummo costretti ad andarcene, io e la mia famiglia, ma ad altri andò peggio, sono storie e momenti pesanti da ricordare – racconta Saryan – Quello tra il 1988 e il gennaio del 1990 è chiamato il pogrom di Baku ed è ricordato nella storia, ma di pogrom nei nostri confronti ce ne sono stati tanti, sin dal 1918, divisi tra Azerbaigian e Turchia. Da più di un secolo i due paesi vicini cercano di ‘conquistarci’ imponendoci le loro regole. Noi, in mezzo, resistiamo. Il loro obiettivo è legare la Turchia a tutte le ex repubbliche islamiche, fino a KazakistanTurkmenistan e le altre. Noi armeni, in questo senso, li disturbiamo, per questo siamo costretti a subire le loro continue provocazioni, come il mancato riconoscimento del genocidio armeno. Sì, io ho combattuto e sono rimasto ferito due volte e alla causa armena del Karabakh ha contribuito anche mio figlio”.

La storia si ripeteva nel profondo Caucaso, terra di tensioni interetniche e religiose. Stando agli storici, non esiste un numero certo sulle vittime causate dal pogrom di Baku, sebbene alcuni sostengano la tesi di un numero vicino alle 300 unità. Il grosso dei morti e dei feriti si verificò tra il 12 e il 19 gennaio e l’arrivo, tardivo, dell’esercito di Mosca il 20 gennaio contribuì a chiudere una delle pagine più drammatiche della storia sovietica. Al pogrom di Baku si lega, inevitabilmente, la questione del Nagorno Karabakh, questa fetta di territorio grande come la Basilicata contesa tra le due ex repubbliche sovietiche rivali.

I massimi esperti di strategia militare e di geopolitica lo definirebbero un conflitto ‘a bassa intensità’, ossia con un uso limitato della forza. Applicato alla guerra del Nagorno Karabakh, in effetti, il concetto può avere un senso. Questa lingua di territorio al confine con l’Iran, da sempre al centro di una contesa territoriale che si perde nella notte dei tempi, dal 1988 ad oggi vede due eserciti affrontarsi in una sorta di guerra di trincea, con operazioni militari limitate a periodi di schermaglie più o meno intensi, dove a farla da padroni sono i cecchini. In trent’anni di conflitto il bilancio non raggiunge le 4mila vittime. Gli anni più sanguinosi sono stati quelli tra il 1990 e il 1994, quando un cessate-il-fuoco coordinato dall’Osce sembrava aver chiuso una crisi esplosa proprio mentre il gigante sovietico si stava dissolvendo.

Geograficamente e politicamente la regione del Nagorno Karabakh è considerata territorio azero, anche se da sempre abitato da armeni. Azerbaigian e Armenia, appunto: due nazioni che di certo non si sono mai amate e la cui convivenza è stata forzatamente anestetizzata dall’influenza dei soviet sin dai tempi di Stalin che, tra il 1920 e il 1923, decise di creare l’oblast autonomo del Nagorno Karabakh, assegnando la regione a Baku.

Forte dello scompenso istituzionale che avrebbe portato alla dissoluzione dell’Unione Sovietica e alla nascita di quindici (compresa la Russia) ex repubbliche in stati indipendenti, tra il 1991 e il 1992, la popolazione armena della regione (98% del totale) decise di fondare la Repubblica autonoma dell’Artsakh. A quell’epoca il conflitto armato tra Azerbaigian e Armenia era già iniziato, eppure la vera scintilla che innescò una crisi ormai senza fine e senza soluzione scoccò esattamente trent’anni fa. A Baku, così come a Sumqait, Ganja e altri centri a ridosso del confine conteso della regione autonoma, tra cui la ghost-town di Agdam. Decine di migliaia di persone di etnia armena furono costrette a lasciare le proprie case e riparare proprio in Nagorno Karabakh (altre scelsero mete diverse, tra cui la stessa Erevan, quella che di lì a breve sarebbe diventata la capitale dell’Armenia), in particolare a Stepanakert (Xankendi), attuale capitale dell’Artsakh, Shusha e Goris.

La possente Armata Rossa, ormai all’epilogo come l’intero sistema sovietico, caduto definitivamente il giorno di Natale del 1991, cercò invano di ripristinare la normalità, ma ormai il danno era stato fatto. La scintilla decisiva del conflitto tra Baku e Erevan è legata proprio al pogrom del gennaio 1990. Da allora, nonostante il cessate-il-fuoco del 1994, la guerra non conosce fine. Dall’inizio del terzo millennio, l’anno con più morti è stato il 2014 (72, soprattutto militari, pochissimi i civili). La recrudescenza dei fatti di sangue si ripete con puntuale drammaticità. Le analogie con altre crisi internazionali si sprecano. Per molti versi la situazione nel Caucaso somiglia alla guerra dei Balcani dei primi anni ’90, ma anche ai troubles nordirlandesi per numero di vittime e per le contrapposizioni religiose e, infine, alla questione palestinese. In questi giorni nella Repubblica autoproclamata dell’Artsakh sono partite le iniziative per celebrare i drammatici eventi dei primi di gennaio del 1990: commemorazioni e raccolte fondi a favore dei rifugiati armeni scappati dalle violenze. Tra gli organizzatori degli eventi c’è soprattutto Saro Saryan.

Dalla fine ufficiale del conflitto in Nagorno Karabakh, nel 1994, ad oggi le cose a livello geopolitico sono cambiate molto. Sia la Turchia che l’Azerbaigian non sono più i paesi che erano allora, soprattutto a livello economico, mentre l’Armenia è sostanzialmente rimasta al palo. La guida della dinastia politico-affaristica azera della famiglia Aliyev, è passata da Heidar ad Ilham, quest’ultimo dal 2003 ad oggi sempre alla guida di uno stato arretrato, addirittura povero, diventato, in pochi anni, una potenza mondiale. Il moderno Azerbaigian si è trasformato in una sorta di emirato, alla stregua di Bahrein Qatar, e Baku in una città da sogno proibito come Dubai. La scoperta e lo sfruttamento di enormi giacimenti di petrolio e di gas naturale nella sua porzione del mar Caspio hanno reso l’ex repubblica caucasica una meta affaristica, diversamente dai vicini. Questo distacco, al momento incolmabile, tra Azerbaigian e Armenia rischia di aumentare il tenore del conflitto cristallizzato in Nagorno Karabakh. Intanto, la Repubblica dell’Artsakh si prepara a un altro evento molto atteso: “A breve, in aprile, si terranno le elezioni, sia per il presidente che per il parlamento – conclude Saryan – Non dovrebbe cambiare molto, ma intanto la leadership nel nostro territorio riesce a garantire l’unità politica e sociale di un territorio contro l’invasione azera. Non ci arrenderemo mai”.

L’intervento del ministro degli Esteri dell’Armenia, Zohrab Mnatsakanyan , al Consiglio ministeriale dell’Osce di Bratislava. Parole chiare per risolvere il conflitto.

Signor Presidente,

Cari colleghi, Signore e signori, Signor Presidente, grazie per l’ospitalità e grazie per la leadership di questa Organizzazione durante tutto l’anno!

Ieri abbiamo tenuto un altro giro di consultazioni con la mia controparte azera e i copresidenti del Gruppo Minsk dell’OSCE, il quinto di fila solo per quest’anno. A tale proposito, voglio illustrare la posizione dell’Armenia sugli aspetti chiave dell’insediamento pacifico del conflitto del Nagorno Karabakh.

In primo luogo, non vi è alternativa alla soluzione pacifica del conflitto all’interno della copresidenza del Gruppo Minsk dell’OSCE, un formato che è obbligatorio e sostenuto a livello internazionale.

In secondo luogo, il diritto inalienabile del popolo del Nagorno Karabakh all’autodeterminazione rappresenta un principio e una base fondamentali per la risoluzione pacifica. Il riconoscimento di questo principio non deve essere limitato nell’ambito della determinazione dello status finale del Nagorno Karabakh, deve essere chiaramente e inequivocabilmente accettato. Il termine “senza limitazione” implica chiaramente anche il diritto del popolo del Nagorno Karabakh di mantenere e determinare uno status al di fuori della giurisdizione, sovranità o integrità territoriale dell’Azerbaigian. Le persistenti politiche e azioni ostili dell’Azerbaigian volte a minare e minacciare la sicurezza fisica esistenziale del popolo del Nagorno Karabakh, compresa l’ultima tentata aggressione dell’Azerbaigian contro il Nagorno Karabakh nell’aprile 2016, sottolineano l’illegittimità e l’impossibilità di rivendicare la giurisdizione dell’Azerbaigian sul popolo del Nagorno Karabakh.

L’Azerbaigian deve assumere un impegno diretto per il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione del popolo del Nagorno Karabakh attraverso la libera espressione legalmente vincolante della volontà delle persone che vivono nel Nagorno Karabakh, il cui esito non dovrebbe avere limiti.

In terzo luogo, la sicurezza della popolazione del Nagorno Karabakh non sarà compromessa. In nessun caso la popolazione del Nagorno Karabakh dovrebbe essere lasciata senza linee di difesa sicure. Non vi sarà alcuna condizione di assumere un rischio per la sicurezza fisica esistenziale della popolazione del Nagorno Karabakh, come è avvenuto nel 1991-1994 e nel 2016. Per sottolineare questo punto, mi riferisco alla situazione nei territori del Nagorno Karabakh, attualmente occupati dall’Azerbaigian, in cui gli armeni erano stati ripuliti etnicamente e i territori sono stati completamente reinsediati dall’Azerbaigian. Questa realtà è stata recentemente presentata dalla dirigenza dell’Azerbaigian come un buon esempio di soluzione del conflitto nel Nagorno Karabakh.

In quarto luogo, la soluzione pacifica dovrebbe essere inclusiva coinvolgendo direttamente tutte le parti in conflitto. Pertanto, il Nagorno Karabakh attraverso i suoi rappresentanti eletti dovrebbe essere una parte diretta nel processo negoziale. A questo proposito, sottolineiamo la necessità del pieno impegno dei rappresentanti eletti di Artsakh nel processo di pace, in particolare sulle questioni fondamentali della sostanza. Il governo dell’Armenia non intraprenderà mai alcuna attività che possa violare il diritto del popolo del Nagorno Karabakh di determinare liberamente il proprio status politico o privarlo della proprietà di questo processo.

In quinto luogo, una soluzione pacifica non può aver luogo in un ambiente di tensioni e rischi di escalation. Pertanto, gli accordi di cessate il fuoco del 1994 e 1995 conclusi tra Azerbaigian, Nagorno Karabakh e Armenia dovrebbero essere rigorosamente rispettati e rafforzati. Dovrebbero essere attuati meccanismi di riduzione del rischio, compresi i meccanismi dell’OSCE che indagano sulle violazioni del cessate il fuoco e monitorano il regime del cessate il fuoco, anche attraverso l’espansione dell’ufficio del PRCiO [Rappresentante personale del Presidente dell’Osce in carica, NdT].

In sesto luogo, il principio di base del non uso della forza o della minaccia dell’uso della forza dovrebbe essere rispettato incondizionatamente. Le politiche di odio, intolleranza, xenofobia, armenofobia, istigate e dirette dalla leadership dell’Azerbaigian dovrebbero essere denunciate. Gli sforzi dovrebbero essere rafforzati per preparare le popolazioni alla pace e per creare un ambiente favorevole alla pace.

In settimo luogo, le posizioni massimaliste dell’Azerbaigian, che ignorano la volontà e la sensibilità del popolo del Nagorno Karabakh, sono ostacoli fondamentali a un progresso significativo nel processo di pace. L’incapacità delle autorità dell’Azerbaigian di ricambiare la richiesta di un compromesso da parte dell’Armenia è un caso specifico. Per ricordare, il Primo Ministro dell’Armenia ha dimostrato una forte volontà politica nell’annunciare che qualsiasi accordo dovrebbe essere accettabile per il popolo di Armenia, Artsakh e Azerbaigian, il che significa che l’accordo può essere basato solo su un compromesso.

Signor Presidente, l’Armenia rimane impegnata in buona fede nel processo negoziale e continuerà a lavorare costantemente per una soluzione pacifica. Allo stesso tempo, è inaccettabile che alla luce degli attuali sviluppi politici interni in Azerbaigian, quest’ultimo stabilisca le condizioni preliminari per il processo di pace, come manifestato in un documento di sintesi diffuso alla vigilia di questo Consiglio dei ministri. L’Armenia respinge tale approccio non costruttivo.

Infine, nell’ultimo mese abbiamo dimostrato un esempio modesto e tuttavia importante di rafforzamento della fiducia tra tutte le parti in conflitto. Lo scambio di giornalisti provenienti da Armenia, Nagorno Karabakh e Azerbaigian è un promettente esempio di costruzione di fiducia e dialogo inclusivo tra le parti a livello pubblico. Siamo pronti a sviluppare ulteriormente questo esempio. Inoltre, il livello relativamente basso di violenza lungo la linea di contatto e il confine internazionale, nonché l’uso della linea di comunicazione diretta dovrebbero essere sostenuti e potenziati. Tuttavia, restiamo seriamente preoccupati del fatto che, nonostante queste misure, ci siano state perdite e lesioni che avrebbero potuto essere evitate.

Mantenere gli impegni è fondamentale per creare fiducia nelle prospettive di soluzione definitiva del conflitto.

In conclusione, vorrei dare il benvenuto all’Albania come presidente entrante e augurare loro ogni successo. Grazie.

(traduzione e grassetto redazionali)

Dopo mesi di relativa calma si rialza la tensione lungo la linea di contatto tra Artsakh (Nagorno Karabakh) e Azerbaigian. E gli azeri lasciano un caduto nella terra di nessuno.

L’Esercito di Difesa dell’Artsakh ha infatti respinto un tentativo di penetrazione in territorio armeno di soldati azeri. Ne dà notizia il ministero della Difesa che indica in un punto non precisato del settore sud orientale il luogo di azione nemica.

Il fatto, peraltro sembrerebbe documentato da telecamere di sorveglianza, è accaduto domenica 22 intorno alle 16,15 ora locale. Le forze azere sono state respinte indietro alle loro postazioni ma hanno lasciato in zona neutrale un caduto.

Il ministero della Difesa dell’Azerbaigian ha respinto le accuse armene circa un tentativo di penetrazione ma ha ammesso la perdita di un soldato, Ramin Abdulrahmanov. Questi si troverebbe in effetti nella terra di nessuno tra le opposte postazioni difensive al punto che gli azeri avrebbero chiesto l’intervento della Croce Rossa Internazionale per rimuovere il corpo. Nei suoi comunicati ufficiali Baku non ha fornito alcuna spiegazione riguardo la presenza del soldato in quella porzione di territorio neutrale.

Si tratta del primo grave episodio di violazione del regime di cessate-il-fuoco dopo mesi di relativa calma. Per la cronaca, nella giornata di lunedì 23 a New York, a margine dei lavori della Sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, si incontrano i ministri degli Affari esteri di Armenia e Azerbaigian.



East Journal (11 aprile 2019) di Aleksej Tilman

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Lo scorso 29 marzo si è svolto a Vienna un incontro ufficiale tra il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, e il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev. È la quarta volta che i due leader si sono parlati di persona
da quando Pashinyan è salito in carica come conseguenza della cosiddetta Rivoluzione di velluto di un anno fa.

Il colloquio nella capitale austriaca ha un ruolo simbolico rilevante. A
differenza dei tre precedenti, si è svolto sotto l’egida del Gruppo di Minsk dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), la struttura di lavoro che dal 1992 è incaricata della risoluzione del conflitto del Nagorno-Karabakh.

Una questione irrisolta

Il controllo di questo remoto territorio montuoso costituisce il pomo della
discordia nelle relazioni tra Baku e Erevan fin dall’epoca sovietica. Negli
anni venti, la demarcazione staliniana dei confini aveva visto la regione, con una popolazione a maggioranza armena, diventare una repubblica autonoma all’interno della RSS azera. Una guerra tra il 1988 e il 1994, costata 30 mila morti e centinaia di migliaia di rifugiati, ha portato alla secessione dall’Azerbaigian. Oggi il Nagorno-Karabakh è uno degli stati non riconosciuti nell’ex territorio sovietico, ma la sua indipendenza si regge sul supporto finanziario, politico e militare dell’Armenia.

L’accordo di cessate il fuoco di Bishkek del 1994 viene frequentemente
violato dalle due parti e le schermaglie sono degenerate in un conflitto aperto – la cosiddetta guerra dei quattro giorni– nell’aprile del 2016.

Un nuovo inizio?

Nel comunicato stampa dell’OSCE si parla dell’atmosfera “positiva e
costruttiva” che ha caratterizzato l’incontro del 29 marzo. I due presidenti si
sono impegnati a rafforzare il cessate il fuoco e a mantenere una linea diretta di dialogo.

Si tratta del consueto linguaggio diplomatico, i negoziati hanno prodotto
pochi risultati tangibili nel corso degli ultimi venticinque anni e la
situazione non potrà, verosimilmente, essere risolta nel breve periodo.

Indubbiamente però, l’avvento di Pashinyan al potere in Armenia ha
influenzato la dinamica dei processi di pace. Al contrario dei
predecessori Robert Kocharyan e Serzh Sargsyan, l’attuale primo ministro non è parte del cosiddetto clan del Karabakh, il gruppo di potere nativo della regione separatista che ha dominato la scena politica del paese nell’ultimo ventennio. Ciò non implica una maggiore apertura di Pashinyan al  dialogo con Baku, ma sicuramente un approccio, a livello personale, diverso alla questione.

Nonostante lo scorso gennaio il premier abbia annunciato un nuovo
corso nella politica di risoluzione del conflitto
, non ha specificato
in cosa esso consista precisamente. Pashinyan ha, al contempo, rinnegato la
linea “territori in cambio di pace”, promossa da Levon Ter-Petrosyan, primo presidente – tra il 1991 e il 1998 – dell’Armenia post-sovietica. In base a questa dottrina, storicamente la più efficace sul tavolo delle trattative, la pedina di scambio per ottenere una risoluzione permanente del conflitto sarebbe il ritiro delle forze armene da quei territori sotto il loro controllo, ma che non erano parte della regione autonoma del Nagorno-Karabakh dell’epoca sovietica.

Se la posizione di Erevan è ambigua, quella di Baku, rimasta invariata negli
anni, è stata chiaramente enunciata dal presidente Aliyev alla TASS: “la priorità dei negoziati deve essere il ritiro delle forze armene dai territori internazionalmente riconosciuti come parte dell’Azerbaigian”. L’esclusione delle autorità de facto del Karabakh dal tavolo delle trattative è, poi, considerata positivamente sulle rive del Caspio, dove l’obbiettivo è sempre stato quello di un dialogo diretto con l’Armenia a sottolinearne la responsabilità della situazione.

La riapertura delle trattative di pace non deve destare false illusioni. Lo sfondo della fotografia ufficiale dell’incontro del 29 marzo rappresenta una metafora accurata della situazione: due elefanti legati tra loro che tirano in direzioni opposte. In modo simile, Armenia e Azerbaigian portano avanti due posizioni inconciliabili tra di loro: l’affermazione del principio di
autodeterminazione dei popoli
 da parte armena, contro quello
di integrità territoriale, sostenuto dagli azeri. Gli incontri tra capi di stato possono portare a risultati rilevanti nel breve periodo, quali la diminuzione delle schermaglie sulla linea di fronte e la prevenzione di una nuova escalation come quella del 2016. Le belle parole e le dichiarazioni di intenti non sono, però sufficienti per una risoluzione permanente del conflitto.

 

 

Il Primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, e il Presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, si sono incontrati a Vienna per iniziativa del gruppo di Minsk dell’Osce.

Dopo gli incontri “informali” di Dushambe, San Pietroburgo e Davos avvenuti nei mesi scontri si tratta del primo meeting ufficiale tra il leader armeno e quello azero.

L’evento, tenutosi all’hotel Bristol della capitale austriaca e iniziato alle ore 11 locali, si è articolato in due parti: un primo incontro allargato ai ministri degli Esteri dei due Paesi (Mnatsakanyan e Mammadyarov) e ai co-presidenti del Gruppo di Minsk. Dopo una breve interruzione Pashinyan e Aliyev hanno avuto un incontro privato a porte chiuse durato quasi due ore al termine del quale sono rientrati nella sala anche i rispettivi ministri degli Affari esteri.

Complessivamente il meeting è durato tre ore e un quarto. Al momento l’Osce non ha ancora diramato un comunicato ufficiale né trapelano indiscrezioni sul contenuto dei colloqui.

Uscendo dalla sala al termine del colloquio, in risposta alla domanda di un giornalista, il premier armeno ha definito l’incontro “normale”.

«Lungo, saturo, efficace» questo è il modo in cui il co-presidente del gruppo di Minsk Stefan Visconti (Francia) ha descritto la riunione di Pashinyan-Aliyev durante un briefing con giornalisti che fanno parte della delegazione del primo ministro Nikol Pashinyan a Vienna.

COMUNICATO STAMPA GRUPPO DI MINSK DELL’OSCE

Vienna, 29 marzo 2019 – Il Presidente della Repubblica dell’Azerbaigian Ilham Aliyev e il Primo Ministro della Repubblica di Armenia Nikol Pashinyan si sono incontrati oggi a Vienna per la prima volta sotto l’egida dei Co-presidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE (Igor Popov della Federazione Russa, Stéphane Visconti di Francia, e Andrew Schofer degli Stati Uniti d’America). All’incontro hanno partecipato anche i ministri degli Esteri Zohrab Mnatsakanyan e Elmar Mammadyarov. Anche Andrzej Kasprzyk, il rappresentante personale del Presidente in esercizio dell’OSCE, ha partecipato all’incontro. L’incontro si è svolto in un’atmosfera positiva e costruttiva e ha offerto ai due leader l’opportunità di chiarire le rispettive posizioni. Si sono scambiati opinioni su diverse questioni chiave del processo di risoluzione e idee di sostanza. I due leader hanno sottolineato l’importanza di costruire un ambiente favorevole alla pace e di intraprendere ulteriori passi concreti e concreti nel processo negoziale per trovare una soluzione pacifica al conflitto. Ricordando la loro conversazione a Dushanbe, i leader hanno raccomandato di rafforzare il cessate il fuoco e migliorare il meccanismo di comunicazione diretta. Hanno anche concordato di sviluppare una serie di misure nel campo umanitario. Il primo ministro e il presidente hanno incaricato i loro ministri di incontrarsi nuovamente con i co-presidenti nel prossimo futuro. Hanno anche accettato di continuare il loro dialogo diretto.

Il ministro degli Affari esteri della repubblica di Artsakh (Nagorno Karabakh), Masis Mayilian, nel corso di una intervista all’agenzia di stampa russa ‘Regnum’ precisa la posizione riguardo a una ipotizzata cessione di territori all’Azerbaigian. Si tratta di interessanti puntualizzazioni che ben chiariscono i termini della questione negoziale.

Signor Ministro, dopo il cambio di potere a Yerevan, le consultazioni tra Armenia e Azerbaigian per una soluzione sul Karabakh si sono acuite intensamente (noi diciamo “consultazioni”, perché i veri negoziati, quando anche il Nagorno Karabakh ha partecipato ad essi, sono cessati nel 1997). Come spiegherebbe l’intensificazione di queste consultazioni?

Dopo che il nuovo governo è salito al potere nella Repubblica di Armenia, mantenere la dinamica degli incontri e delle consultazioni è stato di una certa importanza sia per la parte armena che per i co-presidenti del gruppo di Minsk dell’OSCE, anche dal punto di vista della dimostrazione del rispetto degli accordi concordati e del formato di mediazione. L’indubbia intensificazione degli incontri tra Yerevan e Baku è condizionata dal desiderio delle parti di familiarizzare con i rispettivi approcci riguardanti la soluzione pacifica del conflitto azerbaigiano-karabaco.

Le riunioni dei ministri degli Esteri si sono svolte sotto la mediazione dei co-presidenti del gruppo di Minsk dell’OSCE. I contatti al più alto livello si sono svolti senza la partecipazione di mediatori ai margini di vari forum internazionali e sono stati informali. Come è noto, si sta pianificando la prima riunione del Primo Ministro dell’Armenia e del Presidente dell’Azerbaigian sotto la mediazione dei Co-presidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE.

Credo che un’artificiosa intensificazione delle consultazioni a priori non possa essere fruttuosa. Apparentemente, anche le parti lo capiscono. Ad esempio, a febbraio, i ministri degli Esteri di Armenia e Azerbaigian hanno partecipato alla Conferenza di sicurezza di Monaco, ma non hanno pianificato di tenere una nuova riunione in quel forum.

Il Primo Ministro dell’Armenia ha insistito sulla necessità di coinvolgere la Repubblica del Nagorno Karabakh nei negoziati con l’Azerbaigian. Come vede esattamente la procedura e il tema della partecipazione della NKR ai negoziati?

Prima di tutto, va notato che Yerevan e Stepanakert hanno lo stesso approccio al ripristino del formato trilaterale dei negoziati. Allo stesso tempo, parlando del ritorno della Repubblica di Artsakh al tavolo dei negoziati, partiamo dalla necessità di realizzare reali progressi nel processo di risoluzione del conflitto Azerbaigian-Karabakh. Ci sono tutti i prerequisiti necessari per il ripristino dei negoziati trilaterali. Innanzitutto, dopo una lunga discussione sul formato dei negoziati, ancora nel 1993, la CSCE / OSCE arrivò al convincimento della necessità della partecipazione del Nagorno Karabakh come terza parte in tutte le fasi del processo di pace. Successivamente, questa tesi è stata riflessa nel Sommario di Praga dal Presidente in esercizio dell’OSCE del 31 marzo 1995. Il formato trilaterale stesso è stato approvato in precedenza dalla decisione del Vertice di Budapest dell’OSCE del 1994, basato sul consenso. In secondo luogo, come il tempo mostrava, il formato trilaterale era stato il più efficiente e produttivo. Fu in questo formato che l’unico risultato tangibile fu raggiunto nel processo di definizione – la conclusione sotto la mediazione russa dell’accordo trilaterale del 12 maggio 1994 – del cessate il fuoco e la cessazione di tutte le ostilità.

La formula per il successo del formato di negoziazione trilaterale è piuttosto semplice: ciascuna delle parti ha direttamente rappresentato i propri interessi e discusso le questioni di sua competenza.

La procedura per la partecipazione della Repubblica di Artsakh ai negoziati può essere basata su questa formula. Come il Primo Ministro dell’Armenia Nikol Pashinyan ha ripetutamente affermato, Yerevan non intende impostare la partecipazione di Stepanakert al processo negoziale come una condizione preliminare, ma allo stesso tempo condurrà negoziati solo per proprio conto. Ciò significa che le questioni nell’ambito della competenza esclusiva e dei poteri delle autorità della Repubblica di Artsakh non possono essere discusse nel formato bilaterale Yerevan-Baku. Tale approccio è oggettivo e, crediamo, può fungere da meccanismo per il ritorno dell’Artsakh al tavolo negoziale.

La stragrande maggioranza dei progetti per la risoluzione del conflitto del Karabakh propone di ridurre il territorio della repubblica del Nagorno Karabakh al territorio dell’Oblast autonoma del Nagorno Karabakh. Cosa ne pensa di queste idee?

Poiché il conflitto Azerbaigian-Karabakh non è una disputa territoriale, la ricerca di possibili modi per risolvere il problema sulla base di concessioni territoriali è senza speranza e non riflette l’essenza del conflitto.

Il fatto che nel 1988, quando iniziò una nuova fase del conflitto, i territori attorno all’ex oblast (NKAO) e persino una delle regioni amministrative della regione autonoma fossero sotto il controllo di Baku, indica che questo conflitto non è una disputa territoriale. Cioè, il conflitto si è verificato nonostante il fatto che questi territori fossero controllati dalla parte azera. Pertanto, è illogico credere che le concessioni territoriali di Artsakh possano portare alla risoluzione del conflitto. Va inoltre considerato che tali proposte riguardano direttamente la questione della sicurezza, che è una delle “linee rosse” per l’Artsakh nel processo di risoluzione del conflitto con l’Azerbaigian.

Cedere i territori è una via diretta alla distruzione del sistema di sicurezza non solo dell’Artsakh, ma anche della Repubblica di Armenia, e minaccerà l’esistenza stessa della popolazione indigena nella sua patria storica. In altre parole, questo problema ha un significato esistenziale per noi. Le dichiarazioni del presidente dell’Azerbaigian dimostrano che l’obiettivo strategico ufficiale di Baku è quello di catturare non solo l’Artsakh, ma anche la regione di Syunik in Armenia e persino la capitale dell’Armenia, Yerevan. Dovremmo prendere sul serio le dichiarazioni del presidente e del comandante supremo delle forze armate dell’Azerbaigian e non facilitare il suo percorso verso il loro obiettivo strategico. Al contrario, è necessario continuare a prendere misure militari e politico-diplomatiche per scoraggiare le intenzioni aggressive ed espansionistiche della leadership del paese vicino.

Da rammentare che la leadership della Repubblica di Artsakh ha ripetutamente affermato l’impossibilità e l’inammissibilità di tornare al passato in termini di entrambi i temi: lo status e i territori.

Inoltre, il 15 luglio 2009, dopo che gli approcci dei mediatori all’accordo sul conflitto tra l’Azerbaigian e il Karabakh sono stati resi pubblici, il ministero degli Affari esteri della Repubblica di Artsakh ha rilasciato una dichiarazione sulla necessità di riavviare il processo negoziale falsato al fine di far tornare l’autorità di Stepanakert al tavolo dei negoziati come parte a pieno titolo e per trasformare i principi di base della risoluzione. Questa posizione della Repubblica di Artsakh rimane invariata.

Va inoltre notato che nella suddetta dichiarazione, il ministero degli Esteri dell’Artsakh ha sottolineato che i tentativi di riportare l’Artsakh al passato non sono solo controproducenti, ma sono anche carichi di una nuova escalation del conflitto.

(traduzione redazionale a cura di Karabakh.it)

Il 9 marzo, i co-presidenti del gruppo di Minsk dell’OSCE hanno rilasciato una dichiarazione che esorta le parti ad astenersi dall’esigere modifiche unilaterali al formato dei negoziati senza il consenso dell’altra parte.

In precedenza, il 6 marzo, il ministero degli Esteri dell’Azerbaigian aveva formulato un commento sull’impossibilità di modificare il formato del negoziato approvato dalla decisione di Helsinki del Consiglio ministeriale dell’OSCE del 1992, senza raggiungere il consenso degli Stati partecipanti all’OSCE. Inoltre, secondo il governo di Baku, “la decisione prevede che l’Armenia e l’Azerbaigian agiscano come parti del conflitto, mentre le comunità armene e azerbaigiane del Nagorno Karabakh lo fanno come parti interessate“.

Non è la prima volta che il ministero degli Affari Esteri dell’Azerbaigian dimostra una mancanza di memoria istituzionale e completa ignoranza del processo di risoluzione pacifica del conflitto Azerbaigian-Karabakh, così come i documenti adottati all’interno di questo quadro.

Innanzitutto, la decisione del 24 marzo 1992 della Riunione aggiuntiva di Helsinki della CSCE non menziona alcuna comunità. Il documento elenca le parti interessate “elette e altri rappresentanti del Nagorno Karabakh“.

In secondo luogo, la questione del formato e dello status delle parti in negoziazione è stata oggetto di lunghe discussioni che hanno attraversato un certo percorso di sviluppo. Già nel 1993, nei documenti discussi nell’ambito del processo di Minsk, il Nagorno Karabakh era indicato come una parte piena del conflitto. La chiarezza finale su questo tema è stata introdotta al vertice CSCE / OSCE a Budapest nel 1994. Secondo il documento conclusivo del Vertice, le parti in conflitto sono quelle che hanno confermato il cessate il fuoco concordato il 12 maggio 1994. L’accordo sul pieno il cessate il fuoco e la cessazione delle ostilità sono state concluse tra il Nagorno Karabakh, l’Azerbaigian e l’Armenia. Il 26-27 luglio 1994, il Nagorno Karabakh, l’Azerbaigian e l’Armenia hanno firmato un accordo aggiuntivo, in cui hanno confermato “i loro impegni per il cessate il fuoco fino alla conclusione di un ampio accordo politico“.

Dopo il Vertice di Budapest, in risposta ai tentativi della parte azerbaigiana di speculare ancora sul tema delle parti in conflitto, il Presidente in esercizio dell’OSCE, il ministro degli Esteri ungherese László Kovács ha rilasciato una dichiarazione speciale alla riunione del Senior Council dell’OSCE a Praga il 31 marzo 1995, in cui ha “confermato le precedenti decisioni dell’OSCE sullo status delle parti, ossia la partecipazione delle due parti dello Stato al conflitto e dell’altra parte in conflitto (Nagorno Karabakh) nell’intero processo di negoziazione, compreso nella conferenza di Minsk “.

Il riepilogo del Presidente in esercizio dell’OSCE di Praga è molto chiaro e non lascia spazio a interpretazioni arbitrarie e tendenziose da parte dell’Azerbaigian sulle decisioni dell’OSCE in merito al formato del negoziato.

 Le autorità sia della Repubblica di Artsakh che della Repubblica di Armenia non sollevano la questione della creazione di un nuovo formato di negoziazioni non concordato.

Si tratta infatti di ripristinare il vero e proprio formato negoziale come stabilito nella decisione del Vertice di Budapest dell’OSCE del 1994. Tale decisione è stata approvata per consenso dai capi di Stato e di governo degli Stati partecipanti all’OSCE, tra cui l’Azerbaigian e i Paesi co-presidenti del gruppo di Minsk .

Abbiamo ripetutamente sottolineato che la questione del ripristino del formato trilaterale dei negoziati è una sorta di cartina di tornasole, a dimostrazione del grado di preparazione per i reali progressi nella soluzione pacifica del conflitto azerbaigiano-karabakho. L’opposizione al ripristino del formato negoziale più efficace può essere interpretata come un impegno a favore del mantenimento dello status quo.

È deplorevole che i copresidenti del gruppo di Minsk dell’OSCE non mostrino il dovuto principio di ripristino del formato del negoziato trilaterale coerente con la decisione dell’organo più alto dell’OSCE.

Dello stesso avviso anche il ministro degli Esteri dell’Armenia il quale ha confermato che « non faremo nulla che possa portare a uno stallo [delle trattative, NdR] perché rimaniamo impegnati nella soluzione pacifica del processo. Questa è una questione molto importante e passeremo decisamente in questa direzione. Questa è una questione di principio per accettare che il Nagorno Karabakh abbia una voce e un impegno decisivi. Questo non è qualcosa di nuovo, ma in linea con questo, per lavorare efficacemente alla promozione del processo negoziale, dobbiamo accettare praticamente che sia necessaria l’espressione di questa voce e impegno decisivo. Oggi stiamo negoziando sia con il Nagorno Karabakh che con l’Azerbaigian all’interno dei gruppi del Gruppo di Minsk dell’OSCE. Questa non è una condizione preliminare e vogliamo continuare a discutere e trovare le soluzioni ai problemi».

IL COMUNICATO STAMPA DEL GRUPPO DI MINSK DELL’OSCE

MOSCA / PARIGI / WASHINGTON DC, 9 marzo 2019 – Nella loro dichiarazione del 1 marzo, i Co-presidenti del Gruppo OSCE di Minsk (Igor Popov della Federazione russa, Stephane Visconti di Francia e Andrew Schofer degli Stati Uniti d’America) hanno accolto favorevolmente il l’impegno del Presidente azero Ilham Aliyev e del Primo ministro armeno Nikol Pashinyan a riunirsi presto sotto l’egida dei Co-presidenti. I co-presidenti, lavorando a stretto contatto con i due ministri degli esteri, stanno organizzando i preparativi per questo importante incontro dei leader, che rappresenterà il primo contatto diretto tra i due leader sotto gli auspici dei co-presidenti.

I co-presidenti sottolineano l’importanza di mantenere un ambiente favorevole a discussioni produttive e continuano a valutare positivamente la recente mancanza di vittime in prima linea. I co-presidenti accolgono inoltre alcuni primi passi nella regione per preparare le popolazioni alla pace e incoraggiare le parti a intensificare tali sforzi. Allo stesso tempo, i co-presidenti ribadiscono l’importanza fondamentale di ridurre le tensioni e ridurre al minimo la retorica infiammatoria. In questo contesto, i co-presidenti sollecitano le parti ad astenersi da dichiarazioni e azioni che suggeriscano cambiamenti significativi della situazione sul terreno, pregiudichino il risultato o stabiliscano le condizioni per futuri colloqui, richiedendo modifiche unilaterali al formato senza l’accordo dell’altra parte, o indicando la disponibilità a rinnovare le ostilità attive.

Con riferimento ad alcune recenti dichiarazioni pubbliche contraddittorie sulla sostanza del processo del gruppo di Minsk, i co-presidenti ribadiscono che una soluzione equa e duratura deve essere basata sui principi fondamentali dell’Atto finale di Helsinki, in particolare il non uso o la minaccia di forza, integrità territoriale e pari diritti e autodeterminazione dei popoli. Dovrebbe inoltre includere elementi aggiuntivi come proposto dai presidenti dei Paesi co-presidenti nel 2009-2012, tra cui: il ritorno dei territori circostanti il ​​Nagorno Karabakh al controllo azerbaigiano; uno status provvisorio per il Nagorno Karabakh che fornisce garanzie per la sicurezza e l’autogoverno; un corridoio che collega l’Armenia al Nagorno Karabakh; futura determinazione dello status giuridico finale del Nagorno Karabakh attraverso un’espressione di volontà legalmente vincolante; il diritto di tutti gli sfollati e rifugiati di tornare nei loro precedenti luoghi di residenza; e garanzie di sicurezza internazionale che includano un’operazione di mantenimento della pace.

I copresidenti sottolineano il loro punto di vista secondo cui questi principi e questi elementi devono essere il fondamento di qualsiasi soluzione equa e duratura al conflitto e dovrebbero essere concepiti come un insieme integrato. Qualsiasi tentativo di mettere alcuni principi o elementi su altri renderebbe impossibile raggiungere una soluzione equilibrata.

I copresidenti sono pronti a incontrare i leader e i ministri degli esteri dell’Armenia e dell’Azerbaigian in qualsiasi momento e invitano i leader a riprendere i negoziati in buona fede il prima possibile. Il dialogo continuo e diretto tra Baku e Yerevan, condotto sotto l’egida dei copresidenti, rimane un elemento essenziale per rafforzare la fiducia e promuovere il processo di pace. I copresidenti continueranno inoltre a discutere, se del caso, le questioni pertinenti con le parti interessate direttamente interessate dal conflitto, riconoscendo che le loro opinioni e preoccupazioni devono essere prese in considerazione per il successo di qualsiasi soluzione negoziata.

I copresidenti sottolineano che rimangono pienamente impegnati, conformemente al loro mandato, ad aiutare le parti a trovare una soluzione pacifica al conflitto. I copresidenti esprimono inoltre il loro pieno sostegno al lavoro di monitoraggio imparziale e critico intrapreso dal rappresentante personale del Presidente in esercizio dell’OSCE e dal suo gruppo.

UN NOSTRO COMMENTO

Abbiamo più volte ribadito che un accordo di pace non potrà che essere una soluzione di compromesso. Se tale deve essere, è condizione sine qua non la sicurezza dell’Artsakh non venga in alcun modo messa in discussione al pari del suo pieno diritto all’autodeterminazione. Un Nagorno Karabakh (Artsakh) quasi interamente circondato dagli azeri non può soddisfare tale condizione.

Fonte: Osservatorio Balcani e Caucaso del 25 gennaio 2019, di Marilisa Lorusso

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I recenti incontri diplomatici tra Armenia e Azerbaijan aprono spiragli di fiducia nei progressi per la soluzione pacifica del conflitto in Nagorno Karabakh

Non soffiano ancora venti di pace sul processo di risoluzione e pacificazione del conflitto in Nagorno Karabakh, ma sicuramente aria di novità. Il neo eletto governo di Nikol Pashinyan, fresco della conferma dalle urne e del consenso che lo sostiene sta tentando un avvicinamento cauto a Baku, che gli fa sponda.

Il lavorio diplomatico

Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan e il presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliev si sono incontrati il 22 gennaio scorso a Davos, nell’ambito del World Economic Forum, per parlare del conflitto in Karabakh, regione secessionista armena sottrattasi dal 1994 al controllo di Baku. Non è la prima volta che a latere di un evento diplomatico multilaterale i due si ritagliano un incontro rigorosamente bilaterale. Era già successo a Dushanbe, durante la riunione del CIS, e poi di nuovo a Pietroburgo, in un’analoga circostanza. E poi ci sono stati i numerosi incontri dei numero uno dei rispettivi ministeri degli Esteri.

Dall’assunzione dell’incarico il ministro degli Esteri armeno Zohrab Mnatsakanyan ha incontrato l’omologo azerbaijano Elmar Mammadyarov quattro volte, di cui l’ultima volta a Parigi il 16 gennaio scorso. Un incontro durato ben quattro ore e definito molto proficuo dai copresidenti del Gruppo di Minsk per la regolamentazione del conflitto congelato dal 1994, cioè Francia, Russia e Stati Uniti. Si leggono nel comunicato stampa  parole che non si sentivano pronunciare da più di un decennio in riferimento alle posizioni delle parti: “I ministri hanno discusso un’ampia gamma di questioni relative alla risoluzione del conflitto del Nagorno-Karabakh e concordato sulla necessità di prendere provvedimenti concreti per preparare le popolazioni alla pace. Durante le riunioni, i copresidenti hanno esaminato con i ministri i principi e i parametri chiave per la fase attuale del processo di negoziazione […] e hanno preso in considerazione i prossimi passi verso un possibile vertice tra i leader dell’Azerbaijan e dell’Armenia con lo scopo di dare un forte impulso alla dinamica dei negoziati”.

Quindi una valutazione delle proposte avanzate finora, la pianificazione del futuro lavorio diplomatico al massimo livello politico, e – finalmente e forse – la moderazione di quella propaganda nazionalista e violenta che ha reso le popolazioni ostili a qualsiasi compromesso, senza il quale nessuna pace può essere raggiunta. Più volte, proprio sulle pagine di OBC Transeuropa, è emerso come la questione del linguaggio dell’odio stia contribuendo attivamente al deterioramento della sicurezza e delle prospettive di pace, ad esempio nei due articoli Nagorno Karabakh: il linguaggio dell’odio e Arzu Abdullayeva: donna di pace tra Azerbaijan e Armenia.

Le reazioni

Nel contesto di relazioni internazionali tese e complesse, un segno positivo in un’area di così grandi criticità è stato accolto con viva soddisfazione e speranza. Ed è proprio il Segretario Generale ONU António Guterres ad aver commentato  con una sua dichiarazione pubblica il 17 gennaio il lavoro diplomatico in corso elogiando il costante impegno delle parti a trovare una soluzione negoziata e pacifica al conflitto e accogliendo con particolare favore l’accordo dei ministri azerbaijano e armeno sulla necessità di adottare misure concrete per preparare le popolazioni alla pace. La dichiarazione della massima carica dell’ONU è un tassello importante per capire quanto il processo in corso possa essere qualcosa di sostanziale.

Alle parole di Guterres hanno fatto seguito le dichiarazioni europee. Il Rappresentante Speciale dell’Unione Europea per il Caucaso Meridionale Toivo Klaar ha scritto sul suo profilo twitter che “preparare le popolazioni per la pace è fondamentale e l’UE è impegnata a sostenere questo processo”.

Lo European Union External Action Service  di Federica Mogherini ha ribadito la posizione dell’Unione e l’importanza della questione del Karabakh per tutta la regione, sottolineando che tutti trarrebbero beneficio da una pace duratura che contribuirebbe a consentire alla regione del Caucaso meridionale di realizzare il proprio potenziale.

Se la comunità internazionale è unanime nell’accogliere la possibilità di costruire la pace, il tema delle concessioni necessarie al raggiungimento di un compromesso ha acceso il dibattito a livello nazionale. In Armenia sono i Repubblicani in particolare a punzecchiare il governo. Il vice-presidente del partito Armen Ashotyan dal suo profilo Facebook ha posto cinque domande al nuovo governo, accusandolo già di aver tradito le promesse fatte, in particolare quella di riportare le autorità de facto del Nagorno Karabakh al tavolo negoziale, dando così legittimazione politica internazionale alla loro esistenza.

Un campo minato

Che costruire la pace in Nagorno Karabakh e fra Armenia e Azerbaijan non sia una passeggiata è evidente, e non solo per le dichiarazioni dell’opposizione politica interna nei due paesi interessata ovviamente a screditare l’azione di governo su un tema così avvertito e delicato. La fiducia fra i due paesi passa sotto il fuoco incrociato, letteralmente: il cessate il fuoco viene violato quotidianamente lungo una linea di contatto fra eserciti che ormai si insinua entro i confini di stato riconosciuti, tra Armenia ed Azerbaijan, e non solo lungo la linea che demarca il confine de facto del Karabakh. Sono state 180 le violazioni del cessate il fuoco registrate dalle autorità della regione secessionista  solo dal 13 al 19 gennaio di quest’anno, corrispondenti ad una pioggia di 1300 proiettili, e nel solo weekend del 19 gennaio il ministero della Difesa dell’Azerbaijan ha registrato una settantina di violazioni  . E questo è considerato un periodo di netta distensione militare.

Un campo minato mai sanato, il Karabakh, anche in questo caso letteralmente. Se si continua a sparare, si continua anche a morire o rimanere feriti per le mine disseminate trent’anni fa. L’ultimo caso il 16 gennaio scorso quando Arman Mikaelyan, residente a Tavush, ha perso una gamba a causa di una mina  .

Una diffidenza che passa non solo per il fuoco, ma anche per tutta una serie di misure restrittive. Sono chiusi ad esempio i confini tra Armenia e Azerbaijan ed è limitata la libertà di movimento, con un numero crescente di soggetti coinvolti, incluse cittadinanze terze. È di questi giorni poi la polemica fra Russia e Azerbaijan riguardante cittadini russi di origine armena che non sarebbero stati ammessi nel paese. La Russia ha denunciato  una violazione della normativa vigente per motivi di discriminazione etnica. L’Azerbaijan ha risposto  che a fronte di numerosi russi regolarmente accolti non accetta né critiche né ultimatum. Toni inusitatamente ostili fra i ministeri degli Esteri dei due paesi che dimostrano come il vecchio conflitto si innesti in dinamiche tutte attuali e contribuisca a estendere l’area di tensione.

Un campo minato da bonificare, e una strada verso la pace che è tutta in salita. Ma – dopo una decade in cui si è parlato più di guerra che di pace – pare che almeno su questa strada si stia provando a incamminarsi.

Il meeting fra i ministri degli Esteri di Armenia e Azerbaigian il 16 gennaio sembra aprire spiragli di pace al contenzioso ma …

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(27 gen 19) BALASANYAN: INACCETTABILE SCAMBIO TERRITORI CON STATUS –  Il Segretario del Consiglio di sicurezza della repubblica di Artsakh, Vitaly Balasanyan, considera inaccettabile una cessione di territori in cambio di un riconoscimento di uno status per l’Artsakh. Lo ha dichiarato nel corso di una conferenza stampa nel corso della quale ha tra l’altro ricordato come l’Armenia e l’Artsakh hanno già fatto molte concessioni anche in epoca bellica allorquando, a fronte degli inviti internazionali, rallentarono l’attività e non approfittarono della situazione di debolezza della controparte azera e quando firmarono l’accordo di cessate-il-fuoco invece che avanzare in territorio nemico.

(27 gen 19) MESSAGGIO DI SAHAKYAN – Il presidente della repubblica ha rivolto un messaggio in occasione della Giornata dei difensori della patria e si è congratulato con il Primo ministro dell’Armenia per l’anniversario della fondazione dell’Esercito armeno.

(26 gen 19) MATRIMONI IN ARTSAKH – Sono stati 899 i matrimoni celebrati nella repubblica nel corso dl 2018 e ventidue di questi hanno interessato anche cittadini stranieri. Lo ha comunicato in una conferenza stampa il ministro della Giustizia,  Ararat Danielyan. I divorzi sono stati 204.

(25 gen 19) PASHINYAN SU INCONTRO CON ALIYEV – «Non ci sono risultati. Né Aliyev, né io aspettavamo alcun risultato. Stavamo solo parlando, e abbiamo discusso del Karabakh, naturalmente. Ma questi non erano discorsi formali, stavamo solo parlando della nostra percezione di questo problema, e di come percepiamo personalmente questo problema, come fanno le nostre nazioni»  ha detto Pashinyan rispondendo a una domanda sull’incontro di Davos di mercoledì scorso.

(25 gen 19) PIL ARTSAKH + 11% – Nel corso di una conferenza stampa, il ministro delle Finanza, Artur Harutyunyan, ha illustrato la situazione economica dell’Artsakh nell’esercizio finanziario appena conclusosi. Tra l’altro ha sottolineato come sugli undici mesi, il Prodotto Interno Lordo sia cresciuto dell’11,7% rispetto allo stesso periodo del 2017. e che per il 2019 ci si aspetti un’ulteriore crescita. Nel 2018 l’inflazione media si è attestata all’1,8%

(23 gen 19) INCONTRO PASHINYAN-ALIYEV – Il Primo ministro dell’Armenia e il Presidente dell’Azerbaigian si sono incontrati oggi a Davos confermando le indiscrezioni trapelate ieri. Non è stato rilasciato alcun comunicato stampa sull’incontro durato poco più di un’ora. «Abbiamo scambiato idee sulla situazione attuale nel processo negoziale e abbiamo fatto riferimento a discussioni future» ha scritto il leader armeno su FB.

(23 gen 19) BABAYAN: BRUSCO CALO VIOLAZIONI AZERE – Il portavoce del presidente della repubblica, Davit Babayn, ha confermato che negli ultimi giorni si è registrato un brusco calo delle violazioni azere lungo la linea di contatto. «Nel complesso, la situazione al confine è stabile. Diamo il benvenuto a questo, ma d’altro canto l’avversario non ha rivisto la sua politica che si basava sull’ostilità. L’Azerbaigian continua la sua politica anti-armena in tutte le sfere. Ha portato a termine le esercitazioni militari più massicce della loro storia nel 2018» ha detto Babayan.

(22 gen 19) POSSIBILE INCONTRO PASHINYAN-ALIYEV – E’ altamente probabile che il Primo ministro dell’Armenia e il Presidente dell’Azerbaigian si incontrino, informalmente, a Davos (Svizzera) dove stanno partecipando al World Economic Forum.

(21 gen 19) TRAGICO INCIDENTE AUTO – E’ di tre morti e un ferito il tragico bilancio di un incidente d’auto occorso nella serata di ieri lungo la strada che da Karvachar conduce al villaggio di Tsar. Una jeep, con a bordo quattro cittadini dell’Armenia, per cause imprecisate, è uscita di strada finendo nel fiume che scorre lungo la stretta valle.

(18 gen 19) SEGRETARIO ONU SU INCONTRO DI PARIGI – «Il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres – si legge in una nota stampa – si rallegra dell’incontro tra il Ministro degli Esteri dell’Azerbaigian Elmar Mammadyarov e il Ministro degli Affari Esteri dell’Armenia Zohrab Mnatsakanyan, svoltosi il 16 gennaio a Parigi sotto l’egida dei Co-presidenti dell’Organizzazione per la sicurezza e Cooperazione in Europa (OSCE) Gruppo di Minsk. Il Segretario generale apprezza il costante impegno delle parti a trovare una soluzione negoziata e pacifica al conflitto di Nagorno Karabakh da lungo tempo e ha accolto con particolare favore l’accordo dei Ministri sulla necessità di adottare misure concrete per preparare le popolazioni alla pace».

(17 gen 19) MINISTRO DIFESA VISITA POSTAZIONI – Il ministro della Difesa, gen. Karen Abrahamyan, si è recato oggi in visita in diverse postazioni dell’esercito incontrandosi con i rispettivi comandi e i soldati di stanza.

(16 gen 19) COMUNICATO GRUPPO DI MINSK – «I partecipanti [Gruppo di Minsk, NdR] hanno espresso ai Ministri il loro apprezzamento per gli sforzi in corso delle parti per mantenere un ambiente favorevole a negoziati intensivi orientati ai risultati. I ministri hanno discusso un’ampia serie di questioni relative alla soluzione del conflitto del Nagorno Karabakh e hanno convenuto sulla necessità di adottare misure concrete per preparare le popolazioni alla pace. Durante le riunioni, i Co-presidenti hanno esaminato con i ministri i principi e i parametri chiave per l’attuale fase del processo negoziale. I ministri e le Co-presidenti hanno esaminato i prossimi passi verso un possibile vertice tra i leader dell’Azerbaigian e l’Armenia per dare un forte impulso alla dinamica dei negoziati. I Co-presidenti hanno sottolineato l’importanza di possibili iniziative reciprocamente vantaggiose volte a soddisfare il potenziale economico della regione. I Co-presidenti prevedono di incontrare i leader dei due paesi nel prossimo futuro».

(16 gen 19) INCONTRO MINISTRI ESTERI – I ministri degli Affari esteri di Armenia (Mnatsakanyan) e Azerbaigian (Mammadyarov) si sono incontrati (per la quarta volta) a Parigi su iniziativa del Gruppo di Minsk dell’Osce. L’incontro è durato oltre quattro ore. In programma anche un nuovo incontro non ancora calendarizzato.

(15 gen 19) MONITORAGGIO OSCE – Una missione di osservazione è stata portata a termine oggi nel settore nord orientale della linea di contatto all’altezza della località di Levornarkh. Non sono state rilevate violazioni del cessate-il-fuoco ma, come già accaduto altre volte in passato, gli azeri non hanno condotto in diplomatici stranieri alle postazioni di prima linea.

(14 gen 19) SAHAKYAN SI CONGRATULA CON PASHINYAN – Il presidente della repubblica di Artsakh ha inviato un messaggio di congratulazioni a Nikol Pashinyan eletto oggi dall’Assemblea nazionale di Armenia alla carica di Primo ministro.

(14 gen 19) GIORNALISTI IN ARTSAKH – Sono stati 127 i giornalisti stranieri che hanno visitato la repubblica del Nagorno Karabakh (Artsakh) nel corso del 2018. Lo ha comunicato il ministro degli Affari esteri Mayilyan durante la tradizionale conferenza di inizio anno.

(9 gen 19) SI LAVORA PER NUOVO INCONTRO MINISTRI ESTERI – I mediatori del Gruppo di Minsk dell’Osce sono al lavoro per organizzare, possibilmente entro la fine del mese, un nuovo incontro tra i ministri degli Esteri di Armenia e Azerbaigian che nel secondo semestre del 2018 si sono già visti tre volte (l’ultima a Milano il 6 dicembre). Lo scorso 14 dicembre il presidente azero Aliyev aveva tweettato «l’anno 2019 darà un nuovo impulso al processo di risoluzione del conflitto tra Armenia, Azerbaigian e Nagorno Karabakh».

(6 gen 19) DIFESA CONFERMA LINEA DI CONTATTO TRANQUILLA – Senor Hasratyan, portavoce del ministero della Difesa dell’Artsakh, ha confermato che in questi primi giorni la situazione lungo la linea di contatto è estremamente tranquilla. “Non ci sono praticamente colpi sparati” ha dichiarato.

(2 gen 19) BABAYAN: SITUAZIONE STABILE  – Il portavoce del presidente della repubblica, Davit Babayn, ha dichiarato che la situazione lungo la linea di contatto tra Artsakh e Azerbaigian è stabile. «Ci sono alcuni colpi. Possiamo dire che la situazione è stabile. Come sapete, siamo doppiamente vigili durante le festività natalizie e l’Esercito della Difesa continua a tenere sotto controllo la situazione» ha detto.

(1 gen 19) NOTTE TRANQUILLA SULLA LINEA DI CONTATTO – Il ministero della Difesa informa che la notte di capodanno è trascorsa tranquilla sulla linea di contatto senza violazioni del cessate-il-fuoco.

(1 gen 19) ALIYEV: “SERI PASSI” MA CONTINUA LA RETORICA DI GUERRA – Nel suo messaggio di fine anno il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, ha testualmente affermato che «l’Azerbaigian ha fatto passi molto seri per risolvere questo conflitto nel 2018» . Non è dato sapere però quali siano stati questi passi giacché nel prosieguo del suo discorso ha sciorinato la solita retorica bellica aggiungendo che «penso che il nostro forte potenziale militare sia un fattore chiave per la risoluzione del conflitto. Negli ultimi anni abbiamo potenziato in modo significativo il nostro potere militare. Oggi l’esercito azerbaigiano è tra gli eserciti più forti del mondo. La parata militare di quest’anno nel nostro paese mostra la nostra forza, il grande potenziale del forte esercito. L’esercito azero ha le armi e le attrezzature più moderne, un potenziale di combattimento molto alto, e lo abbiamo dimostrato anche quest’anno»

(1 gen 19) MESSAGGIO DI CAPODANNO DEL PRESIDENTE – «Cari compatrioti,  rispettati cittadini della Repubblica di Artsakh, mentre l’anno in corso finisce, entreremo nel nuovo anno del 2019. Naturalmente, ognuno di noi è sopraffatto dai sentimenti di eccitazione, di aspettative di novità e varietà. Le vacanze di Capodanno e Natale ci portano nel mondo della nostra infanzia, dove regnavano l’amore e il calore, la cura e l’ottimismo insieme alla speranza e alla fede profondamente radicate nella vera magia e nella realizzazione di tutti i nostri amati sogni e desideri.
In fondo, tutti desideriamo che i nostri familiari, parenti e amici siano in buona salute e felici, cerchiamo la pace sulla Terra e lo sviluppo sostenibile della nostra Patria. Allo stesso tempo, elaboriamo nuove politiche da mettere in campo nel prossimo anno, cementando ulteriormente la nostra statualità, migliorando le nostre capacità di difesa e sicurezza, aumentando l’economia, migliorando le condizioni di vita delle persone, aumentando lo standard di vita della popolazione. Insieme, uniti e con gli sforzi congiunti, realizzeremo tutti i progetti previsti, risolviamo i problemi dell’importanza pan-armena e celebriamo nuove vittorie, mantenendo inalterata la trinità Armenia-Artsakh-Diaspora.
Il principale garante del nostro successo è, in primo luogo, il nostro eroico esercito, il soldato armeno che è in piedi per la difesa della Patria. Come sempre, l’edificio dell’esercito sarà in prima linea anche nel prossimo anno. Non risparmieremo alcuno sforzo per mantenere la capacità operativa dell’esercito di difesa al più alto livello e migliorare la cooperazione tra i due stati armeni in questa sfera e in tutte le altre aree. In questo giorno di festa, vorrei congratularmi innanzitutto con il personale delle forze armate, auguro loro un servizio di successo e sicuro. Permettetemi di congratularmi con i nostri veterani, ricordate tutti quelli che non sono con noi fisicamente. Possa Dio dare riposo alle anime di tutti i martiri! 
Ho il piacere di congratularmi con voi, persone care di Artsakh, gli armeni diffusi nel mondo, le nostre sorelle e fratelli in Madre Armenia e nella Diaspora. Che l’anno 2019 sia quello di pace, vittorie, nuovi successi e risultati per la nostra Patria. Vi auguro salute, felicità e tutto il meglio.
Felice anno nuovo e buon Natale!»

(1 GEN 19) BUON ANNO ARTSAKH!Dalla redazione di karabakh.it i migliori auguri di buon anno alla repubblica del Nagorno Karabakh- Artsakh e a tutti i nostri lettori