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L’intervento del ministro degli Esteri dell’Armenia, Zohrab Mnatsakanyan , al Consiglio ministeriale dell’Osce di Bratislava. Parole chiare per risolvere il conflitto.

Signor Presidente,

Cari colleghi, Signore e signori, Signor Presidente, grazie per l’ospitalità e grazie per la leadership di questa Organizzazione durante tutto l’anno!

Ieri abbiamo tenuto un altro giro di consultazioni con la mia controparte azera e i copresidenti del Gruppo Minsk dell’OSCE, il quinto di fila solo per quest’anno. A tale proposito, voglio illustrare la posizione dell’Armenia sugli aspetti chiave dell’insediamento pacifico del conflitto del Nagorno Karabakh.

In primo luogo, non vi è alternativa alla soluzione pacifica del conflitto all’interno della copresidenza del Gruppo Minsk dell’OSCE, un formato che è obbligatorio e sostenuto a livello internazionale.

In secondo luogo, il diritto inalienabile del popolo del Nagorno Karabakh all’autodeterminazione rappresenta un principio e una base fondamentali per la risoluzione pacifica. Il riconoscimento di questo principio non deve essere limitato nell’ambito della determinazione dello status finale del Nagorno Karabakh, deve essere chiaramente e inequivocabilmente accettato. Il termine “senza limitazione” implica chiaramente anche il diritto del popolo del Nagorno Karabakh di mantenere e determinare uno status al di fuori della giurisdizione, sovranità o integrità territoriale dell’Azerbaigian. Le persistenti politiche e azioni ostili dell’Azerbaigian volte a minare e minacciare la sicurezza fisica esistenziale del popolo del Nagorno Karabakh, compresa l’ultima tentata aggressione dell’Azerbaigian contro il Nagorno Karabakh nell’aprile 2016, sottolineano l’illegittimità e l’impossibilità di rivendicare la giurisdizione dell’Azerbaigian sul popolo del Nagorno Karabakh.

L’Azerbaigian deve assumere un impegno diretto per il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione del popolo del Nagorno Karabakh attraverso la libera espressione legalmente vincolante della volontà delle persone che vivono nel Nagorno Karabakh, il cui esito non dovrebbe avere limiti.

In terzo luogo, la sicurezza della popolazione del Nagorno Karabakh non sarà compromessa. In nessun caso la popolazione del Nagorno Karabakh dovrebbe essere lasciata senza linee di difesa sicure. Non vi sarà alcuna condizione di assumere un rischio per la sicurezza fisica esistenziale della popolazione del Nagorno Karabakh, come è avvenuto nel 1991-1994 e nel 2016. Per sottolineare questo punto, mi riferisco alla situazione nei territori del Nagorno Karabakh, attualmente occupati dall’Azerbaigian, in cui gli armeni erano stati ripuliti etnicamente e i territori sono stati completamente reinsediati dall’Azerbaigian. Questa realtà è stata recentemente presentata dalla dirigenza dell’Azerbaigian come un buon esempio di soluzione del conflitto nel Nagorno Karabakh.

In quarto luogo, la soluzione pacifica dovrebbe essere inclusiva coinvolgendo direttamente tutte le parti in conflitto. Pertanto, il Nagorno Karabakh attraverso i suoi rappresentanti eletti dovrebbe essere una parte diretta nel processo negoziale. A questo proposito, sottolineiamo la necessità del pieno impegno dei rappresentanti eletti di Artsakh nel processo di pace, in particolare sulle questioni fondamentali della sostanza. Il governo dell’Armenia non intraprenderà mai alcuna attività che possa violare il diritto del popolo del Nagorno Karabakh di determinare liberamente il proprio status politico o privarlo della proprietà di questo processo.

In quinto luogo, una soluzione pacifica non può aver luogo in un ambiente di tensioni e rischi di escalation. Pertanto, gli accordi di cessate il fuoco del 1994 e 1995 conclusi tra Azerbaigian, Nagorno Karabakh e Armenia dovrebbero essere rigorosamente rispettati e rafforzati. Dovrebbero essere attuati meccanismi di riduzione del rischio, compresi i meccanismi dell’OSCE che indagano sulle violazioni del cessate il fuoco e monitorano il regime del cessate il fuoco, anche attraverso l’espansione dell’ufficio del PRCiO [Rappresentante personale del Presidente dell’Osce in carica, NdT].

In sesto luogo, il principio di base del non uso della forza o della minaccia dell’uso della forza dovrebbe essere rispettato incondizionatamente. Le politiche di odio, intolleranza, xenofobia, armenofobia, istigate e dirette dalla leadership dell’Azerbaigian dovrebbero essere denunciate. Gli sforzi dovrebbero essere rafforzati per preparare le popolazioni alla pace e per creare un ambiente favorevole alla pace.

In settimo luogo, le posizioni massimaliste dell’Azerbaigian, che ignorano la volontà e la sensibilità del popolo del Nagorno Karabakh, sono ostacoli fondamentali a un progresso significativo nel processo di pace. L’incapacità delle autorità dell’Azerbaigian di ricambiare la richiesta di un compromesso da parte dell’Armenia è un caso specifico. Per ricordare, il Primo Ministro dell’Armenia ha dimostrato una forte volontà politica nell’annunciare che qualsiasi accordo dovrebbe essere accettabile per il popolo di Armenia, Artsakh e Azerbaigian, il che significa che l’accordo può essere basato solo su un compromesso.

Signor Presidente, l’Armenia rimane impegnata in buona fede nel processo negoziale e continuerà a lavorare costantemente per una soluzione pacifica. Allo stesso tempo, è inaccettabile che alla luce degli attuali sviluppi politici interni in Azerbaigian, quest’ultimo stabilisca le condizioni preliminari per il processo di pace, come manifestato in un documento di sintesi diffuso alla vigilia di questo Consiglio dei ministri. L’Armenia respinge tale approccio non costruttivo.

Infine, nell’ultimo mese abbiamo dimostrato un esempio modesto e tuttavia importante di rafforzamento della fiducia tra tutte le parti in conflitto. Lo scambio di giornalisti provenienti da Armenia, Nagorno Karabakh e Azerbaigian è un promettente esempio di costruzione di fiducia e dialogo inclusivo tra le parti a livello pubblico. Siamo pronti a sviluppare ulteriormente questo esempio. Inoltre, il livello relativamente basso di violenza lungo la linea di contatto e il confine internazionale, nonché l’uso della linea di comunicazione diretta dovrebbero essere sostenuti e potenziati. Tuttavia, restiamo seriamente preoccupati del fatto che, nonostante queste misure, ci siano state perdite e lesioni che avrebbero potuto essere evitate.

Mantenere gli impegni è fondamentale per creare fiducia nelle prospettive di soluzione definitiva del conflitto.

In conclusione, vorrei dare il benvenuto all’Albania come presidente entrante e augurare loro ogni successo. Grazie.

(traduzione e grassetto redazionali)

Tempi.it (15 ottobre 2019) di Rodolfo Casadei

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«Non siamo noi a volere il conflitto». Intervista al ministro dell’Economia dell’Artsakh, Levon Grygorian, in visita in Italia

L’Artsakh è una piccola repubblica assediata fra i monti del Caucaso. La abitano, la governano e la difendono i locali abitanti armeni che nel settembre 1991 dichiararono a loro volta la propria indipendenza per non essere assorbiti nell’Azerbaigian che un paio di settimane prima aveva deciso di costituire uno stato indipendente dopo il collasso dell’Unione Sovietica. Il territorio coincide con lo storico Nagorno Karabakh, che nel 1921 Stalin assegnò all’Azerbaigian nonostante fosse abitato in grandissima maggioranza da armeni che avrebbero preferito far parte della vicina repubblica sovietica di Armenia. Fra il 1991 e il 1994 nell’Artsakh e negli adiacenti territori azeri si è combattuta una guerra sanguinosa che è stata sospesa da un armistizio il 5 maggio 1994. Grazie anche al sostegno delle forze armate della repubblica di Armenia (a sua volta divenuta indipendente il 21 settembre 1991), gli armeni del Nagorno Karabakh hanno cacciato le forze armate dell’Azerbaigian dal loro territorio e occupato alcune aree azere adiacenti per creare una continuità territoriale con la vicina Armenia e per proteggere da eventuali attacchi di artiglieria la capitale Stepanakert. Lungo i 150 chilometri di trincee che separano le postazioni armene da quelle azere le violazioni del cessate il fuoco sono all’ordine del giorno da venticinque anni a questa parte: uno stillicidio di vittime caratterizza le cronache dal fronte. Nell’aprile di tre anni fa l’Azerbaigian per la prima volta dalla firma dell’armistizio tentò un’operazione militare su larga scala che causò decine di morti e si concluse in uno stallo.

La repubblica di Artsakh non è riconosciuta a livello internazionale da nessuno stato, nemmeno dall’amica e confinante Armenia, ma i suoi 150 mila abitanti hanno bisogno di tutto per contrastare il parziale isolamento nel quale sono costretti a vivere da un quarto di secolo. Così nei giorni scorsi il ministro dell’Economia e dell’Infrastruttura industriale della repubblica, Levon Grygorian, si è recato in visita ufficiosa in Italia per incontrare realtà della società civile italiana interessate a una cooperazione su più piani per lo sviluppo economico e umano del suo paese. Ha avuto colloqui con esponenti di associazioni imprenditoriali del Veneto e della Lombardia e in particolare ha perfezionato il gemellaggio fra l’Istituto Alberghiero che è parte dell’Istituto scolastico don Carlo Gnocchi di Carate Brianza e una struttura che sta nascendo a Stepanakert. Il ministro è stato ospite del ristorante didattico Saporinmente, annesso all’Istituto Alberghiero, e lì ci ha concesso un’intervista prima di continuare la sua visita.

Ministro, gli occhi di tutto il mondo sono rivolti con preoccupazione a ciò che sta succedendo nel nord della Siria: la Turchia ha promosso un’operazione militare volta all’occupazione di una fascia di territorio siriano. Cosa ne pensa?  

La guerra non è mai la soluzione, porta solo conseguenze negative. Noi siamo un popolo che conosce per esperienza diretta, e non per le immagini televisive, di quanta sofferenza sia causa la guerra, sappiamo che non risolve i problemi. Il governo dell’Artsakh non approva in alcun modo questo intervento militare.

Venticinque anni dopo la firma dell’armistizio che ha congelato la guerra del Nagorno Karabakh ancora non si intravede una soluzione definitiva al conflitto, e nel frattempo la Repubblica di Artsakh che si è costituita nel 1991 non è riconosciuta dai paesi membri dell’Onu. Come fate fronte a questa situazione di isolamento istituzionale?

La guerra non l’abbiamo voluta noi, non siamo stati noi a iniziarla. Al momento del collasso dell’Unione Sovietica abbiamo chiesto quello che chiedevano tutti i popoli dell’ex Urss: autodeterminarci, e nel nostro caso noi avremmo voluto unirci alla Repubblica di Armenia. Il governo azero ha rifiutato di riconoscere la nostra autodeterminazione e ha risposto con la guerra. Siamo sopravvissuti agli attacchi, abbiamo difeso e consolidato il nostro territorio, abbiamo firmato il cessate il fuoco del 1994. Da allora abbiamo operato su due fronti. Abbiamo ricostruito le città bombardate e distrutte, abbiamo organizzato le istituzioni della repubblica e abbiamo chiesto di essere riconosciuti a livello internazionale. Per il riconoscimento sappiamo che ci vorrà ancora tempo; nell’attesa continuiamo a costruire il nostro paese, e guardiamo con ottimismo al futuro: ne è una prova questa mia missione in Italia. Gli studenti che parteciperanno agli scambi con l’Italia appartengono alla generazione che non ha vissuto i giorni della guerra, e questo è un segno della nostra vitalità. Come sapete, i negoziati per la pace sono condotti dal cosiddetto gruppo di Minsk, il cui ufficio di presidenza è composto da rappresentanti di Francia, Russia e Stati Uniti. Noi non siamo presenti in questo organismo dell’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) e i nostri interessi sono rappresentati indirettamente dall’Armenia, che invece ne fa parte.

Quali sviluppi ci sono stati dopo la crisi dell’aprile 2016, quando sembrava che il conflitto con l’Azerbaigian dovesse ricominciare su larga scala?

Abbiamo imparato molto da quella brutta esperienza. Oggia la nostra difesa è migliorata e ancora stiamo lavorando per avere forze armate ancora più efficienti. Non abbiamo altro che il nostro esercito a difenderci. Oggi come negli anni Novanta, non siamo noi che vogliamo la guerra: il nostro conflitto con l’Azerbaigian va risolto con la diplomazia. Ma come negli anni Novanta e come nel 2016, siamo pronti a difenderci. L’offensiva di tre anni fa mirava a sfondare il centro del nostro schieramento attirando le nostre forze agli estremi della linea del fronte, ma i nostri ufficiali hanno saputo interpretare la tattica nemica e non sono caduti nella trappola.

Quali sono i paesi maggiormente amici della Repubblica dell’Artsakh?

 Non facciamo preferenze, siamo aperti a tutte le relazioni, specialmente coi popoli europei. Non intendo fare nomi.

Che bilancio fa della sua visita in Italia che si sta concludendo?

Il bilancio è positivo. Siamo venuti in Italia per approfondire la conoscenza del sistema delle PMI e per prendere contatti per poterlo replicare nel Nagorno Karabakh: il Nord Italia ha una grande tradizione di piccola e media impresa, ed è un modello molto adatto alla nostra economia. Ci interessa anche collaborare in progetti per migliorare l’educazione e l’istruzione professionale nel nostro paese. Per entrambi gli obiettivi, abbiamo trovato interlocutori in Veneto e in Lombardia, specialmente in Brianza. Torniamo in patria dopo aver fatto una esperienza intensa e grande, che ci permetterà di approntare una piattaforma di collaborazione con l’Italia.

L’anno prossimo si terranno elezioni presidenziali nell’Artsakh. Che significato ha questo appuntamento politico?

Per ogni paese le elezioni sono un appuntamento di grande importanza. Non è certo la prima volta che i cittadini della repubblica sono chiamati alle urne, e in tutte le occasioni passate gli osservatori internazionali hanno potuto verificare che si è trattato di elezioni trasparenti, oneste e libere. Nel 2020 alzeremo ancora di più il livello di trasparenza democratica di tutto il processo elettorale.

Dopo mesi di relativa calma si rialza la tensione lungo la linea di contatto tra Artsakh (Nagorno Karabakh) e Azerbaigian. E gli azeri lasciano un caduto nella terra di nessuno.

L’Esercito di Difesa dell’Artsakh ha infatti respinto un tentativo di penetrazione in territorio armeno di soldati azeri. Ne dà notizia il ministero della Difesa che indica in un punto non precisato del settore sud orientale il luogo di azione nemica.

Il fatto, peraltro sembrerebbe documentato da telecamere di sorveglianza, è accaduto domenica 22 intorno alle 16,15 ora locale. Le forze azere sono state respinte indietro alle loro postazioni ma hanno lasciato in zona neutrale un caduto.

Il ministero della Difesa dell’Azerbaigian ha respinto le accuse armene circa un tentativo di penetrazione ma ha ammesso la perdita di un soldato, Ramin Abdulrahmanov. Questi si troverebbe in effetti nella terra di nessuno tra le opposte postazioni difensive al punto che gli azeri avrebbero chiesto l’intervento della Croce Rossa Internazionale per rimuovere il corpo. Nei suoi comunicati ufficiali Baku non ha fornito alcuna spiegazione riguardo la presenza del soldato in quella porzione di territorio neutrale.

Si tratta del primo grave episodio di violazione del regime di cessate-il-fuoco dopo mesi di relativa calma. Per la cronaca, nella giornata di lunedì 23 a New York, a margine dei lavori della Sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, si incontrano i ministri degli Affari esteri di Armenia e Azerbaigian.



Il 5 maggio 1994, a Bishkek capitale del Kirghizistan, venne firmato l’omonimo accordo di cessate il fuoco a conclusione delle ostilità nel Nagorno Karabakh.

Dopo due anni di guerra, 30.000 morti, almeno 50.000 feriti e centinaia di sfollati, le parti in causa convennero di cessare lo scontro armato.

Non fu un trattato di pace ma solo un patto di cessazione degli scontri (con efficacia a partire dal 12 maggio).

Venticinque anni dopo la repubblica del Nagorno Karabakh, nel frattempo divenuta repubblica di Artsakh attende di poter porre la parola fine alla guerra definita silenziosa, congelata ma che negli ultimi cinque lustri ha mietuto centinaia di vittime e conosciuto momenti di recrudescenza come nell’aprile del 2016 allorché le forze armate azere attaccarono le postazioni di difesa armene tentando in penetrare nel territorio dello Stato.

L’Azerbaigian persevera con una retorica improntata alla militarizzazione dello scontro, continua ad armarsi sempre di più e – nonostante il paziente lavoro diplomatico del Gruppo di Minsk dell’Osce – non sembra aver abbandonato l’idea di una soluzione finale di stampo bellico.

La piccola repubblica armena dell’Artsakh costruisce giorno dopo giorno la propria indipendenza statuale e mai e poi mai potrà essere amministrata da un governo azero.

L’unica soluzione è un riconoscimento formale!

Ci pare altresì doveroso ricordare come l’accordo di Bishkek venne firmato tra gli altri anche da Karen Baburyan, all’epoca presidente del Soviet del Nagorno Karabakh e per tale carica considerato il terzo Presidente della neonata repubblica. Quando oggi gli azeri dichiarano di non voler modificare il format negoziale e di non volere al tavolo delle trattative rappresentanti del governo di Stepanakert, dimenticano che proprio quell’accordo fu firmato da Armenia, Azerbaigian e Nagorno Karabakh.

Nessun cambio di format negoziale dunque! Ma solo la necessità di far decidere del suo futuro il popolo che più di ogni altro è interessato al negoziato.

La repubblica del Nagorno Karabakh (Artsakh) è dal 2018 indipendente dal punto di vista energetico. Lo scorso anno, infatti, sono stati prodotti 388 milioni di KWh a fronte di un consumo di 385 milioni di KWH. Lo ha dichiarato nei giorni scorsi l’ex Primo ministro e Ministro di Stato Arayik Harutyunyan nel corso di una conferenza al dipartimento Tecnologia dell’Università di Shushi.

Si tratta di un risultato molto importante anche dal punto di vista politico e che attesta la validità e il successo del piano di sviluppo energetico varato a sostegno della repubblica.

Basti pensare che tra il 2000 e il 2007 l’Artsakh produceva solo 90 milioni annui di Kilovattora a fronte di un consumo medio intorno ai 200 milioni di KWh. Con l’avvio del programma di sviluppo dell’energia idroelettrica e la costruzione dei primi piccoli impianti la produzione di energia elettrica è andata esponenzialmente crescendo fino a superare lo scorso anno il fabbisogno nazionale.

Per il 2019 si prevede una produzione di 522 milioni di KWh e un consumo di 385 milioni; per il 2023 il programma energetico prevede un ricavo di un miliardo di kilovattora a fronte di un consumo di circa 500 milioni di KWH: in pratica si produrrà il doppio dell’energia effettivamente consumata con un evidente beneficio anche sui conti pubblici dello Stato giacché il surplus potrà essere rivenduto (presumibilmente all’Armenia o via Armenia) e quindi generare ricchezza.

L’Artsakh ha raggiunto dunque il traguardo dell’autosufficienza energetica utilizzando quasi esclusivamente impianti idroelettrici di piccola e media portata ma diffusi capillarmente su tutto il territorio. Niente energia da carbon fossile o da nucleare.

Lo scorso anno inoltre sono state avviate le prime installazioni sperimentali in alcuni villaggi di pannelli fotovoltaici per la produzione di acqua calda.

In un’intervista al quotidiano “Free Artsakh” il ministro degli Affari esteri Masis Mayilian fa il punto sull’attuale situazione dei 400.000 profughi armeni scappati dall’Azerbaigian negli anni del conflitto e abbandonati dalla comunità internazionale.

Signor Mayilian, l’Azerbaigian ha sempre usato la questione dei rifugiati come strumento di pressione politica. Baku continua a esagerare con ostinazione la questione dei territori “occupati” da armeni e  dei “milioni” di rifugiati. Nel corso degli anni ci sono state tendopoli a Imishli e Barda. Quali misure intraprendono le autorità dell’ Artsakh per risolvere il problema dei profughi armeni?

La questione dei rifugiati e degli sfollati interni (IDP) è uno dei problemi chiave nel processo di risoluzione del conflitto in Azerbaigian-Karabakh. Va notato che questo problema si è verificato in conseguenza della politica distruttiva dell’Azerbaigian diretta alla soppressione forzata della realizzazione del diritto all’autodeterminazione da parte della popolazione armena dell’Artsakh. Ciò è molto importante in considerazione sia della responsabilità per la situazione attuale sia della metodologia di risoluzione della questione dei rifugiati e degli sfollati. È ovvio che, in primo luogo, è necessario eliminare l’origine del conflitto e solo dopo questo per iniziare ad eliminare le sue conseguenze.

Le autorità di Artsakh e Azerbaigian hanno approcci radicalmente opposti alla questione dei rifugiati e degli sfollati. Mentre Baku considerava la questione dei rifugiati e degli sfollati principalmente come uno strumento per ottenere dividendi politici o di propaganda, l’Artsakh percepiva il problema dei rifugiati come umanitario e tentava di alleviare la situazione dei rifugiati e degli sfollati durante tutto il conflitto. A differenza dell’Azerbaigian ricco di petrolio, l’Artsakh non ha creato ostentate tendopoli per i rifugiati e non ha politicizzato la questione. L’Artsakh ha aiutato questa categoria di vittime del conflitto con condizioni di vita minime sotto un tetto. Ad oggi, il nostro Stato, senza alcun sostegno internazionale, continua a costruire case per i rifugiati e gli sfollati che sono tornati nei loro ex luoghi di residenza liberati dall’occupazione. In particolare, una delle questioni prioritarie nel programma del Presidente della Repubblica dell’Artsakh Bako Sahakyan per il periodo 2017-2020 sta risolvendo i problemi sociali dei rifugiati armeni dall’Azerbaigian che hanno trovato rifugio in Artsakh.

La questione dei profughi armeni dall’Azerbaigian è costantemente al centro dell’attenzione delle autorità della Repubblica di Artsakh. Inoltre, la protezione dei loro diritti e interessi è sancita nei programmi annuali del governo della Repubblica di Artsakh come una delle direzioni importanti della politica estera della Repubblica.

Ha sottolineato esattamente “senza alcun sostegno internazionale”. I profughi armeni dell’Azerbaigian non hanno uno status internazionale e non beneficiano di alcun programma internazionale, a differenza dei rifugiati azerbaigiani. I diritti dei rifugiati armeni dall’Azerbaigian sono completamente ignorati dalle strutture internazionali. Ciò è motivato a causa dello status non riconosciuto della Repubblica di Artsakh. Ma qual è la differenza per i rifugiati di vivere in un Paese riconosciuto o non riconosciuto? Il fatto è che esistono, e il fatto è che i loro diritti sono stati gravemente violati dall’Azerbaigian: sono stati perseguitati per motivi etnici e religiosi e le loro vite erano a rischio …

Sicuramente, la situazione in cui i profughi e gli sfollati che vivono in Artsakh sono completamente dimenticati dalle organizzazioni internazionali specializzate è estremamente anormale e oltraggiosa. Crediamo che privare queste persone di protezione e supporto internazionali sia una violazione dei loro diritti fondamentali. Abbiamo ripetutamente portato questa posizione all’attenzione dei rappresentanti di organizzazioni internazionali.

Nel recente incontro con il Presidente in carica dell’OSCE, il ministro degli Esteri slovacco Miroslav Lajcak, ho notato che, nel caso dell’Artsakh, l’OSCE non dovrebbe limitarsi unicamente al processo di risoluzione, lasciando la dimensione umana senza un’adeguata attenzione. In particolare, durante la riunione ho sottolineato che il processo di risoluzione del conflitto dell’Azerbaigian-Karabakh dura da oltre 27 anni e questo fatto impone all’OSCE alcuni obblighi giacché, a causa del conflitto instabile e dei tentativi in ​​corso da parte di Baku di isolare l’Artsakh, le persone che vivono nella Repubblica, compresi rifugiati e sfollati interni, sono limitate nell’esercizio dei loro diritti e delle loro libertà fondamentali.

Ultimamente, sono stati compiuti alcuni progressi sulla questione dei rifugiati in Artsakh. Ad esempio, recentemente a Yerevan, il capo dell’Artsakh Union of Armenian Refugees dall’Azerbaigian ha avuto l’opportunità di informare il Presidente in carica dell’OSCE sui problemi di questa categoria di persone. So che questa è la Sua iniziativa. Può raccontarci brevemente l’essenza dell’incontro.

Sarasar Saryan ha informato il Presidente in carica dell’OSCE Miroslav Lajchak sulla situazione dei rifugiati armeni in Artsakh. Ha notato che fino a 30mila rifugiati armeni vivono nella Repubblica di Artsakh, che essi sono privati ​​del sostegno e dell’assistenza internazionale anche a causa della posizione delle autorità dell’Azerbaigian che ostacolano la visita delle organizzazioni internazionali specializzate in Artsakh. Sarasar Saryan ha invitato il Presidente dell’OSCE in carica a visitare l’Artsakh per conoscere immediatamente la situazione dei profughi armeni in Artsakh.

Pensa che cambierà l’approccio delle strutture internazionali alla questione dei profughi armeni dall’Azerbaigian che vivono in Artsakh? Possiamo sperare che i nostri rifugiati acquisiscano uno status internazionale, potranno beneficiare di alcuni programmi umanitari internazionali e così via?

Non credo che ciò accadrà presto, ma il nostro Ministero sta facendo tutto per questo, e una vivida conferma di ciò è stato l’incontro avviato da noi tra il capo dell’Artsakh dell’Unione dei rifugiati armeni dell’Azerbaigian e il presidente dell’Osce in carica. Spero che la voce del rappresentante dei profughi armeni dall’Azerbaigian sia stata ascoltata.  Inoltre, abbiamo stabilito contatti con organizzazioni analoghe dell’Armenia.

Per quanto riguarda il processo di negoziazione sulla soluzione del conflitto Azerbaigian-Karabakh. Sappiamo che il Primo Ministro dell’Armenia Nikol Pashinyan ha proposto di riportare il Nagorno Karabakh al tavolo dei negoziati, che il Presidente dell’Azerbaigian categoricamente respinge o stabilisce le condizioni come quella che in questo caso anche la cosiddetta comunità azera del Nagorno-Karabakh dovrebbe partecipare …

Innanzi tutto, va notato che la questione del ripristino del formato trilaterale dei negoziati è l’indicatore più accurato del grado di preparazione del governo di Baku ai reali progressi nel processo di risoluzione pacifica del conflitto azerbaigiano-karabakhiano. Questa convinzione si basa sul fatto indiscutibile che il formato di negoziazione trilaterale era il più produttivo. Di conseguenza, l’opposizione al ripristino del formato più efficace dei negoziati, riteniamo, significa ritardare artificialmente il processo di risoluzione.

Sembra che le autorità di Baku cerchino di trasformare i negoziati in un processo senza fine, sperando che possa aiutare a rinviare l’inevitabile riconoscimento della Repubblica di Artsakh come Stato indipendente della comunità internazionale. A tal fine, le autorità azerbaigiane cercano di distorcere l’essenza del conflitto in ogni modo possibile e di presentarlo come territoriale o intercomunale. Di fatto, i rifugiati azerbaigiani dell’Artsakh sono diventati uno strumento per l’Azerbaigian per raggiungere i propri obiettivi di politica estera.

Il 16 dicembre 2005, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato i Principi di base e le linee guida sul diritto alla protezione legale e al rimborso delle vittime di gravi violazioni delle norme internazionali sui diritti umani e gravi violazioni del diritto internazionale umanitario.

La questione dei rifugiati e degli sfollati interni non avrà un contenuto specifico fino alla risposta alla domanda principale – sulla responsabilità delle parti di coloro che, a seguito del conflitto, hanno perso il diritto di vivere e svilupparsi liberamente nella loro patria – viene data.

La RSS azerbaigiana, in quanto promotrice dell’esodo forzato di massa dei suoi cittadini armeni, ha chiaramente dimostrato la sua posizione in relazione a questa categoria di persone. Né l’ex repubblica sovietica azera né l’attuale Repubblica azerbaigiana hanno preso provvedimenti per il riconoscimento dei loro obblighi politici e legali nei confronti dei loro ex cittadini o hanno assunto qualsiasi responsabilità morale o finanziaria per le loro azioni. Nessuno degli oltre 400mila profughi armeni dell’Azerbaigian, avendo lasciato questo paese sotto la minaccia diretta della propria vita, ha ricevuto un rimborso per le proprie perdite materiali, patrimoniali e morali.

Secondo i Principi e le linee guida di base sul diritto alla protezione legale e al rimborso delle vittime di gravi violazioni delle norme internazionali sui diritti umani e gravi violazioni del diritto internazionale umanitario, le vittime di tali violazioni dovrebbero ricevere un rimborso completo ed efficace, compresa la restituzione, il risarcimento , riabilitazione, soddisfazione e garanzie di non ripetizione di quanto accaduto. Il rimborso dovrebbe essere fornito per ogni danno economicamente valutabile nei modi prescritti e adeguatamente alla gravità della violazione.

[traduzione redazionale dall’inglese]

Osservatorio Balcani e Caucaso (3 apr 19) di Knar Babayan

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“Per noi, creare significa sopravvivere. A volte evitiamo addirittura di comprare determinate cose, così abbiamo soldi per la nostra arte”, afferma Satenik Hayiryan. Satenik è una stilista e vive con il marito Serob Mamunts, un ceramista. Questa coppia di appena 28 anni si è preposta un obbiettivo ambizioso: aiutare la rinascita della vita artistica nello stato non riconosciuto del Nagorno Karabakh. Tuttavia, per molti abitanti in questo territorio montuoso, che è tecnicamente ancora in guerra con il vicino Azerbaijan, le priorità restano la sicurezza e la difesa nazionale.

Serob e Satenik si sono incontrati all’università e si sono sposati durante l’ultimo anno dei loro studi, a 23 anni. La coppia si è trasferita per lavoro diverse volte nei primi 6 anni di matrimonio; Serob proviene da Martakert, nell’estremo nord del Karabakh, solamente 4-5 chilometri dalla linea del fronte.

Entrambe le loro vite sono state toccate dal conflitto. Serob ha perso il padre durante la feroce guerra che è infuriata in quest’area negli anni ’90, guerra a cui attribuisce la responsabilità di aver cambiato profondamente la sua prospettiva sulla vita e sulla sua passione più grande: l’arte. La moglie di Serob, Satenik, proviene dal villaggio di Sghnakh nel sud del Karabakh. Dopo il matrimonio si è trasferita nella città natale di Serob per due anni, dove ha trovato lavoro insegnando arte in una scuola locale. Nell’aprile 2016 il conflitto è scoppiato nuovamente e quest’area di frontiera ha subito pesanti bombardamenti. Satenik, allora incinta del loro primo figlio, è stata evacuata da Martakert il 2 di aprile: “Quei fatti hanno cambiato la mia visione del mondo, nonostante non abbia ancora creato qualcosa a tema militare”, sottolinea Satenik. “La guerra è un argomento molto sensibile e ognuno gli si deve rapportare con cautela”. Dopo quest’esperienza, Satenik ha giurato di rimanere nel Karabakh, che ritiene essere la propria casa.

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Il Primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, e il Presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, si sono incontrati a Vienna per iniziativa del gruppo di Minsk dell’Osce.

Dopo gli incontri “informali” di Dushambe, San Pietroburgo e Davos avvenuti nei mesi scontri si tratta del primo meeting ufficiale tra il leader armeno e quello azero.

L’evento, tenutosi all’hotel Bristol della capitale austriaca e iniziato alle ore 11 locali, si è articolato in due parti: un primo incontro allargato ai ministri degli Esteri dei due Paesi (Mnatsakanyan e Mammadyarov) e ai co-presidenti del Gruppo di Minsk. Dopo una breve interruzione Pashinyan e Aliyev hanno avuto un incontro privato a porte chiuse durato quasi due ore al termine del quale sono rientrati nella sala anche i rispettivi ministri degli Affari esteri.

Complessivamente il meeting è durato tre ore e un quarto. Al momento l’Osce non ha ancora diramato un comunicato ufficiale né trapelano indiscrezioni sul contenuto dei colloqui.

Uscendo dalla sala al termine del colloquio, in risposta alla domanda di un giornalista, il premier armeno ha definito l’incontro “normale”.

«Lungo, saturo, efficace» questo è il modo in cui il co-presidente del gruppo di Minsk Stefan Visconti (Francia) ha descritto la riunione di Pashinyan-Aliyev durante un briefing con giornalisti che fanno parte della delegazione del primo ministro Nikol Pashinyan a Vienna.

COMUNICATO STAMPA GRUPPO DI MINSK DELL’OSCE

Vienna, 29 marzo 2019 – Il Presidente della Repubblica dell’Azerbaigian Ilham Aliyev e il Primo Ministro della Repubblica di Armenia Nikol Pashinyan si sono incontrati oggi a Vienna per la prima volta sotto l’egida dei Co-presidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE (Igor Popov della Federazione Russa, Stéphane Visconti di Francia, e Andrew Schofer degli Stati Uniti d’America). All’incontro hanno partecipato anche i ministri degli Esteri Zohrab Mnatsakanyan e Elmar Mammadyarov. Anche Andrzej Kasprzyk, il rappresentante personale del Presidente in esercizio dell’OSCE, ha partecipato all’incontro. L’incontro si è svolto in un’atmosfera positiva e costruttiva e ha offerto ai due leader l’opportunità di chiarire le rispettive posizioni. Si sono scambiati opinioni su diverse questioni chiave del processo di risoluzione e idee di sostanza. I due leader hanno sottolineato l’importanza di costruire un ambiente favorevole alla pace e di intraprendere ulteriori passi concreti e concreti nel processo negoziale per trovare una soluzione pacifica al conflitto. Ricordando la loro conversazione a Dushanbe, i leader hanno raccomandato di rafforzare il cessate il fuoco e migliorare il meccanismo di comunicazione diretta. Hanno anche concordato di sviluppare una serie di misure nel campo umanitario. Il primo ministro e il presidente hanno incaricato i loro ministri di incontrarsi nuovamente con i co-presidenti nel prossimo futuro. Hanno anche accettato di continuare il loro dialogo diretto.

Vaticannews.va (27 mar 19) di Giancarlo Vella

link articolo con intervista radiofonica

Riprendono i colloqui tra Armenia e Azerbaigian per il Nagorno-Karabakh, la regione a maggioranza armena, contesa tra i due Paesi ex sovietici. La questione è da sempre al centro delle frizioni tra Yerevan e Baku e negli anni ’90 ha anche causato un sanguinoso conflitto

Il Presidente azero Aliyev e il premier armeno Pashinyan si incontreranno a Vienna il 29 marzo prossimo, per discutere una soluzione alla questione del Nagorno-Karabakh, che in passato ha dato vita anche a scontri armati tra Yerevan e Baku. L’incontro è promosso dal gruppo dei mediatori di Minsk dell’Osce formato da Russia, Francia e Stati Uniti. L’obiettivo è porre fine ad una contesa che va avanti da molti anni e che non ha mai trovato una via d’uscita.

Un conflitto nato ai tempi dell’Unione Sovietica

Emanuele Aliprandi, esperto dell’area, autore di diversi volumi sulla questione ed esponente dell’Iniziativa Italiana per il Nagorno Karabakh, ricorda ai nostri microfoni come la vicenda nasce ai tempi dell’Unione Sovietica, quando Stalin assegnò il territorio della regione, ad alta maggioranza armena e cristiana, al controllo dell’Azerbaigian. Quando nel 1991, alla dissoluzione della potenza sovietica, quest’ultimo Paese dichiarò la secessione e l’indipendenza, a sua volta il Nagorno-Karabakh si autoproclamò indipendente, scattò allora la risposta armata di Baku, alla quale si oppose il piccolo esercito locale. Da allora la questione va avanti con un conflitto a bassa intensità, mentre il Nagorno non ha ancora ricevuto alcun riconoscimento dalla comunità internazionale.

Speranze di pace per il Nagorno-Karabakh

Su questi colloqui, ennesima tappa di un lento processo di avvicinamento tra l’Armenia, che tratta per conto della provincia contesa, e l’Azerbaigian, puntano le speranze della comunità internazionale – sottolinea Emanuele Aliprandi – affinché vengano riconosciute le istanze di entrambi i contendenti e, soprattutto, si raggiunga pace e tranquillità per la popolazione del Nagorno-Karabakh, sino ad oggi senza identità di fronte al mondo.

Il ministro degli Affari esteri della repubblica di Artsakh (Nagorno Karabakh), Masis Mayilian, nel corso di una intervista all’agenzia di stampa russa ‘Regnum’ precisa la posizione riguardo a una ipotizzata cessione di territori all’Azerbaigian. Si tratta di interessanti puntualizzazioni che ben chiariscono i termini della questione negoziale.

Signor Ministro, dopo il cambio di potere a Yerevan, le consultazioni tra Armenia e Azerbaigian per una soluzione sul Karabakh si sono acuite intensamente (noi diciamo “consultazioni”, perché i veri negoziati, quando anche il Nagorno Karabakh ha partecipato ad essi, sono cessati nel 1997). Come spiegherebbe l’intensificazione di queste consultazioni?

Dopo che il nuovo governo è salito al potere nella Repubblica di Armenia, mantenere la dinamica degli incontri e delle consultazioni è stato di una certa importanza sia per la parte armena che per i co-presidenti del gruppo di Minsk dell’OSCE, anche dal punto di vista della dimostrazione del rispetto degli accordi concordati e del formato di mediazione. L’indubbia intensificazione degli incontri tra Yerevan e Baku è condizionata dal desiderio delle parti di familiarizzare con i rispettivi approcci riguardanti la soluzione pacifica del conflitto azerbaigiano-karabaco.

Le riunioni dei ministri degli Esteri si sono svolte sotto la mediazione dei co-presidenti del gruppo di Minsk dell’OSCE. I contatti al più alto livello si sono svolti senza la partecipazione di mediatori ai margini di vari forum internazionali e sono stati informali. Come è noto, si sta pianificando la prima riunione del Primo Ministro dell’Armenia e del Presidente dell’Azerbaigian sotto la mediazione dei Co-presidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE.

Credo che un’artificiosa intensificazione delle consultazioni a priori non possa essere fruttuosa. Apparentemente, anche le parti lo capiscono. Ad esempio, a febbraio, i ministri degli Esteri di Armenia e Azerbaigian hanno partecipato alla Conferenza di sicurezza di Monaco, ma non hanno pianificato di tenere una nuova riunione in quel forum.

Il Primo Ministro dell’Armenia ha insistito sulla necessità di coinvolgere la Repubblica del Nagorno Karabakh nei negoziati con l’Azerbaigian. Come vede esattamente la procedura e il tema della partecipazione della NKR ai negoziati?

Prima di tutto, va notato che Yerevan e Stepanakert hanno lo stesso approccio al ripristino del formato trilaterale dei negoziati. Allo stesso tempo, parlando del ritorno della Repubblica di Artsakh al tavolo dei negoziati, partiamo dalla necessità di realizzare reali progressi nel processo di risoluzione del conflitto Azerbaigian-Karabakh. Ci sono tutti i prerequisiti necessari per il ripristino dei negoziati trilaterali. Innanzitutto, dopo una lunga discussione sul formato dei negoziati, ancora nel 1993, la CSCE / OSCE arrivò al convincimento della necessità della partecipazione del Nagorno Karabakh come terza parte in tutte le fasi del processo di pace. Successivamente, questa tesi è stata riflessa nel Sommario di Praga dal Presidente in esercizio dell’OSCE del 31 marzo 1995. Il formato trilaterale stesso è stato approvato in precedenza dalla decisione del Vertice di Budapest dell’OSCE del 1994, basato sul consenso. In secondo luogo, come il tempo mostrava, il formato trilaterale era stato il più efficiente e produttivo. Fu in questo formato che l’unico risultato tangibile fu raggiunto nel processo di definizione – la conclusione sotto la mediazione russa dell’accordo trilaterale del 12 maggio 1994 – del cessate il fuoco e la cessazione di tutte le ostilità.

La formula per il successo del formato di negoziazione trilaterale è piuttosto semplice: ciascuna delle parti ha direttamente rappresentato i propri interessi e discusso le questioni di sua competenza.

La procedura per la partecipazione della Repubblica di Artsakh ai negoziati può essere basata su questa formula. Come il Primo Ministro dell’Armenia Nikol Pashinyan ha ripetutamente affermato, Yerevan non intende impostare la partecipazione di Stepanakert al processo negoziale come una condizione preliminare, ma allo stesso tempo condurrà negoziati solo per proprio conto. Ciò significa che le questioni nell’ambito della competenza esclusiva e dei poteri delle autorità della Repubblica di Artsakh non possono essere discusse nel formato bilaterale Yerevan-Baku. Tale approccio è oggettivo e, crediamo, può fungere da meccanismo per il ritorno dell’Artsakh al tavolo negoziale.

La stragrande maggioranza dei progetti per la risoluzione del conflitto del Karabakh propone di ridurre il territorio della repubblica del Nagorno Karabakh al territorio dell’Oblast autonoma del Nagorno Karabakh. Cosa ne pensa di queste idee?

Poiché il conflitto Azerbaigian-Karabakh non è una disputa territoriale, la ricerca di possibili modi per risolvere il problema sulla base di concessioni territoriali è senza speranza e non riflette l’essenza del conflitto.

Il fatto che nel 1988, quando iniziò una nuova fase del conflitto, i territori attorno all’ex oblast (NKAO) e persino una delle regioni amministrative della regione autonoma fossero sotto il controllo di Baku, indica che questo conflitto non è una disputa territoriale. Cioè, il conflitto si è verificato nonostante il fatto che questi territori fossero controllati dalla parte azera. Pertanto, è illogico credere che le concessioni territoriali di Artsakh possano portare alla risoluzione del conflitto. Va inoltre considerato che tali proposte riguardano direttamente la questione della sicurezza, che è una delle “linee rosse” per l’Artsakh nel processo di risoluzione del conflitto con l’Azerbaigian.

Cedere i territori è una via diretta alla distruzione del sistema di sicurezza non solo dell’Artsakh, ma anche della Repubblica di Armenia, e minaccerà l’esistenza stessa della popolazione indigena nella sua patria storica. In altre parole, questo problema ha un significato esistenziale per noi. Le dichiarazioni del presidente dell’Azerbaigian dimostrano che l’obiettivo strategico ufficiale di Baku è quello di catturare non solo l’Artsakh, ma anche la regione di Syunik in Armenia e persino la capitale dell’Armenia, Yerevan. Dovremmo prendere sul serio le dichiarazioni del presidente e del comandante supremo delle forze armate dell’Azerbaigian e non facilitare il suo percorso verso il loro obiettivo strategico. Al contrario, è necessario continuare a prendere misure militari e politico-diplomatiche per scoraggiare le intenzioni aggressive ed espansionistiche della leadership del paese vicino.

Da rammentare che la leadership della Repubblica di Artsakh ha ripetutamente affermato l’impossibilità e l’inammissibilità di tornare al passato in termini di entrambi i temi: lo status e i territori.

Inoltre, il 15 luglio 2009, dopo che gli approcci dei mediatori all’accordo sul conflitto tra l’Azerbaigian e il Karabakh sono stati resi pubblici, il ministero degli Affari esteri della Repubblica di Artsakh ha rilasciato una dichiarazione sulla necessità di riavviare il processo negoziale falsato al fine di far tornare l’autorità di Stepanakert al tavolo dei negoziati come parte a pieno titolo e per trasformare i principi di base della risoluzione. Questa posizione della Repubblica di Artsakh rimane invariata.

Va inoltre notato che nella suddetta dichiarazione, il ministero degli Esteri dell’Artsakh ha sottolineato che i tentativi di riportare l’Artsakh al passato non sono solo controproducenti, ma sono anche carichi di una nuova escalation del conflitto.

(traduzione redazionale a cura di Karabakh.it)